Giacomo Cacciatore

Noi presi dai turchi
per Salvini e Di Maio

Ora, generalizzazione per generalizzazione (molto in voga, ahinoi, attualmente): per quel che ne so, se c’è qualcuno che è difficile prendere per il culo, questo è il palermitano. Non sono io a decretarlo, ma il lessico, gli adagi popolari che parlano per lui, per la sua atavica diffidenza. E ne esistono di densissime, di sparate del genere, quasi micro-sceneggiature. Esempio: “U discursu è bello, ma ’u tavirnaru vuole i picciuli”. Leggasi: parole, parole, parole, e io che ci guadagno? Ci sai fare, tu, con le promesse, ma finché non vedo, non credo. E poi: “Che ti pare, che mi pigli dei turchi?”. Questa è più complessa (ancorché sgangherata): chi è colto alla sprovvista si sente “preso dai turchi” (memoria di antiche invasioni); ne consegue che l’aspirante raggiratore, propalando meraviglie, “ti..

Dalla pioggia alla sete
La beffa dell’acqua

"Abituato, c’eri". È il motteggio scherzoso che ci scambiavamo tra amici, quando ero scapestrato fra scapestrati al liceo. Si apostrofava così chi fingeva indifferenza e a malapena tratteneva eccitazione davanti a un lusso mai visto, vantaggi mai sperimentati. Un robusto richiamo alla realtà, alla ragion pratica. “Abituato, c’ero”: non è escluso che torneremo a dirlo a noi stessi nei prossimi giorni davanti a un rubinetto che scroscia nel lavandino di casa, sotto un soffione di doccia salvifico, cose che potrebbero farsi desiderare. Si sa: è successo quel che di brutto poteva succedere, i nubifragi, gli smottamenti, le vittime innocenti e tutto il resto. Adesso, asciugate le lacrime, e grazie alla resilienza (tradotto: “tirare per il proprio”) che ci caratterizza, torniamo a guardare al lavello domestico; e già si vocifera che..

Storia del piccolo B.
e delle sue famiglie

Questa è la storia del piccolo B. Un piccolo che era nato per restarci, piccolo. Ed eterno secondo: come la lettera che corona il suo nome. Il piccolo B. aveva quattro anni, grandi occhi, affamati di tutto, e i capelli chiari del normanno. Nella casa dov’era nato, il piccolo B. incrociava sguardi sfuggenti, dolorosi, spesso corrucciati, il più delle volte stremati. A quegli sguardi chiedeva risposte. Raccoglieva lampi, monosillabi distratti. Il piccolo B. pensò quindi che fosse quello il modo giusto di parlare. D’altronde bastava e avanzava. La mamma si voltava a un “Mmm”. “Papà” era troppo lungo da pronunciare, e la fatica non serviva a un bel niente. Papà non c’era, in casa. Per dirla tutta, non c’era mai stato. L’aveva indovinato, il piccolo B., e più ci pensava,..

Ma i social offrono
una caverna a tutti

C'erano una volta i giardini pubblici. C’era una volta il bar sotto casa, e c’erano una volta la piazza, i circoli del bridge, i cenacoli per amatori delle arti, il contemplativo cantiere dei lavori in corso da criticare a mezza voce, e poi la popolanissima bocciofila. C’era la chiesa. E la sede di partito. La barberia. Il salone del parrucchiere. C’era dove chiacchierare e accapigliarsi a parole, attizzare pettegolezzi o sconfessarli, farsi i fatti propri e quelli altrui. C’erano e ci sono ancora. Ma dove sono, dove vanno, gli “stagionati”? Gli ultrasessantenni (e ultra-quel-che-vi pare) che in quei luoghi esorcizzavano il fantasma – in sempiterno agguato, oggi trionfante – della solitudine? Gli anziani, già. E chi si avvia a esserlo (compreso il sottoscritto). Molti sono tornati bambini. Qualcuno ha dato..

Se una parola diventa
pietra d’inciampo

Le parole sono pietre. E aggiungo io (Levi possa perdonarmi) pietre “rotolanti”. Nel senso che trattasi di materia viva, mai quieta, capace di generosità – spianano strade, le parole, arrangiano ponti tra me e te, noi e loro – e di rivalsa contro chi ne fa “mala minnitta”. Dica la sua chi la vendetta di una parola nata male non l’abbia sperimentata a proprio danno. Taccia chi è fieramente convinto che una parola valga ormai un’altra, così come – secondo alcuni – “uno vale uno”. Una parola malamente sbozzata, fraintesa, provoca cataclismi. Piccoli, talvolta. E spesso latori di paradosso. Come nel mio caso, quando, un’impiegata del Comune, nel rinnovarmi la carta d’identità, mi chiese: “Professione?”. Io, incolpevole, risposi: “Scrittore”. Ma lei capi tutt’altro. Ora mi ritrovo un documento che dice:..

Sparire per una musica
che scoppia in testa

"Sarà capitato anche a voi di avere una musica in testa…". A me no. Non ancora. Non come a quel tale di cui ho letto sui giornali. Il signor Filippo Zito, 53 anni di normalissima vita nel quartiere Passo di Rigano, Palermo, che senza rendere conto a nessuno è spuntato a “Chi l’ha visto?”. Il che equivale a sparire da là dov’eri sempre stato. Non è una storia tragica, però, quella del signor Zito. L’hanno ritrovato dopo otto giorni di chissà chi sinni fici. A Trapani. A ridosso del porto. Vivo, nella Cinquecento dove aveva messo a nanna il proprio passato e coccolava un enigmatico presente. Da Palermo a Trapani, il sig. Zito, senza volere (o potere) spiegare niente a nessuno. A discorrere di mare e pesci con gli esperti..

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