Matteo Salvini è la moda del momento. Anche in Sicilia, dove la Lega, alla vigilia dello scandalo del tonno a Favignana e del blocco dei cantieri su alcune arterie regionali (la Palermo-Agrigento e la Agrigento-Caltanissetta), ha portato a casa quasi il 21% e i primi eurodeputati del Carroccio nella storia dell’Isola. Era il test che in molti aspettavano – ma qualche segnale lo avevano già fornito le Amministrative e i comizi, da pienone, a Gela e Bagheria – per capire se il progetto a trazione nordista e muscolare avrebbe attecchito fin sotto lo Stretto. E, con poche sorprese, la risposta è stata “sì”. La Lega è viva e più che vegeta anche alle pendici dell’Etna, nella conca d’Oro, nella fascia trasformata. Dove l’agricoltura, più che una risorsa, è diventata un problema (ma non si riesce a parlare col Ministro Centinaio). E persino a Favignana, dove nella ripartizione delle quote tonno è stato fatto un grande sgarbo ai pescatori. E perché dimenticare Lampedusa, dove i pochi indigeni accorsi alle urne hanno spiegato che di immigrazione non vogliono più sentir parlare.

La Lega c’è. Il Salvini-pensiero ha fatto breccia come i bersaglieri a Porta Pia. Si è insinuato nei rivoli della disperazione, delle masse popolari e, in ultima istanza, della politica. La famosa teoria del “carro del vincitore”, che i luogotenenti del Capitano dicevano di temere, è tornata tremendamente d’attualità nelle ultime settimane. In cui vari leader dello schieramento di centrodestra, molti in cerca di una casa, hanno bussato alle porte di Salvini per chiedere informazioni: quanto costa salire a bordo del Carroccio? Sicuramente non serve un curriculum immacolato, come ci avevano fatto credere i soliti Candiani, Gelarda e Cantarella. Altrimenti non si spiegherebbe come Francantonio Genovese, alla vigilia del voto, avesse trasformato Messina in un granaio di preferenze per Angelo Attaguile, il primo leghista di Sicilia – inviso ai nuovi “militanti” – che alle Europee ha consumato (forse) il suo ultimo pasto salviniano. Almeno dentro le istituzioni e a livello di rappresentanza.

Gli sono bastate poche settimane per fare imbizzarrire Candiani, commissario regionale del partito e filo diretto di Salvini, che non avrebbe voluto il supporto della “famiglia” in campagna elettorale. Almeno, così dice. I ras di Messina, complici della stagione degli scandali della Formazione Professionale (su Genovese sr pesa una condanna in primo grado a 11 anni), sono scesi in campo e hanno rimediato ad Attaguile una buona fetta di consenso (7 mila preferenze), ma hanno riversato una buona quantità di voti pure sulla Tardino, che in provincia ha toccato vette inesplorate altrove. La Lega, nel complesso, ha raggiunto anche lì il 20,4%, un gradino sotto Cinque Stelle e Forza Italia. Ma comunque fortissima. E non è un mistero che Luigi Genovese, attualmente deputato all’Ars col gruppo di Forza Italia, potrebbe passare in una nuova formazione, magari alle dipendenze di Musumeci che presto finirà per federarsi con Salvini.

Ecco, ad incastro, un altro pezzo del puzzle. Nello Musumeci. Il governatore dell’Isola, pur avendo osservato la campagna elettorale comodamente seduto in poltrona, non ha mai fatto mistero del suo apprezzamento per Matteo. E’ stato a Pontida, dove i siciliani sono sempre stati spernacchiati; ha inaugurato col Ministro una caserma dei carabinieri a Corleone, nella giornata del 25 aprile; e quasi due anni fa, ha firmato con Salvini – ma anche Meloni e Berlusconi – il famoso “patto dell’arancino” che l’ha portato a governare la Regione fra mille difficoltà.

Ora Salvini potrebbe diventare l’approdo più naturale per salvare la Sicilia (pare una “bufala”, ma adesso vi spieghiamo perché non lo è) e se stesso. Il governatore, infatti, da qui a breve annuncerà la fase 2.0 di Diventerà Bellissima, nella prospettiva di federarsi con la Lega e, successivamente, in chiave transregionale, di costituire una nuova gamba che diventi partner ideale del Carroccio. La terza gamba del centrodestra. Un percorso che parte da lontano e che prevede un ulteriore passaggio: rinsaldare l’asse istituzionale fra il governo della Regione e il Ministero dell’Interno. Un solido lasciapassare dalle parti di Palazzo Chigi, e dei Ministeri tutti, dove fin qui la Regione è stata sbugiardata su ogni fronte: dalle ex province al maxi disavanzo da spalmare in 30 anni. Avere Salvini come interlocutore potrebbe facilitare le cose. Ma in cambio, Musumeci, deve dare garanzie. Appoggio, sostegno, amicizia, vicinanza. O correre insieme alle prossime elezioni. Chiamatela un po’ come volete. A pagarne le conseguenze potrebbero essere i rapporti con Giorgia Meloni, che in Musumeci aveva trovato un “fratello grande” di cui fidarsi, ma che negli ultimi tempi – da Stancanelli in poi – si è sentita sedotta e abbandonata. Che i rapporti fra i due non siano quelli di una volta, nonostante le frasi di circostanza, è testimoniato dalle frenatine di queste ore sulla successione di Sandro Pappalardo al Turismo. È già pronto Manlio Messina: ma che ci vuole a firmare un decreto di nomina?

A ronzare intorno al nuovo soggetto del centrodestra c’è anche un altro desaparecido: Salvo Pogliese. Il sindaco di Catania, fresco di ammutinamento dopo il “no” alla candidatura di La Via, ha lasciato Forza Italia e s’è rifugiato assieme a pochi eletti nel suo contenitore civico “Muovitalia”. Alle ultime Europee ha già dato segnali di leghismo, avendo sostenuto – pubblicamente – le due candidate del Carroccio, entrambe elette, Annalisa Tardino e Francesca Donato. Ma Pogliese in Salvini cerca pure una sponda per salvare Catania dal fallimento. Nei giorni scorsi – checché ne dicano i grillini – è stato Stefano Candiani, che oltre al commissario del partito nell’Isola è anche sottosegretario agli Interni, con delega agli Enti Locali, a garantire il sindaco sull’inserimento di una norma Salva Catania nella legge di conversione al decreto Crescita che Montecitorio tratterà a partire da martedì. E’ una norma che metterà al riparo dal default (niente stop ai servizi, niente licenziamenti) tutte le città metropolitane in difficoltà. In primis Catania.

E poi c’è il capitolo Armao-Bartolozzi. I terremotati di Forza Italia che negli ultimi mesi hanno fatto tutto e il contrario di tutto per distinguersi dalla linea del partito. Tanto che Miccichè, in tempi non sospetti, ha definito lui un “ex assessore”, e adesso, sempre di lui, chiede la testa politica. Alle Comunali di Gela, il tandem (la Bartolozzi è deputata alla Camera), pur ribadendo fiducia in Silvio Berlusconi, ha deciso di appoggiare il candidato leghista Giuseppe Spata, presentandosi alla convention e indicando un possibile assessore in giunta. Contro Lucio Greco, il candidato di Forza Italia. E adesso, dato che il potere di Berlusconi è sempre più consunto dall’età e dalle percentuali, potrebbero virare verso nuovi lidi. Con quale biglietto da visita si presenterà, stavolta, Armao in via Bellerio? A capo di quale movimento, visto che lo slogan di “leader degli indignati” se l’è già giocato nel 2017, presentandosi ai cancelli di Arcore? La Lega, per il vice-presidente della Regione e per la compagna, potrebbe rappresentare lo strenuo tentativo di aggrapparsi alla politica che conta, dopo aver lasciato Lombardo per Berlusconi. E mangiare a gratis l’ennesimo tozzo di potere.

Chi sul taxi di Salvini ha deciso di non salire, nonostante le voci messe in giro in questi giorni, è Gianfranco Miccichè. Solo se si votasse domani – è il pensiero del presidente dell’Ars – non potremmo fare altro che allearci con la Lega. Per questo ho abbassato i toni. Ma sulla linea, ha detto l’uomo di Berlusconi in Sicilia, non si transige. Parafrasando: se Salvini continuerà a comportarsi così con gli immigrati, gli dirò “stronzo” altre cento volte. Se Forza Italia e Lega correranno insieme alle prossime elezioni, in Sicilia come altrove, Miccichè lo farà contro i propri interessi e per amor di Berlusconi. Con il quale condivide praticamente tutto, tranne questa ossessione per il Carroccio “che affama la Sicilia”. L’affronto del tonno è ancora troppo fresco.