Comunque la si tiri, la coperta resta troppo corta. Per questo l’iniziativa della commissione Bilancio dell’Ars, che ha promesso di aumentare gli stipendi ai ‘sindaci in trincea’, rischia di rivelarsi un buco nell’acqua. Servono 672 mila euro l’anno, ma questi soldi non ci sono. Da qui l’idea strampalata, e un po’ bizzarra: ritagliare la somma dal fondo delle Autonomie locali – i cosiddetti trasferimenti regionali – che nel 2021 vale 330 milioni. Più soldi a chi eroga i servizi, e meno soldi per finanziarli: un’equazione disperata. Ma questo è il tempo delle vacche magre, delle Finanziarie lacrime e sangue, della parifica impietosa, degli accordi (a perdere) con lo Stato: tutto è concesso.

Il presidente della commissione, Riccardo Savona, ha spiegato che i 672 mila euro previsti per rafforzare le indennità a 210 sindaci (a scaglioni: l’aumento più sostanzioso andrà a coloro che amministrano Comuni sotto i mille abitanti) per quest’anno non serviranno tutti “visto che il voto finale dell’Ars arriverà entro fine luglio e a quel punto gli aumenti riguarderanno gli ultimi cinque mesi” del 2021. Ma il rischio, ancora una volta, è vedere la pagliuzza e non accorgersi della trave. La Regione non ha un euro da spendere, tanto meno da regalare. Sugli enti locali il paradosso raggiunge livelli mai sperimentati prima: durante la sessione di Bilancio si è stabilito che i trasferimenti, quest’anno, si fermano a 330 milioni. “Un quarto rispetto a vent’anni fa”, suggerisce Antonello Cracolici, uno dei parlamentari siciliani di vecchia data. Questa, inoltre, è una cifra che va depurata dei 50 milioni del fondo di riserva (destinato solo a una parte dei Comuni), e dei 10 milioni che sono serviti a coprire la norma sulla stabilizzazione degli Asu: cioè i precari storici, sostenuti dalla Regione, ma che lavorano nei Comuni (e che dovranno continuare a farlo per 14 ore a settimana). Non importa che l’articolo sia stato impugnato da Roma: quei soldi sono stati già ‘vincolati’.

Restano 270 milioni, da cui bisognerebbe ritagliare l’aumento delle indennità. Una mossa pensata per aiutare i sindaci, potrebbe in realtà danneggiarli, dando vita a un circolo vizioso (e impietoso). Ma è solo l’ultimo esempio. La ‘finanza creativa’, come l’ha ribattezzata in aula Danilo Lo Giudice, sindaco di Santa Teresa di Riva e deputato di Sicilia Vera, attecchisce ogni anno in primavera, quando l’Ars è al lavoro per approvare la Legge Finanziaria. Le ultime sono state tremende. “L’azione portata avanti dal governo – diceva Lo Giudice, intervenendo in aula – non mi sembra che si ispiri al principio basilare della finanza e della contabilità pubblica, che è quello della prudenza” ma “piuttosto a quella che definiamo “finanza creativa”, di fronte a spese e a valori negativi che non vengono contabilizzati come dovrebbero”. In realtà, a conferma di questa tesi, basterebbe citare l’ultima relazione della Corte dei Conti in occasione del giudizio di parifica: “Dagli approfondimenti contabili sono emerse una molteplicità eterogenea di aree di criticità finanziaria, che pongono dubbi di attendibilità sull’esatta stima del risultato di amministrazione”.

Oppure affidarsi a qualche esempio. “La Regione – hanno segnalato, di recente, i deputati Nuccio Di Paola e Valentina Zafarana, del M5s – ha sbagliato i conteggi sui soldi che riceverà dallo Stato per compensare le minori entrate relative alle imposte del 2020 e 2021 dovute alla pandemia, prevedendo importi che non trovano riscontro nell’andamento delle perdite reali. Ma la cosa più grave è che si è scelto di prevedere queste somme, evidentemente non certe, per finanziare servizi essenziali per i siciliani per l’anno in corso e, soprattutto, per il 2022 e per il 2023”. L’errore potrebbe determinare tagli (le somme sono attualmente congelate) per tantissime categorie, fra cui talassemici, minori che necessitano di un ricovero, comunità alloggio per pazienti dimessi da ospedali psichiatrici, assistenti studenti disabili, e via discorrendo. “Questo – dicono i due deputati – è l’ennesimo fallimento di Armao. Come non ricordare, ad esempio, le innumerevoli norme impugnate delle quattro Finanziarie regionali, la stagione dei collegati nati nelle varie commissioni e poi mai arrivati al traguardo dell’aula per la scoperta in itinere della carenza di fondi, per non parlare della telenovela infinita della parifica del rendiconto 2019?”.

Ecco, il rendiconto rappresenta un’altra prova non superata. Che la Regione, fra l’altro, ha scelto di silenziare. Il 18 giugno, giorno della parifica, Musumeci aveva rimarcato durante il suo intervento di fronte alle Sezioni riunite della Corte dei Conti, di aver “voltato pagina nella gestione degli equilibri di bilancio e recuperato credibilità finanziaria”. Poco dopo sarebbe arrivata l’ennesima stroncatura: la bocciatura del Conto economico e dello Stato Patrimoniale, la segnalazione del mancato accantonamento di 315 milioni nel Fondo Contenziosi; dell’omessa istituzione di 102 milioni nel fondo rischi; dell’errata determinazione del Fondo crediti di dubbia esigibilità, sottostimato per 34 milioni. La scoperta di un nuovo disavanzo con lo Stato dal valore di 449 milioni. Eccetera eccetera. Di fronte a questo sfacelo, a una gestione finanziaria negligente e peccaminosa, la Regione ha risposto con un comunicato stampa lapidario in cui l’assessorato all’Economia spiegava che “per quanto riguarda alcune rettifiche richieste, ci si riserva di svolgere le considerazioni di merito appena sarà disponibile il dispositivo della decisione con le relative motivazioni”. E’ passato quasi un mese, e le considerazioni non arrivano.

Non è su questi elementi, d’altronde, che si costruisce la campagna elettorale prossima ventura. I numeri da esibire sono altri. Allo Spasimo, nella prima (e fin qui unica) kermesse sui primi tre anni di governo, l’assessore Armao ha accennato al fatto che “in questi anni abbiamo ottenuto un risparmio di circa un miliardo di euro passando da quasi 8 a 6,9 miliardi di debiti. Un miliardo in meno che grava sul futuro dei nostri figli. Ma il vero problema è che con le risorse che lo Stato oggi riconosce alla Sicilia non si riesce a coprire le prestazioni rese ai cittadini. Occorrono nuove norme di attuazione in materia finanziaria e il riconoscimento dello stato di insularità. Altrimenti i bilanci saranno sempre in sofferenza”. Insomma, il mirino è sempre spostato altrove. L’ultima Finanziaria, in confronto, è quasi tempo perso, briciole. E in parte è già stata azzannata da Roma, con l’impugnativa di una decina di norme (tra cui l’articolo sulla stabilizzazione degli Asu).

Al netto di questo, sono spariti i ristori: i 250 milioni promessi dal governo Musumeci, di cui non si ha traccia, sono finiti in un provvedimento amministrativo, per evitare ingorghi al parlamento. Ma fra i bug di sistema, una sorta di ‘effetto Armao’, ce ne sono alcuni di più celebri: i 70 milioni previsti dalla Finanziaria 2020, e mai utilizzati, per i buoni spesa (i Comuni non riuscivano a rendicontarli secondo la normativa europea); i 4 milioni di tagli alle pensioni degli ex dipendenti regionali, norma inserita nell’ultima Legge di Stabilità, che il parlamento ha cassato; la proposta-obbligo di riqualificare la spesa, a partire dalle società partecipate, per ottemperare alla richiesta di Roma, in cambio della concessione di una spalmatura del disavanzo. Proposte cadute nel vuoto, impegni mai onorati. Alla prova dei fatti si è rivelata impossibile qualsiasi operazione di risparmio, e deleterio il tentativo di affidarsi ai canali extraregionali – in assenza di risorse ‘proprie’, si punta su quelle comunitarie – per finanziare la spesa. Persino sugli enti locali ci si è mossi a tentoni: basti pensare che del fondo perequativo da 263 milioni inserito nella Finanziaria di guerra (anno 2020) ne è stata erogata una minima parte (29 milioni) solo qualche giorno fa, quando sono partiti i decreti per l’assegnazione di 500 milioni circa (tra trasferimenti, fondo per investimenti e precari storici).

Ma di fronte a questa incapacità di procedere, e di spendere (ci sono tre miliardi residui di fondi comunitari ancora nei cassetti), la Regione ha sempre trovato il modo di giustificarsi: “Il governo regionale non chiede prebende o regalie – ha dichiarato recentemente il presidente Musumeci -, ma le risorse per garantire l’espletamento delle funzioni statutariamente attribuite e i livelli essenziali delle prestazioni costituzionalmente riconosciuti e che con l’attuale gettito è insostenibile. Ho chiesto un incontro al Presidente del Consiglio Draghi per ridefinire urgentemente gli accordi finanziari riconoscendo alla Sicilia quanto necessario a garantire i diritti di cittadinanza, mentre al Ministero dell’Economia è già insediato il gruppo di lavoro misto Stato-Regione che, dopo una lunga pausa connessa anche alla pandemia, sta definendo le linee della nuova normativa di attuazione in materia finanziaria”. Avanti così, sperando nello Statuto.

Aggiornamento: attraverso le colonne del Giornale di Sicilia, l’assessore agli Enti locali, Marco Zambuto, ha chiesto che “senza risorse aggiuntive non c’è il sostegno della giunta alla legge. Non credo sia un problema trovare i soldi senza penalizzare i servizi pubblici”. Ma la domanda sorge spontanea: quando la norma sull’aumento delle indennità ai sindaci è stata approvata in commissione, il governo dov’era?