Il bullo di Palazzo d’Orleans è tornato al suo vecchio mestiere: quello di minacciare querele per zittire chiunque sollevi un dubbio sulla sua attività di governo. Sabato 31 agosto sul Foglio è uscito un articolo in cui ci si chiedeva come mai il giustizialista Alfonso Bonafede, il governatore della Sicilia, Musumeci, procure e antimafie di ogni genere e qualità, non avessero pronunciato una sola parola sullo sporco affare di 91 milioni pagati dalla Regione a un clan di avventurieri per un censimento dei beni immobili che nessuno però ha mai visto. Apriti cielo. Il bullo si è preso cinque giorni di tempo e ha stilato una nota bizzarra e bizantina nella quale accusa l’autore dell’articolo di avere omesso una circostanza fondamentale: la Regione è in possesso della password di “utente” e pertanto “è sempre stata nelle condizioni di accedere alla visualizzazione ed estrapolazione dei dati rilevati e informatizzati dalla Società Patrimonio Immobiliare”. Ma il bullo, che è un maestro del bluff, dimentica un dettaglio. Che è stato proprio lui il 2 luglio scorso, nella sede dell’Assemblea regionale, ad affermare che la Regione non avesse la password necessaria per accedere ai pochi dati lasciati dall’avventuriero Ezio Bigotti nel server di Sicilia Patrimonio Immobiliare.

Il 2 luglio, non una data a caso. In quella circostanza, a Palazzo dei Normanni, si discuteva di uno dei tanti “collegati” alla Legge Finanziaria. E all’articolo 11, si faceva presente la necessità di procedere a una “ricognizione straordinaria della situazione patrimoniale della Regione”. Un nuovo censimento mascherato, di cui avrebbero dovuto occuparsi il Genio Civile e il Dipartimento tecnico per ottemperare a una precisa richiesta della Corte dei Conti, fatta in sede di parifica. Sembrava una sciocchezza, un passaggio parlamentare più che logico, fin quando il Movimento 5 Stelle ha notato che qualcosa non filava: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, Governo, cittadini – esordiva il deputato grillino Nuccio Di Paola, come si evince dai resoconti parlamentari – questo articolo prevede la ricognizione straordinaria della situazione patrimoniale della Regione – ce lo chiede pure la Corte dei Conti quindi è doveroso farlo -, però Assessore le volevo chiedere: che fine ha fatto il dossier che è stato fatto nel 2009 per quanto riguarda la situazione patrimoniale, dove la Regione ha speso 91 milioni di euro? Perché 91 milioni di euro non sono noccioline”.

Non sono noccioline, per niente. Anche se qualcuno fa il sordo da anni. Nel 2007, nell’ambito di una complessa operazione immobiliare che riguardava la cessione di alcuni edifici (33) dalla Regione al fondo Fiprs, a Sicilia Patrimonio Immobiliare – una società partecipata al 75% dalla stessa Regione e al 25% da una società consortile riconducibile all’imprenditore Ezio Bigotti (ora ai domiciliari per corruzione) – fu commissionato un censimento dei beni immobili dell’Ente per una cifra vicina ai 13 milioni, e poi destinata a salire. In modo surreale.

Quel ricordo, che non sembra attecchire nella memoria del bullo di Palazzo d’Orleans, il 2 luglio scorso rifiorisce all’improvviso. E lui che fa? Gioca in difesa: “La vicenda di Sicilia patrimonio immobiliare? E’ noto che sul punto, oltre al contenzioso che è in essere ed una serie di accertamenti da parte delle Procura della Corte dei Conti, della Procura della Repubblica che ha, più volte, sequestrato atti e sta facendo gli opportuni accertamenti, sul punto la Regione ha acquisito il server ma, ad oggi, non risulta disponibile la password per entrare nel documento. Abbiamo fatto un’intimazione alla proprietà, ma non è questo il contesto. Ovviamente, sono disponibile a dare tutti i ragguagli del caso. Stiamo tutelando gli interessi dell’Amministrazione nel miglior modo possibile ma, ad oggi, questa banca dati non è direttamente disponibile e, comunque, trattandosi di valori immobiliari andrebbe certamente aggiornata”.

E’ il bullo a tirare fuori per la prima volta la storia della password. E il Movimento 5 Stelle ci ricama sopra. Il giorno seguente, su Facebook, pubblica un video esilarante in cui si vede il bullo coi suoi tentativi – maldestri – di ricordarsene. Nessuno, fino a quel momento, dubitava del fatto che una situazione così complessa dipendesse da un banale codice cifrato, che – ce lo svela oggi l’Amministrazione regionale con la sua richiesta di rettifica all’articolo del Foglio – gli uffici hanno sempre avuto a propria disposizione. L’equivoco, se di equivoco si tratta, non è imputabile alla stampa, ma a uno dei maggiori inquilini di Palazzo di Orleans. Il bullo, per l’appunto. Tanto amato, protetto, coperto e portato sugli scudi dal presidente Musumeci.

I 5 Stelle chiedono la sua convocazione di fronte alla commissione regionale antimafia (il presidente Claudio Fava acconsente), ma l’artefice di questo pastrocchio ha già assicurato che si presenterà in prima commissione, quella degli Affari istituzionali, per chiarire la natura della vicenda e i motivi che lo hanno spinto a chiedere una nuova “ricognizione straordinaria” del patrimonio dell’Ente. Poi, a distanza di pochi giorni, dal cilindro del prestigiatore sbuca fuori la famosa password dispersa: “Inizialmente gli uffici avevano avuto qualche problema di verifica e di controllo – si giustifica il re del bluff – Fra il 17 e il 18 luglio avremo il pieno accesso alla banca dati, come da impegno preso con l’Assemblea abbiamo risolto la questione. Qui non si vuole coprire nessuno”. E meno male. Dal pieno accesso alla banca dati, però, non si è più avuta notizia. L’unica notizia – questa sì, documentata – è che il famoso articolo 11 sulla ricognizione straordinaria della situazione immobiliare dell’Ente, è stato definitivamente stralciato da tutti i disegni di legge che hanno preceduto le ferie estive (compreso quello sullo sblocco delle assunzioni, che c’azzeccava?).

Ma adesso il tempo stringe e non sarebbe giusto far passare la questione in sordina. Anche il presidente dell’Ars Gianfranco Micciché, intervistato da Buttanissima, ha chiesto che qualcuno parli. Visto, come si sostiene, che non c’è nulla da nascondere. E che lo faccia in fretta, perché questa vicenda rischia di mettere in cattiva luce il governo e comincia a diventare fastidiosa anche per lui. Ora che le ferie estive son finite, anche il presidente della commissione regionale antimafia Claudio Fava ha dato seguito alla richiesta dei Cinque Stelle e ha programmato un’audizione col bullo di palazzo d’Orleans per giovedì prossimo alle 11. E’ lui l’uomo chiave di questa storiaccia: fu il consulente di fiducia quando Bigotti cercava entrature in Sicilia; fu l’assessore al bilancio che  dieci anni fa contestò e bloccò bloccò, ma senza mandare gli atti in procura, l’attività dell’avventuriero di Pinerolo; fu lui che di fatto consentì a Bigotti di montare una vertenza senza fine e di chiedere continui risarcimenti milionari; è lui che ora, da assessore di Musumeci, amministra gli ultimi sviluppi dello scandalo, a cominciare dagli arbitrati che, a quanto pare, dovrebbero portare altri milioni nelle tasche  del suo ex assistito. D’altronde cosa gli si chiede se non un po’ di dannata chiarezza? Da dieci anni and counting…