Il mega rimpasto, che all’indomani delle elezioni europee era stato definito come il classico “ritocco al motore” da fare “entro l’estate”, ed è poi diventato “un rimpastino” mica “un terremoto”, sembra non lo voglia più nessuno. Nessuno. Musumeci non ha mai apprezzato l’idea di dover stravolgere il suo esecutivo di cui va orgoglioso (parole espresse durante il dibattito parlamentare sulla questione morale); Miccichè vorrebbe una sostituzione anziché un ribaltone; Romano e Pullara, popolari e autonomisti, hanno capito che … troppa grazia, e non hanno intenzione di toccare nulla; e persino la Lega, reduce dal boom elettorale si guarda bene da un ingresso in giunta, un impegno carico di responsabilità e disguidi che la sua classe dirigente, ancora troppo acerba nell’Isola, non ha voglia di affrontare, non subito.

E allora tutto rimane bloccato, simile a se stesso. Ogni tanto un avvertimento, i buoni propositi che non mancano mai, e via andare. Ma cominciamo dall’inizio. Nello Musumeci e la sua Diventerà Bellissima hanno un solo uomo in giunta: l’assessore alla Salute Ruggero Razza. Acquisire forza e prestigio grazie all’immissione di forze fresche – in quest’ottica va la riorganizzazione del movimento e la federazione con la Lega – potrebbe indurre – ma in futuro, non adesso – un rimescolamento di carte. E magari Nello in giunta potrebbe piazzarci un altro fedelissimo, o uno che piace alla Lega. L’unica prerogativa del governatore, che nessuno – pubblicamente – ha voglia di ostacolare, è la scelta del nuovo assessore ai Beni Culturali.

Non lo rivendica Miccichè per Forza Italia, non lo avrà Raffaele Lombardo, che in quel posto aveva tentato (invano) di incastrare le sorti di Antonio Scavone, da qualche tempo subentrato alla Ippolito all’assessorato alla Famiglia. Quelli ai Beni Culturali resta l’assessore “tecnico” di Musumeci. Che ha facoltà di scelta: non senza aver consultato gli alleati. Pare che la nomina di Panvini, attorno alla quale si è bloccato tutto l’ambaradan, non sia vista di buon occhio all’interno della coalizione. Da qui il rallentamento. Più in generale, non sembra che per ricoprire il posto lasciato vacante da Tusa ci sia un fiume di candidati: Davide Rampello s’è chiamato fuori, anche Carmelo Briguglio non è della partita. E su Patrizia Li Vigni, vedova dell’archeologo, Vittorio Sgarbi – che sente Musumeci e, in qualche caso ne è consigliere – ha manifestato qualche riserva. Probabile che la questione si dilunghi: nella speranza di trovare un nome, magari non siciliano, che accontenti tutti.

Il panorama s’infittisce se pensi a Forza Italia. Il partito di Miccichè al momento ha tre assessori in giunta: quello all’Agricoltura, Edy Bandiera, quello alla Funzione Pubblica, Bernadette Grasso, e quello alle Infrastrutture, Marco Falcone. Gaetano Armao (vicegovernatore ed Economia) è uscito ufficialmente dal lotto. Il gruppo – parola di Micciché – l’ha sfiduciato e si attende l’inizio di luglio per negoziare con Musumeci la sua fuoriuscita dal governo. Tra quelli sopra menzionati quello più “a rischio” sembra Bandiera, in nome di una più equa ripartizione fra i territori (e anche perché Stefania Prestigiacomo, siracusana come lui, non gongola all’idea di una conferma). Anche se Miccichè ha detto che, fosse per lui, tutti potrebbero rimanere al loro posto: “Non farei alcun rimpasto – ha detto a Buttanissima – I miei assessori stanno lavorando bene. Se poi, per ragioni di partito, ci fosse bisogno di un avvicendamento, allora ne parleremo…”. Micciché si accontenterebbe di veder sparire Armao dall’esecutivo.

Al contrario di quanto messo in giro nelle ultime ore, non è Forza Italia a pretendere un rimpasto (grande e immediato). Anche se al coordinatore regionale del partito non dispiacerebbe “strappare” un assessore – dato il 17% alle Europee – ai centristi (Lagalla o Cordaro) o a all’Udc (Turano o il “tecnico” Pierobon). L’Udc sembra sovradimensionata in generale (anche se all’Ars ha appena acquisito Lo Giudice dal “misto”). I Popolari di Romano, invece, lo sono rispetto agli autonomisti di Lombardo, con cui hanno costituito sin dal novembre 2017 un gruppo unico all’Ars. Eppure, a stoppare qualsiasi “derby” fratricida, ci ha pensato (in teoria) l’intervento di Carmelo Pullara, il capogruppo dei Popolari e Autonomisti, ma anche la più alta espressione del “lombardismo” in Assemblea: “Mi sembra doveroso – ha esordito il deputato agrigentino – puntualizzare che il gruppo autonomista non intende sostituire alcuna persona in Giunta, inoltre e per dovere di cronaca, Saverio Romano non vuole fare l’assessore”. E ha aggiunto: “Siamo sicuri che il Presidente Musumeci confermerà o sostituirà gli assessori in base a meriti personali e non certo per assecondare cambi o scambi o per premiare i portatori di voti delle Europee”.

A fargli eco è stato proprio Saverio Romano, che dopo la mezza-delusione delle Europee, sembrava pronto a esibire i muscoli e chiedere lui stesso di entrare nell’esecutivo al posto di Cordaro. Ufficialmente, però, ha rinnovato la fiducia all’assessore al Territorio – nonostante qualche screzio per il voto su Palermo il 26 maggio – e, sul rimpasto, si è limitato a dire che è roba di Micciché: “E’ lui ad aver contratto debiti in campagna elettorale. A noi interessa altro”. I debiti di Micciché, che il diretto interessato ha smentito con una risata fragorosa, avrebbero un paio di direzioni: una porta a Totò Cardinale e Sicilia Futura; l’altra al sindaco di Messina Cateno De Luca. Potrebbero condividere un assessore: ad esempio Beppe Picciolo. Al momento, però, nessuna fuga in avanti.

E resta al suo posto anche la Lega. Stefano Candiani, pur garantendo il suo appoggio esterno a Musumeci, non ha intenzione di chiedergli assessori: “Non lo abbiamo fatto un anno e mezzo fa, non capisco perché dovremmo farlo adesso”. Forse in funzione della valanga di voti ottenuti in Sicilia alle ultime Europee. Ma, in effetti, l’unico deputato di riferimento del Carroccio in Sicilia, al momento, è Tony Rizzotto. Sarebbe diverso se Rizzotto, magari assieme a Luigi Genovese e qualcun altro, decidesse di sposare l’operazione di Musumeci e riunirsi, almeno in Assemblea, sotto le insegne della nuova Diventerà Bellissima. In tutta questa incertezza, che probabilmente si protrarrà fino a luglio o, perché no, settembre, resta una questione da chiarire: che fine ha fatto l’assessore al Turismo? A febbraio Pappalardo è stato nominato nel cda dell’agenzia nazionale del Turismo. Ha tenuto il suo ruolo in stand-by per mesi, la settimana scorsa ha consegnato le dimissioni nelle mani di Musumeci e Musumeci che fa? Niente. Non ha ancora firmato il decreto di nomina del suo successore.

Nome: Manlio. Cognome: Messina. Fratelli d’Italia è l’unico partito che non s’è mai tirato indietro e che da mesi progetta il turnover. Turnover che non quaglia. Sarà che il gruppo parlamentare, ogni tanto, ha fatto le bizze (l’onorevole Catalfamo è stato tra i firmatari dell’emendamento che ha rinviato le elezioni di secondo livello per le ex province), sarà che Musumeci e Meloni non viaggiano più sulla stessa lunghezza d’onda (a causa di Stancanelli e della sua candidatura per Bruxelles). Ma questo passaggio – estremamente naturale – ancora non avviene. Se non ora, quando?