“Il carcere mi ha massacrato psicologicamente. Tutto mi sarei aspettato ma non un provvedimento restrittivo di questo tipo” ma “sono stato e resto un uomo delle istituzioni”. Lo ha detto Antonello Montante, ex leader di Sicindustria, a margine dell’udienza del processo d’appello che l’ha visto protagonista, ieri, nell’aula bunker del carcere di Caltanissetta. Uomo sì, ma anche “strumento delle istituzioni e in particolare dei magistrati. Senza le istituzioni, compresi i magistrati, io non avrei potuto fare nulla di ciò che ha fatto. C’è stato un rispetto istituzionale dei ruoli e non soffro di vittimismo”.  L’ex paladino dell’Antimafia è stato condannato a 14 anni in primo grado per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.

“C’è una frase importante di Papa Francesco che ho fatto mia. ‘Nella vita è bello non fare male’. Con questa frase – ha aggiunto Montante – sono riuscito a resistere e a perdonare i traditori. Io non parlerò male, parlerò della verità. Cioè quello che abbiamo fatto: sacrificare la vita per le istituzioni”. E ancora: “Io non ho fatto dossieraggio. Io scrivevo tutto perché la mia paura era quella di non ricordare. Voi giornalisti quando volete raccontare la verità lo fate bene. Quando non volete non lo fate”. A chi gli chiedeva della distruzione delle pen drive prima dell’arrivo delle forze dell’ordine per arrestarlo, Montante ha spiegato che “ho solo trasferito il contenuto delle pen drive che mi davano le mie segretarie in un’unica pennetta”.

Ma le dichiarazioni più succulenti arrivano all’interno, lontano dagli sguardi indiscreti dei giornalisti (a cui è stato vietato assistere al processo). E hanno come oggetto gli attuali protagonisti della politica: il governatore Musumeci e il suo vice, Gaetano Armao. Che “venivano da me” e “discutevano con me” per “confrontarsi nei rispettivi ruoli istituzionali. Mi chiedevano cosa dovevano fare”. Gli ultimi contatti risalgono al 2018, prima dell’operazione Double Face che costerà l’arresto all’ex leader di Sicindustria. Un periodo in cui Musumeci e Armao, come riporta ‘La Sicilia’, continuano a “chiedere indicazioni su come muoversi, su cosa portare avanti nella loro azione politica”. Montante, nel corso dell’esame portato avanti dai suoi difensori (Carlo Taormina e Giovanni Panepinto), parla del rapporto con alcune toghe e si sofferma su Caterina Chinnici, all’epoca assessora del governo Lombardo: “Mi chiese di entrare direttamente nel suo governo, ma io non potevo. E così scegliemmo Marco Venturi (poi divenuto uno dei suoi accusatori) nel balcone della mia stanza di un hotel di Palermo” per dare il via libera ufficiale all’ingresso di Confindustria nelle stanze dei bottoni.

Montante parla anche di Alfonso Cicero, ex numero uno dell’Irsap e, al pari di Venturi, considerato un traditore: “Per lui mi sono stracciato le vesti, non capisco questo accanimento contro di me. Tutti i lunedì pomeriggio era a casa mia, lo osteggiavano tutti e io lo difendevo sempre. Gli ho fatto avere anche la scorta”, avrebbe detto l’ex imprenditore di Serradifalco, come riportato da La Sicilia. “Mi sono speso per tutte le cariche rivestite nel tempo anche contro la volontà dei vertici della Regione che non volevano saperne di lui”. L’interrogatorio proseguirà anche oggi.