Con 31 voti a favore, 2 astenuti e nessun contrario l’Assemblea regionale siciliana ha rinviato le elezioni di secondo livello nelle ex province, previste inizialmente per il 19 aprile. Il movimento 5 Stelle non ha partecipato alla votazione. Si tratta del quattordicesimo rinvio negli ultimi cinque anni. Le elezioni, in cui si esprimeranno sindaci e consiglieri comunali, si terranno in una finestra temporale che l’Ars ha individuato fra il 15 settembre e il 15 ottobre. Si attende, quindi, il responso delle urne del prossimo 24 maggio, che determinerà i nuovi assetti in due comuni capoluogo come Agrigento ed Enna. Durante la votazione di oggi a Sala d’Ercole è passato anche un emendamento del Pd, proposto dal capogruppo Giuseppe Lupo, che permette di “insediare entro aprile le Assemblee dei sindaci dei Liberi Consorzi e delle città Metropolitane per garantire collegialità e partecipazione, migliorando l’attività delle ex province già prima delle elezioni di secondo livello”.

LA STORIA DELLE EX PROVINCE SICILIANE

Verrebbe quasi da dire che queste province sarebbe meglio chiuderle. Se non fosse che l’attuale paralisi è stata determinata, anno 2014, proprio dalla loro cancellazione. Se ne occupò il magnifico Crocetta, in diretta tv da Massimo Giletti, quando L’Arena andava ancora in onda sulla Rai (oggi si è trasferita su La7, e Crocetta non ha ancora abbandonato il campo). Il 4 marzo si presentò in trasmissione e disse di voler spazzare via quegli inutili stipendifici da 700 milioni l’anno, sostenuto dai grillini. La ratio stava nel contenimento della spesa. Ma la questione è tuttora aperta. A sei anni di distanza, gli enti d’area vasta rimangono senz’arte né parte. Un esempio di democrazia in dissesto.

La normativa che prevedeva l’abolizione degli enti intermedi (legge regionale 8/2014) è stata seguita a ruota dalla Legge Delrio, ma in Sicilia non è mai stata applicata fino in fondo. E soprattutto non ha garantito, e non lo garantisce tuttora, il riequilibrio delle competenze. Ossia: venendo a mancare gli “enti attuatori” di determinate funzioni – alcune fondamentali, come la manutenzione stradale e l’assistenza ai disabili – chi subentra? La risposta è “nessuno”. Così un passo alla volta si è tentato di ridare alle ex province una parvenza di normalità: la legge 17/2017, quando era ancora in carica il governo Crocetta, aveva stabilito il ripristino delle elezioni di primo grado, ma venne bocciata dalla Corte Costituzionale. Così al governo Musumeci non restò che intestarsi una soluzione per rappezzare tutto: procedere con le consultazioni di secondo livello, che secondo una legge emanata nel 2019, aveva individuato da gennaio ad aprile 2020 il periodo più opportuno in cui votare. Poi, dopo un lungo rimpallo fra aula e commissione Affari istituzionali, si è deciso di spostare tutto all’autunno.

E’ facile capirne il motivo: il rinnovo di amministrazioni e consigli comunali – si vota anche in due capoluoghi: Enna ed Agrigento – è propedeutico all’insediamento dei nuovi presidenti dei Liberi Consorzi (nelle tre città metropolitane – Palermo, Catania e Messina – si eleggeranno solo i consiglieri, mentre rimarranno in carica i tre sindaci metropolitani: Orlando, Pogliese e De Luca). E’ in ballo una grossa fetta di prestigio in quest’ennesima spartizione politica. Che oggi come oggi fa gola a tanti. In alcune delle ex province, infatti, non si vota dal 2007.  E gli enti risultano commissariati da oltre sette anni. I commissari rimarranno in carica fino a maggio del 2020. Poi verranno prorogati. Che male c’è?

Ma facciamo un passo avanti. Per determinare la guida delle ex province, andranno alle urne i sindaci e i consiglieri comunali dei 390 comuni dell’Isola e non i cittadini. Si chiamano, infatti, elezioni di secondo livello. Il voto è ponderato – cioè ha un peso diverso – in base alla popolazione dei singoli comuni, e quindi risultano favoriti i sindaci dei comuni più grandi: a Caltanissetta sarà sfida fra Lucio Greco (sindaco di Gela, con l’appoggio del Pd) e Roberto Gambino (primo cittadino di Caltanissetta, del M5s); a Ragusa fra Giuseppe Cassì (del comune capoluogo) e Ignazio Abbate (di Modica); a Siracusa ci sarebbe Francesco Italia, che però ha il consiglio comunale sciolto (e deve procurarsi i voti altrove); a Trapani la strada appare in discesa per Giacomo Tranchida, dato che l’altro comune “grosso”, Marsala, andrà al voto in primavera. Mentre nei liberi consorzi di Enna e Agrigento, con la scadenza elettorale in vista, non potrebbero correre i sindaci dei comuni più rappresentativi. Da qui il tentativo dell’Ars di stoppare tutto per riequilibrare la situazione.

L’ipotesi del rinvio, prospettata dalla quasi totalità dei gruppi parlamentari della maggioranza (ad eccezione di Diventerà Bellissima, che però la ritiene “ragionevole”), sembrava cosa fatta. Finché la settimana scorsa la prima commissione ha dato verdetto sfavorevole: nessun rinvio, si vota subito. Strano ma vero, la “bocciatura” aveva riscosso il parere favorevole del governo, con in testa l’assessore Bernadette Grasso: “Il governo battuto sulle ex Province? Tutto il contrario – diceva la Grasso – Abbiamo invece accolto positivamente l’esito della votazione di ieri in commissione Affari istituzionali. Non è vero che è stato l’orientamento del governo regionale ad andare sotto, anzi è passata la linea che sosteniamo da tempo: tornare alle urne al più presto, cioè il 19 aprile, come stabilito in giunta. Intendiamo rispettare l’impegno a restituire rappresentatività democratica alle Città metropolitane e ai Liberi consorzi comunali, chiudendo la lunga e difficile stagione dei commissariamenti. Il “no” all’ennesimo rinvio della consultazione, dunque, non può che lasciarci soddisfatti”. Un “no” arrivato grazie al voto di Pd e Cinque Stelle, che qualche anno fa le province le avevano abolite nottetempo. E che oggi si impegnano per renderle rappresentative.

Solo che alla discussione della settimana scorsa ne è seguita un’altra a Sala d’Ercole. In cui sono emerse altre novità, che farebbero propendere lo stesso assessore Grasso – non c’è alcuno scambio di persona – a rivedere la “soddisfazione” del governo: “In fase di attuazione – ha spiegato l’esponente del governo Musumeci – è emerso un contrasto della norma attuativa e la normativa regionale. Inoltre alcuni comuni dove non c’è stata ancora la riduzione del numero dei consiglieri finirebbero per pesare di più sul voto rispetto a quelli in cui la riduzione c’è stata. Il rinvio comporterebbe che tutti i consigli comunali voterebbero con un numero adeguato di rappresentanti”. Ergo: il governo non è più convinto di votare il 19 aprile, ma sarebbe favorevole al rinvio. Però deciderà la commissione. E poi, se il verdetto non dovesse essere unanime, magari ancora l’aula. In questo continuo ping pong, il termine sta per scadere. E sindaci e consiglieri comunali che aspirano a qualche poltroncina comoda (ma non troppo) si arrovellano su quale alleanza sia migliore.

Su questa lunga storia, che non ha ancora visto la parola fine, vanno a incidere un paio di ragionamenti. Il primo è di carattere economico: chiunque dovesse diventare presidente di un Libero Consorzio, con assessori al seguito (perché sì, ci saranno anche le giunte), troverà una poltrona arroventata. Alcuni enti sono in dissesto, come nel caso di Siracusa, e tutti gli altri devono fare i conti con una situazione finanziaria drammatica, talvolta non riuscendo a chiudere i bilanci. Il prelievo forzoso dello Stato sugli enti d’area vasta siciliani ha inciso per duecento milioni l’anno, e solo di recente il vice capogruppo dei Cinque Stelle alla Camera, Adriano Varrica, ha annunciato un “taglio ai tagli”. Così, dal decreto Milleproproghe, sono arrivati 80 milioni da ripartire ai nove enti per chiudere i bilanci.  Inoltre, l’impegno di Roma per le ex province siciliane dovrebbe consistere in 540 milioni per strade e scuole fino al 2025, e altri 56 per il triennio 2020-23 (per la manutenzione stradale). Ma le province sono le stesse che, pur in presenza di finanziamenti, non riescono a elaborare progetti per la viabilità secondaria, che oggi appare letteralmente distrutta. E che faticano nel garantire servizi essenziali come l’assistenza ai disabili e la manutenzione degli edifici scolastici. A stento riescono a pagare i dipendenti e assolvere le obbligazioni di legge. Nulla che garantisca una poltrona comoda.

Infine c’è Musumeci – e qui il discorso assume una piega più politica – che il 31 dicembre ha sostituito i commissari di Siracusa, Caltanissetta ed Enna. E oggi osserva le beghe interne alla sua maggioranza quasi da spettatore: “Abolire le province è stato un errore – ha confermato qualche giorno fa nel corso di un’intervista a Sky –  Sono un ente intermedio che da centosessanta anni fa da cerniera tra la polverizzazione municipale da una parte e il centralismo regionale o statale dall’altra. Averle soppresse, decapitate o ridimensionate senza aver inventato qualcosa che le sostituisse, in Sicilia ha determinato che diciassettemila chilometri di strade provinciali sono in condizione di abbandono – dice – L’edilizia superiore, che è di competenza provinciale, cade a pezzi. Non è con il ridimensionamento delle province che si fa la guerra ai costi della politica. Una cosa sono i costi della politica, altra cosa sono i costi della democrazia. Una democrazia costa perché la libertà costa”. Anche Salvini, nella due giorni palermitana, ha osato: perché non reintrodurle?