E’ la stanza del tesoro salgariano di Giorgia? O forse il caveau di Meloni – dove sono custoditi i regali donati alla premier – altro non è che un fantastico bazar più in stile Porta Portese che il deposito di zio Paperone dentro cui tuffarsi la mattina? La pulce nell’orecchio l’ha messa il deputato di Italia viva Francesco Bonifazi con una interrogazione birbante, depositata un mese fa, per verificare “l’elenco dei regali superiori a 300 euro ricevuti dalla premier”. E per capire, soprattutto, “se abbia restituito la differenza dei regali superiori a 300 euro che ha tenuto nella sua disponibilità”. Malizia delle malizie.
Il Foglio ha ricostruito la lista dei cadeaux dichiarati da Palazzo Chigi, depositata al sindacato ispettivo della Camera in risposta all’interrogazione del parlamentare renziano. Undici pagine di souvenir catalogati: dalla ciotola di Joe Biden a un paio di scarpe pitonate, che se le vede Daniela Santanchè è la fine.
I regali dichiarati da Giorgia Meloni si trovano in una mitologica stanza, chiusa a chiave, al terzo piano di Palazzo Chigi, gestita dal cerimoniale della presidenza del Consiglio (gli oggetti più ingombranti nei locali di via della Mercede). Non può portarseli a casa, se superano 300 euro di valore. Al massimo possono finire all’asta per beneficenza o esposti in una mostra, così dicono le varie circolari anticorruzione che si sono susseguite in questi anni, decenni, dopo – si immagina – episodi poco edificanti capitati a precedenti governi. I doni istituzionali raccontano – tipo le calamite da frigorifero per noi comuni mortali – i viaggi (e i ricevimenti). In Italia e all’estero.
E allora ecco i cappelli da alpino e da bersagliere, donati alla premier quando ha partecipato ai rispettivi raduni di Udine e di Ascoli. E poi come dimenticare il foulard grigio punteggiato da fotoritratti di abitanti albanesi del Novecento che le regalò il primo ministroartista Edi Rama lo scorso 15 gennaio – genetliaco meloniano – a margine di un vertice sull’energia ad Abu Dhabi inginocchiandosi al cospetto della capa della destra italiana? La quale, sempre quel giorno, riceverà un vaso alto, un vaso basso e una preziosa mattonella. Le missioni e i rapporti in Libia, invece, hanno prodotto statuette a forma di cammello, ma anche vasi della tradizione. E non solo: un set di tappeti, due bracciali in metallo, quattro quadri, un piattino in metallo, gioielli, una collana, un altro bracciale, un anello, orecchini, ancora un quadro e una targa.
Il primo ministro uscente della Romania Marcel Ciolacu quando si è presentato a Palazzo Chigi per un vertice intergovernativo ha bussato con i piedi perché aveva le mani impegnate da un costume tradizionale composto dalla tipica camicia di lino – “Ia” si chiama – tempestata da croci rosse pronte a proteggere chi indossa l’indumento (accompagnato da una lunga gonnellona rossa ricamata: a occhio e croce poco meloniana come stile). Senza innescare derby a Est bisogna però raccontare la classe di Peter Pellegrini, presidente della Slovacchia, che per non sapere né leggere né scrivere lo scorso 14 gennaio si è affacciato al bilaterale con una graziosa parure composta da spilla, orecchini, anello e porta gioielli. Certo, nulla a che vedere, forse, con una catenina di diamanti, oro e citrino che le diede il presidente dell’Uzbekistan Shavkat Mirziyoyev nel gennaio 2023. Il tutto con un bel mazzo di fiori rosa e lilla, per non sembrare cafone, forse. Continua su ilfoglio.it