E l’Orchestra Sinfonica?
La dimenticanza di Rep.

L’edizione palermitana di Repubblica vive una felice stagione: ci ritrovi la puntualità della cronaca, il respiro largo del commento, il rifiuto tenace della banalità. Diciamolo: la direzione di Emanuele Lauria ha ridato slancio e lucentezza a un quotidiano che non dava più segni di vita. Eppure anche Rep. ha fatto un errore. Pochi giorni fa il giornale lamentava il fatto che i due principali teatri di Palermo ­– il Massimo e il Biondo – sono in attesa che la politica provveda alla nomina dei due sovrintendenti; ma i partiti non trovano l’accordo e le due istituzioni culturali vanno avanti a mosca cieca. Nell’articolo però mancava un riferimento all’Orchestra Sinfonica, sottoposta da oltre quattro anni a una oscena girandola di pagnottisti e ridotta ormai a un baraccone di sottogoverno. Non si..

Che pacchia la Sicilia
per i santoni azzurri

In attesa che il presidente della Regione, con al seguito una corte di famigli e pagnottisti, trascorra la sua settimana di vacanza in America si materializza in Sicilia il fantasma di Gianni Letta, l’ex eminenza grigia di Silvio Berlusconi. Ufficialmente Renato Schifani, 74 anni, va a New York per rinsaldare i rapporti tra la Sicilia e gli Stati Uniti: una scusa come un’altra per un soggiorno a metà tra la politica e il divertimento, tra la promozione del made in Sicily e una ricca colazione da Tiffany. Mentre Gianni Letta, 89 anni, si manifesta in Sicilia per piazzare alla direzione del Teatro Biondo di Palermo un suo candidato: l’attore Luca Lanzareschi. La Sicilia, per i berluscones, è una felicissima colonia. Che garantisce potere e sollazzo ai santoni che partono e..

Una nota al borotalco
per addolcire la batosta

Beati quei giornalistuzzi che credono alle versioni ufficiali. Sull’incontro tra Renato Schifani e Raffaele Lombardo i portavoce di Palazzo d’Orleans sottolineano “il clima di grande collaborazione e rispetto istituzionale”. Ma un occhio esperto non fa fatica a notare che per la prima volta – insisto: per la prima volta – il presidente della Regione ha abbassato la testa, abbandonando spocchia, arroganze e prepotenze. Sul passaggio del sindaco Lagalla all’area dei suoi più acerrimi nemici – il regista dell’operazione, oltre Lombardo, è stato Gianfranco Micciché – neppure una parola: segno che il Viceré ha ingoiato il rospo. Mostrando, di fatto, l’intenzione di evitare intanto che il dissenso esploda davanti agli stati generali di Forza Italia in programma per il 27 ottobre alla Zagarella. Poi ricomincerà coi rancori e le vendette. Ma..

Riapre il retrobottega
degli affari immobiliari

Palazzi che si vendono e palazzi che si comprano. Riapre il retrobottega immobiliare della Regione. Lo amministra, con le accortezze del caso, una conventicola della quale fanno parte mediatori e avvocati d’affari, padrini e traffichini, tutti ovviamente a caccia del colpo grosso. Tra i partiti e le anime belle dell’opposizione dovrebbe scattare quantomeno un allarme. Perché questo particolare commercio è il pozzo di San Patrizio nel quale si tuffano a capofitto avventurieri come il piemontese Ezio Bigotti che, con un censimento farlocco del patrimonio immobiliare della Regione, riuscì a intascare, qualche anno fa, un malloppo di oltre cento milioni di euro, puntualmente trasferito nel paradiso fiscale del Lussemburgo. Sapete chi era il suo consulente? Gaetano Armao, l’opaco avvocato d’affari che, a Palazzo d’Orleans, siede alla destra del governatore Schifani.

Il Viceré di Sicilia
ha le spalle nude

Si credeva unto dal Signore come Silvio Berlusconi e perciò ogni problema gli scivolava sulle spalle come acqua sul marmo. Liquidava la sanità con un serpigno sorrisetto di sufficienza e trattava la siccità con la spocchia dell’uomo protetto – nell’ordine – da Giorgia Meloni, da Ignazio La Russa e da Antonio Tajani. Ma da ieri all’invincibile e onnipotente Renato Schifani tremano le gambe. Perché il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, asfissiato dai suoi rancori e dalle sue prepotenze, gli ha mollato un ceffone stratosferico e si è buttato tra le braccia di Raffaele Lombardo e Gianfranco Miccichè, le sue spine nel fianco. Il reuccio di Palazzo d’Orleans comincia dunque ad avere le spalle nude. Lo inquieta il sospetto che l’operazione Lagalla possa essere nata col tacito consenso del segretario di..

Dopo il pagnottista
s’avanza l’impostore

La prima tentazione sarebbe quella di chiamarli impostori. Ma per non dare pensieri alle procure o alla Corte dei Conti chiamiamoli semplicemente magliari. O truffaldi. Travestiti da giornalisti e guidati da un boss in divisa di editore, vanno in giro per le amministrazioni della Sicilia – Asp, Comuni, Consorzi – e propongono contratti biennali per garantire un “servizio di gestione social networks”. Prezzo a trattativa privata: centoventimila euro più Iva. In omaggio – “paghi uno e prendi due” – offrono “protezione giornalistica” tramite un sito d’informazione che dispensa interviste di comodo ai clienti che, con la stipula del contratto, di fatto hanno già pagato il pizzo. Per adescare e abbindolare i boccaloni vantano referenze altolocate, addirittura riconducibili a Palazzo d’Orleans. La Sicilia dei saltimbanchi diventa sempre più spregiudicata e aggressiva.

Sul teatrino della politica
prevale la macchietta

Il teatrino siciliano della politica ormai produce solo macchiette. “Si placa l’ira di Schifani”, scrive Repubblica. E tu immagini che al centro del palcoscenico ci sia lui, il presidente della Regione, con gli occhi di fuoco e lo sguardo corvino, che legge gli attacchi del perfido Faraone e invoca vendetta, tremenda vendetta. Famigli e maggiordomo tentano disperatamente di inumidirgli la fronte e di ammansire i rancori. Ma lui, il Viceré, continua a battere i piedini sul solaio e a tambureggiare coi pugni sulle pareti. Tremano i mobili del trono e pure quelli della stanza accanto, dove pensa e traccheggia il Bullo. Arriva in aiuto anche Simona, la dama di corte, ma Sua Maestà non si ammorbidisce e con voce baritonale ripete: “Voglio la testa di Faraone e anche quella di..

Il bullo vero è quello
della stanza accanto

Davide Faraone, l’impertinente leader siciliano di Italia Viva, lo ha definito “bullo”. L’aggettivo comprende oltre all’arroganza che contraddistingue i viceré, i feudatari, i sovrastanti e persino i campieri, anche quella aggressività che segna in maniera inequivocabile i comportamenti dei duri, degli spocchiosi, degli attaccabrighe. Ma lo Schifani che invoca ostracismi e punizioni per Faraone, colpevole di avere denunciato ritardi e inefficienze della Regione nella gestione della siccità, di sicuro non è nato così. E’ diventato un bullo della politica dopo una lunga e fitta frequentazione con il re dei bulli: con l’opaco avvocato d’affari che da sempre lo affianca, lo assiste e lo guida nelle questioni più delicate e rischiose di Palazzo d’Orleans. Il bullo originale, insomma, è l’altro: quello della stanza accanto. Schifani è solo un prodotto di imitazione.

Non sempre la Legge
è uguale per tutti

Renato Schifani, in un momento di effervescente e traboccante narcisismo, ha pensato bene di sovvertire quella frase solenne – “La legge è uguale per tutti” – che campeggia in tutte le aule di giustizia. Come si ricorderà la Corte dei Conti ha inviato al commissario dell’Orchestra Sinfonica, Margherita Rizza, una lettera con la quale chiede che due ex sovrintendenti rimossi per questioni di illegittimità – Giorgio Pace e Andrea Peria – restituiscano gli stipendi percepiti senza averne alcun titolo. La dottoressa Rizza, prima di procedere, ha doverosamente informato il presidente Schifani. E, dopo un ampio e approfondito consulto, ha deciso di adottare due pesi e due misure: ha scritto una lettera perentoria a Pace, ma ha evitato con cura di inviare la stessa lettera a Peria, che nel cerchio magico..

Una vendetta meditata
sotto l’occhio del Santo

Noi che siamo docili uomini di fede avevamo immaginato che il viaggio ad Assisi ammansisse i rancori e i livori di Renato Schifani. Che lo spirito francescano lo spingesse verso un gesto di umiltà. Che il ricordo di “fratello sole e sorella luna” gli suggerisse di considerare “fratello” anche il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, suo compagno di pellegrinaggio e di devozione in terra d’Umbria. Macché. A certi istinti non si comanda. Irritato da un duro attacco di Davide Faraone, leader dei renziani di Sicilia, il presidente della Regione ha meditato proprio lì, dove il Poverello di Assisi aveva predicato amore e tolleranza, un proposito di vendetta, tremenda vendetta: colpire Lagalla per abbattere Faraone; sfasciare la giunta di Palermo per dare una lezione al renziano che di quella giunta fa..

Gerenza

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