Sognava la rivoluzione liberale, ha attuato quella del provinciale. La Forza Italia d. C. (dopo Cav.) è il tripudio del territorio, delle preferenze, delle bande musicali da valorizzare (con una proposta di legge da otto milioni di euro) e poi sagre e parrocchie, campetti e oratori. Maradona, d’altronde, non c’è più. Restano i gregari, i Renica, la classe operaia andata quasi in paradiso e diverse stelline qua e là. Finito in gloria il movimento d’opinione del capo carismatico, ora c’è il porta a porta dei tajanei. Molto centro e sud, meno Milano e nord produttivo. Sono i provinciali europei. E’ l’accademia del rustico azzurro, scarpe grosse e cervello fino. La riscossa della contea, gente di poche parole e molta fede: vota Antonio!
Se Silvio Berlusconi dopo la sconfitta del ’96 imbarcò “i professori” (da Melograni a Pera, da Colletti a Marzano, da Rebuffa a Brunetta, da Mathieu a Vertone e poi ancora i Sirchia e i Tremonti), ora è tutto diverso. Il ciociaro Antonio Tajani da Ferentino – ma proveniente da famiglia di nobile lignaggio – ha distribuito il bastone del comando a un gruppo di collaboratori storici. Sono i figli dell’Italia di mezzo, della campagna. Burini, per i velenosi. Ma qui – a partire da chi scrive – nessuno si offende. Anzi. Laboriosi capomastri, si definiscono loro, quelli della forza tranquilla. Sono tutti cresciuti distanti anni luce dal mondo della finanza, della tv e di Arcore e dei salotti milanesi. Andavano a Roma con la corriera o con il ciuff ciuff: Cassia bis e Flaminia, biglietto obliterato e sole in tasca. Al posto di “tac!”, erre arrotate e “mi consenta”, ora è un profluvio di “annamo, che famo?, “sei gojo?” (traduzione: sei matto?). Look normali, senza eccessi di vanità, senza sartorie napoletane, né guance glabre (le vedesse Lui!). Tajani li ha allevati e pescati nel lago elettorale del Centro (Lazio, Umbria, Marche) dove ha scorrazzato per quasi trent’anni a caccia di voti fondamentali per i palazzi di Bruxelles e Strasburgo. Collezionando così incarichi e medaglie da appuntare al petto baritonale.
Viterbo, Terni, Tolfa: storie di consolari che portano all’Urbe. E’ la piccola epopea della falange tajanea. Non è il Giglio e nemmeno la Fiamma, ma la “Porchetta magica”. Dal gusto per la pietanza – maialino arrosto condito con finocchietto selvatico ficcato dentro una croccante rosetta di pane – che unisce tutti i protagonisti di questa storia che forse piacerebbe a Guido Piovene o a un Piero Chiara in trasferta da Luino a quaggiù. Non ci sono particolari ristoranti da raccontare dopo le riunioni. Se non il circolo degli Esteri, cioè casa di Tajani, o le rare apparizioni ai tavoli di Lola sulla via Flaminia. Ma solo questi panini addentati oltre a spartani catering fatti salire nella sede di piazza in Lucina, ora che Palazzo Grazioli è una curva nella memoria nonché sede e coworking della Stampa estera. La combriccola va matta per la porchetta, appunto, ma anche per i salumi. Per non parlare delle mozzarelle.
Il vicepremier e ministro degli Esteri ne ha regalate di succose e lacrimose perfino al vicepresidente degli Stati Uniti J. D. Vance quando è venuto a Palazzo Chigi a pranzo. Insomma: altro che cravatte di Marinella, qui si va di zizzona di Fondi, basso Lazio. Snob? No, grazie. Perché, come canta Paolo Conte, “noi di provincia siamo così / le cose che mangiamo / son sostanziose come le cose / che tra di noi diciamo…”.
Francesco Battistoni da Proceno (Alta Tuscia) è il responsabile dell’organizzazione di Forza Italia; Raffaele Nevi da Terni fa il portavoce del partito; Alessandro Battilocchio da Tolfa si occupa dei dossier elettorali; Paolo Barelli dalla capitale, ex olimpionico di nuoto, è il roccioso capogruppo alla Camera, nonché fresco parente del leader da quando due settimane fa il figlio Gianpaolo ha sposato Flaminia Tajani (cerimonia riservata, lontana dal gossip di “chi c’era”). I quattro della zolla condividono da anni una chat su WhatsApp. Dettaglio: il gruppo cambia nome a seconda del governo. Adesso si chiama “I Meloni”, prima “I Draghi”. Qui commentano e scherzano. In poche parole cazzeggiano in uno spirito un po’ alla “Amici miei”. Ma sempre con moderazione, siamo gente di provincia, biografie normali, niente super ego. Non ci sono Celesti né felpate eminenze azzurrine, tantomeno sanguigni Verdini né Paoloromani. Continua su ilfoglio.it