Non è il solo ad aver sperimentato con ambizione, e tratti di spregiudicatezza, il potere di un “cerchio magico”. Gaetano Galvagno, secondo la tesi della Procura di Palermo (che lo indaga per corruzione), avrebbe garantito ai propri collaboratori di poter trattare al posto suo, ché tanto godevano di una “copertura” tanto influente quanto vincolante. La vicenda che riguarda il presidente dell’Ars è l’emblema di una politica che si allontana progressivamente dal concetto del “noi”, che trova riparo in poche e affezionate posizioni di privilegio, dal cui pulpito è possibile gestire la cosa pubblica coi soldi pubblici. I concerti e gli abiti di sartoria, così come il noleggio gratuito delle auto, o il regalo di un quadro in cambio dell’organizzazione di una mostra, rientrano nel giochino dell’influenza politica: solo che in questo caso esiste un contrappeso economico, che a pochi fortunati (come la Fondazione Dragotto) viene garantito attraverso le leggi approvate dal parlamento. In un contesto che produce zero per i cittadini e tutto per i clientes. Una stortura diventata norma.

È un disegno – solo la magistratura deciderà quale aggettivo affibbiargli – che può essere condotto attraverso fedelissimi imperterriti. Secondo l’accusa, sarebbero stati favoriti incarichi professionali e rapporti di collaborazione costruiti in un contesto di convenienza reciproca. Nel cerchio magico del presidente dell’Ars, spicca la portavoce Sabrina De Capitani, considerata dagli inquirenti il vero perno della macchina relazionale. Con Galvagno, come rivelato dall’edizione palermitana di Repubblica, ha condiviso anche un appartamento in centro a Palermo: “L’ho voluto in casa con me, perché così io conosco i suoi segreti… e il segreto è potere”, emerge da una delle intercettazioni. Anche il suo interlocutore la elogia: “Praticamente sei la califfa della Regione Sicilia […] Sei rispettata, perché ovviamente tutti hanno bisogno di un favore, Sabry, noi siamo il Paese dei favori”.

Del cerchio del politico di FdI fanno parte l’addetto stampa Salvatore Pintaudi (che avrebbe rimediato un incarico extra da 8 mila euro per gestire l’evento “Sotto il Vulcano Fest” nel 2024); il manager palermitano Alessandro Alessi, patron della Alquadrato communication e link con la Fondazione Dragotto; per non parlare di Marcella Cannariato, vicepresidente della fondazione oltre che membro del Consiglio d’indirizzo del Teatro Massimo; e Nuccio La Ferlita, potente manager e organizzatore d’eventi, che alla fine si ritrova a fornire biglietti in quantità industriale per i Galvagno (comprese zii e sorelle). Un marchingegno meno sofisticato di altri, ma ugualmente efficace nel gestire la spesa dell’Assemblea e un contraccambio continuo di favori.

La storia di Galvagno ha riportato alla memoria altri cerchi magici, più noti e radicati. Come quello che ha accompagnato Rosario Crocetta, insediatosi a Palazzo d’Orléans nel 2012 con l’armatura dell’antimafia e finito invece per alimentare un sistema di potere parallelo. Al centro, l’ex senatore Giuseppe Lumia, che l’ex assessore all’Energia Niccolò Marino, ha definito con chiarezza: “Dava la veste politica e di copertura anche ragionevole o razionale a delle azioni che erano in palese violazione di legge”. Lumia controllava il flusso delle nomine e dettava la linea politica pur non facendo parte formalmente del governo. Era “il senatore della porta accanto” (perché aveva una stanza a Palazzo d’Orléans). Intorno a lui si muoveva Antonello Montante, imprenditore e leader di Confindustria, che nel tempo si è rivelato uno snodo cruciale di potere economico, relazioni istituzionali e rapporti sotterranei con pezzi di magistratura, servizi e forze dell’ordine. Il processo a suo carico, partito anni dopo, ha chiarito fino a che punto fosse penetrante il suo ruolo.

Anche Nello Musumeci, che ha preso le redini della Regione nel 2017, ha avuto il suo cerchio, compatto e silenzioso, ma non meno operativo. Ruggero Razza, assessore alla Sanità, è stato il più esposto e anche il più difeso, persino dopo l’inchiesta sui dati “morti spalmati” e nonostante l’ingerenza di Diventerà Bellissima all’Oasi di Troina, dove venivano incaricati solo palermitani fedeli alla linea (persino il cardinale Parolin ebbe da ridire). Era una giunta granitica, che non tollerava scarti. Manlio Messina, con la gestione del Turismo, ha finito per ridicolizzare il presidente, soprattutto su Cannes. Dal 2021, data della prima collaborazione fra la Regione e la Absolute Blue, la situazione andò peggiorando ogni edizione. Ma Musumeci non fece nulla per intervenire, per manifestare un dubbio, per porre un freno. Anzi: “Ho fiducia nell’operato del mio assessore Manlio Messina – disse in una delle rare interviste sull’argomento -. Il governo ha dato un obiettivo di promuovere la Sicilia in tutte le più prestigiose sedi nazionali e internazionali. È stato fatto a Cannes, con un ritorno notevole d’immagine. E questa è la politica”. Alla fine, però, quel cerchio non è riuscito a garantire nemmeno la sopravvivenza politica del presidente: nel 2022 Musumeci è stato fatto fuori dal veto congiunto di Forza Italia e Lega. Neppure l’intervento in extremis di La Russa è bastato a rimetterlo in pista.

Con Renato Schifani il cerchio magico ha cambiato natura e struttura. È diventato più tecnico, ma altrettanto pervasivo. Giuseppe Alongi, il “postulatore della sua santità” e già trombato alle Regionali, è stato riciclato prima come coordinatore provinciale del partito a Palermo, poi come assessore nella giunta Lagalla, al posto di Andrea Mineo, uomo di Miccichè oggi transitato nella DC. In posizione strategica anche Marcello Caruso, capo della segreteria tecnica del presidente e coordinatore regionale di Forza Italia: è un punto di contatto per gli alleati, ma viene spesso criticato per la scarsa attenzione alla vita interna del partito. Da mesi una parte di Forza Italia medita di chiederne la revoca ad Antonio Tajani, anche per la mancata sostituzione con due politici d’area degli assessori uscenti Marco Falcone e Giovanna Volo (al loro posto sono arrivati dei tecnici).

Andrea Peria, invece, è stata la perfetta incarnazione di un sistema dove, a una politica in disarmo, suppliscono i salotti buoni: il patron di “Terzo Millennio” ha ottenuto incarichi multipli, compensi rilevanti e una presenza costante nei gangli del potere operativo (persino per l’organizzazione degli eventi di partito), nonostante il ruolo ricoperto al Corecom. Quello da sovrintendente della Sinfonica, però, si è rivelato incompatibile e l’ha portato dritto alle dimissioni. Nel cerchio magico di Schifani c’è anche gente come Salvatore Sammartano, che il governatore ha strappato alla pensione per affidargli la guida del suo gabinetto; e Elio Adefio Cardinale, suggeritore di nomine, designato nel Cda della Svimez.

Passa il tempo, cambiano i governi, si moltiplicano gli imbarazzi. Ma il tratto comune resta sempre lo stesso: non è la politica a orientare le scelte, ma i rapporti fiduciari. Non conta tanto il consenso quanto la prossimità al leader. Cambiano i linguaggi, le coperture, i codici. Ma alla fine si governa sempre in pochi, spesso nell’ombra, e quasi mai con trasparenza. La Sicilia non ha mai smesso di essere governata da cerchi magici. Solo che i risultati sono sotto gli occhi di tutti.