Riccardo Muti sarà il protagonista assoluto del grande evento che il prossimo 7 luglio porterà l’Orchestra giovanile “Luigi Cherubini” nella Valle dei Templi. Un’occasione per celebrare Agrigento Capitale della Cultura, che in questa prima metà del 2025 non ha brillato (anzi). Ma anche un’operazione opaca, segnata da costi esorbitanti e silenzi istituzionali. Il concerto, infatti, costerà 650 mila euro, tutti a carico della Regione. Un anno fa, lo stesso programma – diretto dallo stesso maestro, con gli stessi musicisti – era stato eseguito a Lampedusa. Il costo pubblico in quel caso? Poco più di 100 mila euro. A farlo notare è stato Pasquale Seddio, docente alla Cattolica di Milano, al quotidiano ‘La Sicilia’.

Non una parola, invece, né dalla Presidenza né dall’assessorato ai Beni culturali (tanto meno dalla Fondazione, guidata dall’ex prefetto Maria Teresa Cucinotta), per giustificare uno scarto di questa portata. Da 100 mila a 650 mila euro, solo perché è cambiata la location? Non è la prima volta che la Regione finisce in questi “tranelli”. Anche la partecipazione al Festival di Cannes 2023, scongiurata da un intervento di Schifani in “zona Cesarini”, faceva prefigurare lo stesso schema. Dopo aver affidato il progetto “Sicily, Women and Cinema” per 3,7 milioni di euro alla società lussemburghese Absolute Blue, la Regione ha dovuto fare marcia indietro. L’Avvocatura dello Stato aveva sospeso in autotutela l’affidamento per l’assenza di una gara e per il presunto carattere “esclusivo” del format, che si è rivelato farlocco.

Ma Absolute Blue – guidata da Patrick Nassogne, alias Awamu Moja, fotografo d’arte e imprenditore multiruolo – non si è scomposta. Ha semplicemente riciclato l’intero progetto, cambiando una parola: “Sicily” è diventata “Oman”. E così “Women and Cinema”, shooting fotografico e storytelling femminile incluso, è stato riproposto al Sultanato dell’Oman con il nuovo titolo “Oman, Women and Cinema”. Stessa struttura narrativa, stesso impianto iconografico, stessa cornice emozionale. Solo che al posto del Cretto di Burri c’era il deserto di Wahiba. Ma il vero colpo di genio fu economico. Perché lo stesso progetto, venduto alla Sicilia per 3,7 milioni, è stato offerto al Sultanato con una tariffa ridotta del 43%. Una magia di marketing, che conferma quanto fosse gonfiata l’offerta iniziale e quanto fragili fossero i presupposti della commessa saltata.

Il problema, però, non sono solo i prezzi. È il metodo. È l’assenza di trasparenza. È la disinvoltura con cui si maneggiano i fondi pubblici in nome della cultura e della promozione. Con lo stesso stile visto anche nell’inchiesta della Procura di Palermo che ha travolto il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, la sua portavoce Sabrina De Capitani e l’imprenditore Nuccio La Ferlita, oltre all’assessore al Turismo e patriota incallita Elvira Amata.

Secondo i finanzieri, La Ferlita sarebbe stato “assediato” da richieste continue di biglietti omaggio per concerti ed eventi. Per la madre di Galvagno, per la sorella, per amici, per collaboratori. “Mi chiede Gae…”, “Puoi aggiungere suo zio?”, “Dieci per la mamma”. Un pressing che, in estate, si trasformava in stalking. Lo stesso La Ferlita, esasperato, risponde: “Visto che ormai dedico diverse ore al giorno ai vostri invitati, vorrei uno stipendio”. Ma la dinamica va ben oltre i favori. In una conversazione intercettata, l’impresario si sfoga con un collega, definendo i politici “inutili”: “Danno soldi ai Comuni dove poi devono lavorare persone che gli passano le tangenti”. È l’anatomia di un sistema. Dove il concerto è solo la cornice, e al centro c’è il meccanismo del dare-avere, del ritorno personale, del consenso lubrificato a suon di biglietti, incarichi, contributi.

E il concerto di Muti non è che l’ultimo episodio di una lunga serie. Perché in Sicilia, quando si accende un palco, il potente di turno è schierato in prima fila, pronto a raccogliere ovazioni che non arriveranno mai (non dal pubblico, quanto meno). L’esempio più recente è “Sicily for Life – Gigi & Friends”, il doppio evento di beneficenza andato in scena a giugno allo stadio Barbera, con Gigi D’Alessio mattatore e la Fondazione Dragotto regista. Canale 5, migliaia di spettatori, e un obiettivo dichiarato: raccogliere fondi per un poliambulatorio pediatrico. Ma alla Regione non è andato giù di non essere stata citata: “Abbiamo concesso spazi e stanziato 500.000 euro per arredi e attrezzature”, ha tuonato Schifani, lamentando la scarsa visibilità del logo istituzionale e la mancata citazione durante l’evento. Dragotto ha risposto per le rime, accusando il governatore di essersene andato troppo presto e di “non essere stato attento”. E così, anche la beneficenza finisce in caciara istituzionale.

Un paio di giorni prima, a far rumore era stata la notizia dell’indagine per corruzione a carico di Galvagno, accusato di aver favorito – sempre con fondi pubblici – due eventi: il “Magico Natale” della Fondazione Dragotto (100.000 euro) e il veglione di Capodanno organizzato da La Ferlita a Catania (200.000 euro) un paio d’anni fa. Attraverso contributi concessi dall’Assemblea regionale, che gli imprenditori potevano contraccambiare in un solo modo: “utilità” per i componenti del cerchio magico. E come dimenticare l’ultimo Capodanno, firmato Mediaset, ancora a Catania, con Federica Panicucci in diretta nazionale? Due milioni di euro spesi dalla Regione “per promozione turistica”, con un avviso pubblico costruito su misura. O il concerto di Natale de Il Volo, trasmesso da Canale 5 ma registrato ad agosto nella Valle dei Templi, con 36 gradi all’ombra, turisti vestiti da dicembre, cappotti finti e sudore autentico. Anche lì, un milione di euro pubblici. Risultato: una Sicilia ridotta a teatro. Finto.

La lista è lunga. E cresce di anno in anno, alimentata da un modello collaudato: eventi luccicanti, spesso inutili, affidati senza gara e pagati con soldi pubblici. Il tutto mascherato da promozione, cultura, identità. Ma più che di cultura, si tratta di gestione del consenso. Di vetrine buone per selfie istituzionali e amicizie trasversali. Di spot elettorali travestiti da spettacolo. Con il risultato che, alla fine, la Sicilia paga. E paga due volte: con i suoi soldi e con la sua reputazione.