In testa le donne e i bambini a sventolare le bandiere della cultura e della beneficenza.

Dietro un folto, compatto, risoluto gruppo di parenti, sodali, fratelli e sorelle di Sicilia e d’Italia in marcia per il diritto alla percentuale e alla promozione dell’immagine.

Pellizza da Volpedo sarebbe stato ispirato a dipingere un “Quinto Stato” della cultura farlocca e della beneficenza ipocrita.

Oltre all’aspetto giudiziario e a quello politico, c’è l’inedita rappresentazione di una realtà che finora non aveva trovato una forma così perfetta e insieme nauseante, tale da suscitare una risata amara ma ancor di più una forte indignazione. In questa storiaccia ci sono tutti gli elementi per una farsesca messa in scena con gli interpreti – e in questo caso le interpreti – a fingere di mostrare sensibilità per la cultura e per l’arte. Una di loro arriva perfino a contestare al presidente dell’Assemblea l’incapacità di cogliere il valore e l’importanza delle sue richieste. È così smaccata la provocazione da indurlo a ribattere che solo di business si tratta, malamente velato dalla parola ‘cultura’.

Per promuoverla, del resto, occorre poter contare su un ritorno, calcolato sobriamente tra il 20 e il 25%. Anche perché i soldi non vengono dati solo per la bella faccia di chi chiede, ma occorre “garantire una serie di situazioni e di persone”.

Il massimo dell’inventiva e della commozione, che non ti riesce di fermare le lacrime, arriva con i bambini. In particolare, con quelli più svantaggiati, delle periferie, ai quali dedicare un “Magico Natale”, un evento che avrebbe alleviato le loro sofferenze e colmato, almeno per un giorno, le loro privazioni.

Alla manifestazione però non sono arrivati quelli delle periferie ma del Convitto, con le loro felpe firmate. Ma che volete che importi? Ciò che vale è l’intenzione. Quello che conta è il ritorno d’immagine per la ditta. Del resto, quando Bertolucci cercava le comparse per il suo Novecento, non trovando gli uomini magri ed emaciati, quelli che lottavano contro gli agrari per rappresentare a pieno il tempo nel quale era collocato il film, si contentò di ciò che trovò e ne venne fuori comunque un capolavoro.

Questi rappresentano il capolavoro dell’improntitudine. Mostrano quanta difficoltà abbiano loro e tutti quelli che sono dentro questa disgustosa vicenda, a distinguere l’uso del denaro pubblico dai loro piccoli interessi.

Comunque essa si chiuda dal punto di vista giudiziario – ché da quello politico si è quasi conclusa con il prevedibile quadrato attorno al presidente dell’Assemblea e con le flebili proteste dell’opposizione -, resta uno sgradevole sapore melenso.

Rimane questa inedita manifestazione di allegro malcostume, che cerca di nascondersi dietro il “Magico Natale” in attesa dello Zecchino d’Oro e di camuffarsi difendendo le donne dalla violenza.

Costruisce un mondo tutto suo, questo insieme di interessi malati.

Lancia un ulteriore messaggio devastante che fa chiaramente intravedere quanto sia facile piegare le regole, il buon senso, la correttezza a piccole vanità e a valori falsificati.

Eppure, in altri casi le regole contano, e vengono applicate con una intransigenza che poi di fatto le stravolge e le falsifica.

Le hanno applicate, quelle regole, i dirigenti della Film Commission dell’assessorato regionale al Turismo per bocciare la richiesta di finanziamento della serie televisiva Biagio Conte. La vita per gli ultimi. Quel missionario laico non avrà trovato santi in Paradiso, in quel Paradiso alla rovescia dove santi e beati risultano numerosi, sensibili e abbordabili da furbastri, lobbisti e “beneficenti”. Ma poi perché diffondere un modello di quella natura, ché la gente magari può mettersi in testa idee strane che saprebbero di giustizia, di carità autentica, di dedizione agli altri.

I valori, quelli veri, possono suscitare equivoci. Potrebbero alimentare confronti. Meglio lasciarle lontane le figure esemplari, su quello sfondo nel quale sfuma la figura di colui che dedicò la sua vita a quelli che appaiono ultimi e per lui erano fratelli e sorelle. Non si imbatté mai nell’equivoco di cercare i poveri e i migranti e trovare al loro posto dei piccoli borghesi ad affollare i palchi di un teatro cittadino. Biagio Conte proveniva da quel mondo e lo lasciò per sceglierne uno diverso, più autentico, non sempre comprensibile.

Quanti hanno sostenuto, spesso in modo improprio, che la Sicilia è antesignana in molte scelte, questa volta probabilmente ci hanno visto giusto. Avanti le donne e i bambini. E poi tutti gli altri, a pretendere i propri diritti e le proprie mance, a chiedere che la promozione dell’immagine di una grande azienda non gravi per intero sul proprio bilancio.

Che non gravi sul bilancio della Regione la promozione di una serie televisiva su uno dei protagonisti della recente storia della nostra terra.