Renato Schifani si è schierato al fianco di Raffaele Fitto per difendere le Regioni dalla “minaccia” della Commissione europea, che vorrebbe centralizzare la gestione dei fondi strutturali. “Le Regioni devono restare protagoniste – ha detto il presidente siciliano – perché sono le vere sentinelle dei territori”. Peccato che proprio in Sicilia le sentinelle si siano dimostrate tutt’altro che vigili. Se non cieche, quantomeno distratte. E a volte affamate. Quella di Schifani, in questi giorni segnati dagli scandali per la gestione dei fondi pubblici (e del turismo: l’inchiesta della procura di Palermo parte da Cannes), rischia di apparire una buffa presa di posizione a tutela della casta e dei suoi privilegi. Per evitare che la cuccagna finisca.

Il tema, in sé, è cruciale. Fitto difende la logica dei patti territoriali, in cui le Regioni giocano un ruolo attivo nella gestione delle risorse europee. Von der Leyen spinge invece per un modello centralizzato, simile a quello già visto col Pnrr: fondi assegnati direttamente agli Stati, con meno margini per le amministrazioni locali. Una partita tutta europea che, vista da Palermo, suona come una resa dei conti. Perché proprio la Sicilia è tra le Regioni che più hanno tradito la fiducia riposta da Bruxelles.

Basti pensare a SeeSicily, il progetto di rilancio post-pandemia, architettato dall’ex assessore al Turismo Manlio Messina e dal suo “cerchio magico”. Dovevano essere voucher e pernottamenti per incentivare la ripresa dei flussi turistici e garantire ossigeno alle strutture ricettive, invece è finita con la Commissione che ha chiesto la restituzione di dieci milioni e ha congelato l’ultima tranche, per altrettanti milioni. Bruxelles ha rilevato irregolarità e “spese inammissibili”. La voce più abusata è quella riferita alla comunicazione, che ha visto aumentare il proprio plafond fino a 24 milioni. Con la solita storia del ‘brand’. In alcune delle intercettazioni pubblicate in questi giorni – casualmente? – l’ex portavoce di Galvagno, Sabrina De Capitani, sosteneva di aver “inventato” lei il Balilla: “Sono io l’artefice che l’ha fatto diventare famoso. Sono stata io che lo ha portato a Mediaset, ho scommesso sulla persona giusta così come ho scommesso su Galvagno”.

Altro che promozione del territorio: qui siamo alla dissipazione organizzata. E lo scandalo di Cannes ha aggiunto il carico. Un incarico affidato senza bando a una società lussemburghese (senza certificato antimafia) per uno shooting fotografico sulle donne e il cinema, poi annullato in autotutela. Un pasticcio costato quasi 4 milioni, restituiti all’Europa. Ma non è solo a causa degli scandali che la Sicilia risulta tra le peggiori a livello di performance.

E’ (soprattutto) a causa della sua incapacità conclamata di spendere i fondi (c’entra soprattutto la burocrazia): secondo la ricognizione dello scorso febbraio ad opera del Ministero dell’Economia e delle Finanze, su una dotazione di oltre 5,8 miliardi (dotazione PO-Fesr 2021-27), erano stati spesi appena lo 0,93%. Solo Molise e Basilicata sono riuscite a fare peggio. Ancora più allarmante la situazione del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC): la Sicilia non aveva speso nemmeno un euro dei quasi 5 miliardi previsti dall’Accordo di coesione firmato oltre un anno fa da Giorgia Meloni e Renato Schifani.

Anche se, nel bilancio trionfalistico della Regione, qualcosa si muove. Il programma FESR 2014–2020, in fase di chiusura, verrà certificato con una spesa pari a 3,88 miliardi, tutti fondi utilizzati, con tanto di overbooking rispetto alla dotazione iniziale. Quanto al nuovo ciclo 2021–2027, risultano avviate 62 procedure per un valore complessivo di 2,14 miliardi, con 270 progetti selezionati per oltre 660 milioni. Ma i pagamenti reali si fermano a poco più di 53 milioni. La stessa paralisi colpisce il Fondo per lo Sviluppo e la Coesione: sono stati impegnati circa 312 milioni. I pagamenti? Fermi a 35,7 milioni. E anche sul PNRR – secondo i dati ufficiali della piattaforma ReGiS – la spesa effettiva si attesta intorno al 30%. Il grosso, insomma, è ancora sulla carta.

Nel frattempo, l’unico settore dove l’amministrazione ha mostrato efficienza è quello delle operazioni clientelari. Le recenti inchieste su Elvira Amata, oggi assessore al Turismo, e su Gaetano Galvagno, presidente dell’Ars, raccontano un utilizzo disinvolto dei fondi pubblici. Una gestione in cui gli obiettivi si piegano facilmente agli interessi privati, le valutazioni diventano opportunità elettorali e gli affidamenti sembrano fatti su misura. Ecco perché la difesa ad oltranza del “modello Regioni” rischia di diventare, in Sicilia, una trincea per proteggere il vecchio sistema.

Un sistema che ha prodotto sprechi, opacità, bandi farlocchi, denunce, inchieste, relazioni europee imbarazzanti. Non che accentrando tutto a Roma o a Bruxelles le cose cambierebbero per magia. Ma se il principio è che “i territori conoscono meglio i bisogni delle comunità”, vale la pena chiedersi: quali territori? E soprattutto, quali bisogni? Perché alla fine il problema non è Ursula von der Leyen. È quello che si fa – o che non si fa – con i soldi quando arrivano. E in Sicilia, troppo spesso, quei soldi diventano fumo. O spot. O, peggio, pretesti per rimettere in moto la macchina del consenso.