Adesso che il governo ha confezionato – stavamo per dire: blindato… – la manovrina, l’Ars è pronta a mandare in porto l’ennesimo (il terzo) provvedimento finanziario dell’anno. Le sessioni di bilancio sono quelle più dibattute, e di solito le più divertenti, anche se in questa estate torrida (per l’inchiesta della magistratura) il clima inevitabilmente ne ha risentito. Ci sarà una sola Finanziaria-ter, senza maxi emendamenti di sorta. E questo, per i settanta deputati, è motivo di grande scoramento. Persino Cateno De Luca, rivale di Schifani alle ultime elezioni e oggi stampella della maggioranza, ha spiegato che “la prassi d’aula che oggi viene criminalizzata è sempre esistita e ha coinvolto tutti i gruppi parlamentari dell’Ars. Non c’è un deputato che non abbia presentato emendamenti poi confluiti nel maxi-emendamento votato all’unanimità. Basta con i santarelli e i moralisti dell’ultima ora”.

Non basteranno le parole di De Luca, però, a far desistere il presidente Schifani dal tentativo di archiviare una stagione disgraziata: che ha portato all’apertura di più filoni d’inchiesta e all’accusa, da parte della Procura di Palermo, di corruzione. Destinatari: il presidente dell’Assemblea regionale, Gaetano Galvagno; e l’assessore regionale al Turismo e agli spettacoli (ma metteteci anche il cinema), Elvira Amata. Con questi chiari di luna – e con le dimissioni in serie della portavoce del presidente dell’Ars, del segretario particolare dell’assessore e persino dell’inossidabile lady Dragotto (dal Consiglio d’indirizzo del Teatro Massimo e dalla fondazione di famiglia) – è meglio non insistere. Provare a depistare in qualche modo. Cosa che avverrà molto faticosamente.

Alcuni deputati, compresi quelli di Fratelli d’Italia, avrebbero voluto essere consultati prima che Schifani e l’assessore all’Economia Dagnino dessero in pasto ai giornali la manovrina da 345 milioni che non contiene neppure due centesimi per la promozione delle attività culturali. E adesso di che si parlerà in aula e nelle commissioni? Sono tutti disorientati. Non c’è più lo spirito libero di prima. E non basterà una conferenza dei capigruppo qualunque, o una processione alla Torre Pisana da Galvagno, per stabilire quale contributo assegnare a chi.

Ma l’incertezza del momento è data anche dagli omissis contenuti nelle carte della Procura, riprese dai giornali: da “Uomo 56”, che avrebbe collezionato un gran numero di emendamenti per il Messinese; a “Uomo 6”, che avrebbe utilizzato un’addetta allo sbigliettamento dell’Orchestra Sinfonica per fare da cerniera con gli imprenditori da “accontentare”. Proprio perché “così fan tutti”, molti temono di finire nella tela degli inquirenti. E non tutti – considerato il livello politico dell’Assemblea – sarebbero in grado di farfugliare qualcosa in più della presunzione d’innocenza. Che magone (cit.).

E’ un momento complicato pure per l’opposizione, mica per la sola maggioranza. I Cinque Stelle, dopo aver chiesto a Schifani di cacciare la Amata (alla quale il governatore ha ribadito “piena fiducia” nonostante l’asservimento – così scrivono gli investigatori – ai coniugi Dragotto), attendono il presidente della Regione in aula per un altro umiliante dibattito (dopo quello con Galvagno, uscitone santo). Mentre il moralista da salotto Nuccio Di Paola, che non ha mai aperto bocca sul ruolo di Sabrina De Capitani all’interno della Federico II, ha rilanciato un timido messaggio sulle auto blu, che lo stesso presidente dell’Ars avrebbe usato come taxi (o per prelevare patatine e kebab): “Abbiamo presentato come M5S delle modifiche che rendessero più stringente l’utilizzo delle auto di servizio. Modifiche che oggi si rendono ancora più urgenti e necessarie”.

Il Pd, invece, non è riuscito a smaltire le tossine del congresso neppure di fronte a cotanto scempio: “Emergono dalle intercettazioni una evidente parzialità e un arbitrio nella gestione dei soldi pubblici che destano profonda impressione e sgomento – ha detto il segretario Anthony Barbagallo a Live Sicilia -. L’azione dei nostri deputati si è concentrata sulle risorse necessarie per le amministrazioni locali. Se qualcuno ha fatto cose diverse si assume le sue responsabilità”. Potrebbe avvenire non appena gli omissis saranno rimossi dalle carte delle intercettazioni: perché è notorio – in questo De Luca ha ragione – che le cattive pratiche si sono sedimentate, abbondano e riguardano l’intero arco parlamentare.

Tutti tranne Ismaele La Vardera, l’ex Iena che, forte della sua rinunzia a ottenere i fondi per associazioni amiche, oggi ha la strada spianata: “È la prima volta che chiedo formalmente le dimissioni del presidente della Regione attraverso la presentazione della mozione di sfiducia – ha scritto il deputato di Controcorrente -. Un atto potente che palesa la volontà di quei deputati che sarebbero pronti a tornare al voto tra tre mesi. Si, perché dopo gli scandali, dopo il completo fallimento di Schifani e i suoi sodali, la storia ci chiederà conto e ragione di quello che abbiamo, e anche non abbiamo fatto”. Per presentare la mozione servono 14 firme, e non è affatto scontato ottenerle. Poi andrebbe discussa in parlamento e approvata. Impensabile. Figurarsi se i 70 deputati, dopo aver seminato tanto per i propri territori, sarebbero disposti a disfare le valigie, abbandonare la ricca oasi di palazzo Reale e rimettersi in discussione dopo l’estate.

La manovrina, insomma, si fa largo (a fatica) tra gli scandali. Risente del peso di una “questione morale” che non si cancella con un colpo di spugna. Il governo ha piazzato all’interno del disegno di legge alcune voci che avrebbero pure le loro ragioni (basti vedere i 40 milioni per smaltire le liste d’attesa), ma il sentiero da percorrere è stretto e impervio. E per di più coincide con una nuova vicenda legata alla revisione della rete ospedaliera. Un’arma a doppio taglio, su cui la stessa maggioranza s’interroga, e che mette a rischio gli equilibri già deboli all’interno del centrodestra: ai più attenti non è sfuggita l’implementazione di posti letto per l’ospedale di Paternò (da 28 a 63), cioè la stessa città di Galvagno e Ignazio La Russa. Molti sindaci, su tutti il decano Pino Firrarello, non hanno esitato a definirlo “umiliante”: “La politica è una ruota che gira e per ora sulla ruota c’è Paternò”, ha detto il sindaco di Bronte, di Forza Italia. La Faraoni poteva scegliere un momento migliore per giocare questa mano di poker.