All’inizio di luglio Gaetano Galvagno, il presidente dell’Ars sotto inchiesta per corruzione, ha trovato la giusta faccia tosta per presentarsi davanti al parlamento di Sala d’Ercole e recitare la giaculatoria della presunzione d’innocenza. In quell’aula, sovrastata da una volta meravigliosa dipinta dal Velasquez, si sentiva a casa sua, circondato da amici e sodali (da complici, stavo per dire). Non solo. Qualche settimana dopo, col suo codazzo di parenti e amici, ha fatto una scappata a Villa Igea per partecipare alla satrapica festa per le nozze d’oro del presidente della Regione, Renato Schifani e nella mattinata di ieri non si è perso la gita a Casale Santa Ida, nella campagna dove Totò Cuffaro ha organizzato un ricevimento mega galattico per le nozze del figlio. Anche lì senza imbarazzo: abbracci, baci e selfie con gli invitati, tutti insieme appassionatamente.

Galvagno a Casale Santa Ida
Ma ieri sera no. Ieri sera Galvagno non ha trovato il coraggio – o la voglia o la sfrontatezza, decidete voi – di partecipare alla fiaccolata di Palermo per la commemorazione del giudice Paolo Borsellino, ucciso con la scorta nell’attentato di trentatré anni fa in via D’Amelio. Non lo ha trovato nemmeno Elvira Amata, l’altra indagata per corruzione che, malgré tout, piritolleggia in ogni luogo e in ogni festival dove le apparecchino divertimento e tappeto rosso. Ha detto, povera figlia, che è oberata, fortemente oberata da impegni familiari. Ma attenzione: il golden boy di Fratelli d’Italia e l’assessora regionale al Turismo non temevano i fischi del popolo dell’antimafia né l’accensione di quelle fiaccole che invocano ancora, dopo tanti anni, verità e giustizia: siamo di fronte a gente coriacea che non prova vergogna o rossore neppure per il quotidiano sputtanamento che gli arriva dalle intercettazioni della Guardia di Finanza puntualmente pubblicate dai giornali. Li avrebbe imbarazzati piuttosto la presenza, alla testa del corteo, di Arianna Meloni, la sorella della presidente del Consiglio, la donna forte che, con Giovanni Donzelli, comanda in via della Scrofa e tiene in mano le redini di Fratelli d’Italia.
L’unica autorità che il presidente Galvagno e l’assessore Amata riconoscono e temono è infatti quella del partito. E’ dai vertici di Fratelli d’Italia che dipende la loro morte o la loro sopravvivenza politica. Tutto il resto – la questione morale, la decenza, la legalità, la trasparenza, il giudizio della gente – non conta un fico secco. Quei due – le intercettazioni lo dimostrano – considerano le parole, che qui abbiamo appena elencato, dei semplici slogan per gli allocchi. E’ la casta, bellezza.