Non so se i due valorosi dirigenti della Stampa parlamentare – Alfredo Pecoraro dell’Ansa ed Elvira Terranova di Adnkronos — abbiano già presentato alla Commissione Bilancio dell’Ars l’emendamento che potrebbe cacciare i pagnottisti dal tempio del giornalismo. E non so neppure se i due zelanti colleghi abbiano letto il dossier pubblicato da Sud Press su Maurizio Scaglione, il faccendiere che usa il giornalismo per rastrellare, nel retrobottega di Palazzo d’Orleans, incarichi, contributi a fondo perduto e affidamenti diretti: tutte pagnotte che, tra il 2023 e il 2024, gli hanno fruttato oltre cinquecentomila euro. L’inchiesta, firmata da Christian Costantino, fa tremare i polsi. Elenca i decreti che la Presidenza della Regione, l’assessore Elvira Amata, l’assessore Alessandro Aricò e l’assessore all’Agricoltura hanno firmato per ricoprire di denaro pubblico le sei società che fanno capo al super pagnottista. Il giovane Costantino, da giornalista serio, non esprime giudizi e non pretende di fare né il moralista né il moralizzatore. Si limita a ricostruire la storia di una tresca, lunga e indecente, tra Scaglione e i suoi opachi committenti – complici, si stava per dire – nascosti nei palazzi del potere. Una storia, va da sé, che non ha mai interessato né mai interesserà l’Associazione siciliana della stampa, il sindacato unico dei giornalisti, il cui leader storico, Roberto Ginex, è emigrato a Roma alla conquista di quel che resta dell’Inpgi, l’istituto di previdenza della categoria. Prosit.
Ma, per un sindacato che si appanna ce n’è un altro che emerge e sfavilla tra i corridoi e le stanze dorate di Palazzo dei Normanni: quello, appunto, della Stampa parlamentare. Un sindacato che si è fatto notare in grande spolvero martedì scorso quando ha consegnato al presidente Gaetano Galvagno un ventaglio per le vacanze offrendogli all’un tempo la possibilità di inscenare un gioco delle tre carte sull’inchiesta della procura e di rendere gli onori del Parlamento a Sabrina De Capitani, l’ape regina che l’ha trasformato l’Ars nel luogo geometrico dei suoi affari, dei suoi intrighi, delle sue mazzette.
Ma, dopo lo scivolone del ventaglio – bisogna dargliele atto – i dirigenti della Stampa parlamentare hanno fatto un salto di qualità. Si sono caricati sulle spalle una enorme questione – quella occupazionale – e, forti della loro influenza sui deputati della Commissione Bilancio, hanno trovato il modo che venisse modificata la legge sull’editoria presentata dal governo Schifani: per usufruire dei contributi regionali le aziende editoriali dovranno quantomeno avere non più uno ma due giornalisti contrattualizzati.
Alla luce di cotanto zelo, noi redattori di questo piccolo giornale – che, a scanso di equivoci, conta già due giornalisti contrattualizzati – ci siamo presi la libertà di invitare gli onorevoli colleghi a caricarsi sulle spalle anche la questione morale e li abbiamo pregati – sono i nostri santi in paradiso – di presentare un secondo emendamento per escludere quantomeno dalla legge sull’editoria quei pagnottisti, come Scaglione, che traccheggiando con Palazzo d’Orleans, già affondano abbondantemente le mani nelle riserve di denaro pubblico.

L’editore Maurizio Scaglione
Volete un esempio? Il 12 dicembre del 2024 una delle società del vulcanico Scaglione ha ottenuto da Palazzo d’Orleans – decreto numero 2073 – un regalo di quasi novantamila euro, pagati in buona parte anticipatamente. Nel corso del 2025 dovrà produrre e consegnare al dottor Gaetano Chiaro, dirigente dell’Ufficio Stampa e Documentazione, dei “video per eventi istituzionali promossi dalla Presidenza della Regione Siciliana”. Una presidenza che, detto per inciso, per stampa e propaganda ha già uno staff pauroso. La delibera non precisa, va da sé, la qualità dei video. E non specifica nemmeno chi dovrà decidere se i video sono stati fatti bene o male. Tutto viene lasciato alla discrezionalità di Scaglione che, a trattativa privata, ha ottenuto l’appalto. L’ennesimo.
Un video – lo sanno pure i bambinetti dell’asilo – può essere realizzato con attrezzature professionali o con telecamerine da dilettanti; può durare dieci minuti o un’ora; può coprire per intero un evento o può coprirlo solo in parte. Chi stabilirà il valore reale di ogni singola ripresa? Insomma, quei benedetti video – per i quali la Regione ha impegnato novantamila euro – potranno costare al faccendiere Scaglione sessantamila euro: e in quel caso lui ne avrebbe un legittimo e ineccepibile guadagno. Ma potrebbero anche costargli seimila o sedici mila euro: tanto, nessuno controllerà mai la qualità del prodotto finale, o la congruità dei filmati rispetto agli eventi. Questa seconda ipotesi – vogliamo essere certi – non si verificherà: non tutti i pagnottisti sono cattivi ragazzi. Ma se si verificasse il guadagno dell’editore sarebbe enorme, esorbitante, quasi un malloppo. Lo terrà tutto per sé, senza inviare nemmeno un mazzo di fiori, si fa per dire, alla persona che, dal retrobottega di Palazzo d’Orleans, gli ha consentito di fare il colpo grosso?
Ma torniamo alla legge sull’editoria. Non sappiamo, sinceramente, se Pecoraro e Terranova hanno convocato la Commissione Bilancio o hanno dato mandato al presidente Galvagno – che la questione morale, come si sa, ce l’ha sempre sulle punte delle dita – di fare approvare direttamente dall’aula l’emendamento che potrebbe se non azzerare quantomeno ridimensionare la spavalderia dei pagnottisti. Ma siamo comunque fiduciosi. Ormai è la politica che va a rimorchio della stampa parlamentare. Non viceversa.