Esiste uno stile Meloni? Direi di sì. Ha smesso di dire: “At teso che”. Gran progresso, dalla sottoprefettura o tenenza o guardiania a Palazzo Chigi. Ma dice troppo spesso “banalmente” al posto di “semplicemente”, e sarebbe semplice risparmiarselo. Sono osservazioni un po’ cretine, ma pur sempre osservazioni. Per il resto, piuttosto brava. Si è scelta uno o una speechwriter di rango. Come aveva fatto Berlusconi con un giornalista italiano o una giornalista italiana che gli scrisse tutto per tanti anni, dai discorsi parlamentari ai comizi in piazza alle interviste agli articoli alle lettere d’amore, ma quello o quella era un gran ruffiano/a per il bene della causa e della patria. I successi degli statisti non dipendono dalle parole accucchiate dagli o dalle speechwriter, che servono alla maschera, non del tutto irrilevante epperò secondaria. Dipendono dai fatti. Dagli imbrogli, almeno da quelli riusciti. Dalle verità di fede (nel caso del Cav. pochine pochine). Dall’abilità di movimento, e Lui ne fu supremo esecutore. Lo stile Meloni comunque c’è. Equilibrio. Pragmatismo. Rifiuto della rissa. Buon dosaggio di ideologia e cultura, un esercizio egemonico che non avrei mai pensato fosse possibile. Ma io sottovaluto le donne con l’eccezione di mia moglie, si sa, e invece sono le più capaci. Lo dissi alla Thatcher o a Thatcher, nell’amata casa di Gaetano Rebecchini, e lei, che ancora ci stava con la testa eccome, annuì con un sorriso perfido.
Mistero. Un tipo intelligente e colto come me (non faccio per dire) le dava una lira bucata, invece una volta montata in sella ha saputo andare al passo, al trotto, al galoppo e pure l’ambio lo sa praticare con eleganza. Io non parlo di quello che ha detto, sono un subordinato disciplinato, ma di come l’ha detto. Continua su ilfoglio.it