Nel corso della campagna elettorale per le Regionali, era il 3 settembre di tre anni fa, Renato Schifani fece visita a Totò Cardinale, a Mussomeli, per incontrare 400 amici che lo scortarono alla vittoria delle elezioni. Oggi, più o meno, lo schema si ripete. Di fronte a una platea più “selezionata”, che l’ex ministro della Comunicazione ha invitato a una festa di famiglia, il rito propiziatorio è andato nuovamente in scena. Gli ex alleati del Pd si sono stretti attorno al presidente della Regione per offrirgli supporto in un momento di difficoltà.
Per qualche ora è stata archiviata la tensione con Tamajo, che all’indomani delle Europee era culminata nella richiesta dell’assessorato alla Salute e nella dura reprimenda inflitta dal governatore a Mr. Preferenze, costatagli l’emarginazione del governo e dal partito. E non si è parlato neppure dell’ipotesi ventilata ultimamente da qualche giornale: cioè l’indicazione di Nicola D’Agostino, l’altra freccia nell’arco di Cardinale, come possibile sostituto di Daniela Faraoni. A casa dei fondatori di Sicilia Futura, il presidente della Regione ha trovato un comodo giaciglio da cui ripartire. Una fiducia sofferta (ma gratuita) su cui costruire gli avvenimenti futuri (degli uni e degli altri).
La ripartenza dei lavori a Palazzo d’Orleans e a palazzo dei Normanni – dove l’Ars tornerà a riunirsi non prima di martedì 9 settembre – è il preludio di una lunga campagna elettorale, che Schifani ha inaugurato qualche giorno fa a Ragalna, nel quartier generale del presidente del Senato Ignazio La Russa. Anche in questo caso il copione è simile a tre anni fa: fu Fratelli d’Italia, appurata l’impossibilità del bis di Musumeci, a scandagliare una rosa di nomi offerti da Berlusconi e, uscito di scena Mulè (per questioni di ‘residenza’), a orientarsi sulla soluzione più comoda e gestibile. A parte i pochi rimbrotti determinati dalla vicenda di Cannes, in avvio di legislatura, e dalla staffetta fra Scarpinato e Amata al Turismo, Schifani si è sempre mostrato molto accondiscendente rispetto alle pretese dei meloniani.
Ha concesso la nomina in prima istanza di due assessori non eletti (Pagana e lo stesso Scarpinato); ha sorvolato rispetto agli scandali segnalati dalla Procura di Palermo, confermando una fiducia incondizionata nei confronti dell’assessore Amata; ha ripetuto all’Etna Forum di Ragalna il “bacio della pantofola” di Brucoli, a ottobre ’23, questa volta con interpreti diversi (La Russa e Galvagno al posto di Lollobrigida e Messina). Si è attenuto, insomma, alle indicazioni provenienti dall’alto, e ne ha ben d’onde: il suo obiettivo è rimanere inchiodato alla poltrona per altri cinque anni. E l’unico modo per raggiungerlo, è sperare che il quadro politico rimanga immutato.
Per questo si è presentato alla corte di La Russa più combattivo e servizievole che mai. Per questo non ha mai riferito in parlamento sulla questione morale sollevata dalle opposizioni in seguito agli scandali del turismo (avrebbe dovuto esprimere un giudizio tranchant sui metodi della corrente turistica); né ha chiuso mai le porte di fronte al paventato ritorno di FdI sulla poltrona più importante del Dipartimento Pianificazione strategica dell’assessorato alla Sanità, o mal che vada all’Asp di Palermo. Inoltre non ha mai insinuato dubbi sulla scelta dei manager delle Aziende sanitarie o ospedaliere, alcune al limite della decenza. Solo Ferdinando Croce – perfetto capro espiatorio dopo le polemiche sugli esami istologici a Trapani – gli è andato di traverso. Per il resto non ha mai scoperto il fianco di fronte a iniziative che potessero danneggiare i Fratelli di Sicilia. Mai. “Renato? E’ mio amico e sta lavorando bene”, ha detto di lui La Russa. Missione compiuta.
In questi meccanismi che si perpetuano all’infinito, l’obiettivo è mantenere tutto com’è. Fare in modo che la dialettica politica si sviluppi altrove, senza tangere il suo controllo maniacale del potere. Per questo non ci sarà alcun rimpasto, nonostante le richieste pressanti e le dimostrazioni (col voto segreto) degli “amici” del Mpa; per questo il ricorso al Tar contro la nomina di Tardino all’Autorità Portuale di Palermo, formulata da Matteo Salvini, non è stato ritirato (anzi verrà discusso il 9 settembre). Rimangono in stand-by anche le nomine degli enti parco, degli Iacp, della stessa Ast – l’Azienda siciliana dei Trasporti – che la Regione aveva promesso di rilanciare a livello di governance, dopo averla trasformata in una società in house e averle affidato 12 milioni di km di tratte.
Ma questa lunga, infinita campagna elettorale, quasi una liturgia, ha bisogno di silenzio e scaltrezza. Di incontri informali (il vertice con il gruppo parlamentare all’Ars è stato annullato) e di ovvietà. Come quelle pronunciate a proposito di Forza Italia: sarebbero i giornali ad accentuare le tensioni (“Ci confronteremo al congresso”, ha detto Schifani). L’obiettivo è riportare le questioni nel solito limbo, provare a farle naufragare.
Ma prima o poi bisognerà fare i conti con la realtà dell’aula, dove alla riapertura si dovrebbe discutere della manovra-quater, con interessanti capitoli di spesa da approfondire; e poi della riforma dei Consorzi di Bonifica e della legge sull’editoria, rimasti clamorosamente a babbo morto. La soluzione più congeniale sarebbe trasferire l’attività parlamentare a Ragalna o Mussomeli, designare Cardinale o La Russa come direttore d’orchestra, e veleggiare spediti verso il prossimo appuntamento elettorale. Stessa estate, stessa spiaggia, stesso mare.