Renato Schifani non si accontenta. Dopo tre anni di governo (o di immobilismo, dipende dai punti di vista) pensa già al bis. Perché – dice lui – certi programmi hanno bisogno di due legislature per essere completati. Un argomento che potrebbe sembrare persino nobile, se non fosse che la prima legislatura, quella in corso, non ha lasciato traccia. O meglio: ha lasciato soltanto inchieste, conflitti interni, polemiche insanabili. Schifani ha accumulato punti neri come fossero medaglie. E a guardare l’elenco, comincia a farsi lungo.
Il caso Antonini
Il primo caso, in ordine di tempo, è quello che riguarda Valerio Antonini, patron del Trapani. O meglio: riguarda il figlio di Schifani, Roberto, che della società calcistica di Antonini è consulente generale. Un intreccio scomodo, completato dal contributo da 300 mila euro che la Regione ha garantito al club granata, attraverso un apposito emendamento in Finanziaria presentato da Stefano Pellegrino, capogruppo di Forza Italia. Una di quelle vicende che, più che fare rumore, lasciano l’impressione di un corto circuito tra affari pubblici e interessi privati. Soprattutto alla luce del fatto che Antonini, simpatizzante assodato del centrodestra, si appresta a fare ingresso sulla scena politica trapanese (ha già litigato col sindaco Tranchida, espressione civica del Pd).
Il faro della Corte dei Conti
Poi c’è la Corte dei Conti. I magistrati contabili hanno acceso un faro sui dossier più delicati dell’agenda di governo: la crisi idrica, i termovalorizzatori mai partiti, il palazzo ex Sicilcassa di via Cordova. Sul fronte acqua, i numeri sono da brivido: il 52% dell’acqua immessa in rete si disperde. Le dighe sono in larga parte fuori uso, e i tre dissalatori messi in cantiere (167 milioni di euro di spesa) basteranno a coprire appena il 2% delle perdite, a un costo triplo rispetto alle fonti tradizionali. Il piano sui rifiuti, che punta su due termovalorizzatori da 400 milioni ciascuno, è stato bollato come sovradimensionato e antieconomico. «I termovalorizzatori, per quanto in valori minimi, non escludono il rischio di inquinare l’ambiente risultando pericolosi per la salute», ha scritto la Corte. E sul palazzo di via Cordova – che la Regione non ha acquistato preferendo continuare a pagare canoni d’affitto milionari – la Procura contabile ipotizza già un danno erariale.
Il caso Farinella
Inquietante, eppure quasi sottaciuto, è il caso di Desirée Farinella. L’ex direttrice dell’ospedale dei Bambini fu demansionata dal manager del “Civico” dopo la denuncia di una madre, nonostante il sostegno del personale e dei sindacati e il parere contrario di una commissione ispettiva dell’assessorato alla Salute. Nel frattempo erano già emerse pressioni politiche: secondo la Procura, il deputato di Forza Italia Gaspare Vitrano avrebbe tentato di convincerla a mettersi in malattia, “per dare una risposta” al presidente Schifani. La dirigente resistette, registrando i colloqui, e oggi lavora altrove. Vitrano rischia il processo per tentata violenza privata, ma neppure il governatore può dirsi estraneo: «In certi casi prima si chiamano i Nas e si fanno dichiarazioni il giorno dopo, non il giorno prima… lui è stato un po’ precipitoso, doveva dire ‘accerto il risultato e poi valuterò l’operato dei miei’. Ora però ha capito la minchiata da recuperare, cerca di non perderci la faccia», diceva Vitrano in una registrazione. Il quadro, al netto dei silenzi, racconta quanto la gestione del caso fosse seguita da vicino anche a Palazzo d’Orléans.
Amata e Tarantino
A rendere il carico più pesante ci sono due macigni personali: l’assessore al Turismo, Elvira Amata, indagata per corruzione dalla Procura di Palermo (con l’accusa di aver chiesto un posto di lavoro a Marcella Cannariato, per il nipote); e Nicola Tarantino, dirigente della Sicilia Film Commission, la cui posizione è stata appena stralciata nell’inchiesta su Cannes, ma travolto dal caso del film su Biagio Conte escluso dai finanziamenti. Qui è arrivata pure la stilettata romana: «Ma davvero la Regione che spende e spande per festini e carnevali non è stata capace di trovare la strada per assicurare il suo contributo? – ha detto Giorgio Mulè – Per finanziarlo non era possibile aggirare le pastoie dell’aula dell’Assemblea con una semplicissima delibera di giunta utilizzando il fondo di riserva e poi con calma fare una variazione di bilancio? Allora: volere è potere… a meno che illudendosi di esercitare il “potere” non si perda la testa. E contemporaneamente far perdere a noi la faccia». Parole pesanti, che certificano lo strappo dentro Forza Italia e mettono a nudo l’incapacità del presidente di gestire i suoi uomini.
I mal di pancia azzurri
Come se non bastasse, c’è il fronte interno. Gli assessori tecnici, vera ossessione di Schifani, sono diventati la pietra dello scandalo. E Marco Falcone ha alzato il livello dello scontro, annunciando la candidatura di un suo uomo al prossimo congresso azzurro e demolendo senza mezzi termini l’attuale coordinatore, Marcello Caruso: «Un buon funzionario di partito, ma non è un leader. Lo sa lui, lo sanno gli organi nazionali, lo sanno tutti». E ancora: «Sono pochissimi i deputati che pubblicamente si lamentano, ma la maggior parte di loro si ritiene esclusa dalle scelte importanti e molti lamentano che la Regione non faccia proprio scelte importanti». Secondo Falcone, in questa intervista rilasciata alcune settimane fa a Repubblica, «Schifani sbaglia a sottovalutare queste difficoltà molto evidenti». Parole che suonano come un avviso di sfratto: il partito, dice Falcone, «oggi non esiste in termini di organizzazione, ma solo come sommatoria di voti».
Il caso Scaglione
Il caso Scaglione, infine, merita un capitolo a parte. Nei giorni scorsi a Ragalna è andata in scena la grande festa dell’Etna Forum. Ospite d’onore, tra ministri e presidenti, anche il governatore Schifani. A intervistarlo, guarda caso, Maurizio Scaglione, il super pagnottista della comunicazione che in un anno ha rastrellato dalla Regione oltre mezzo milione di euro in incarichi e affidamenti diretti. Un faccia a faccia surreale, perché il suo intervistatore è lo stesso editore de ilSicilia.it che ha in tasca un incarico da 90 mila euro firmato lo scorso dicembre da Palazzo d’Orléans: un lavoro che dovrebbe produrre video promozionali della Presidenza e che già fa tremare i polsi al dirigente dell’Ufficio stampa, costretto a certificare la “congruità” di prodotti che potrebbero costare diecimila come duecento euro. La festa di Ragalna ha reso plastico ciò che in molti sussurrano da mesi: il governatore ha consegnato la propria immagine e la comunicazione istituzionale a un pagnottista che campa di incarichi pubblici.
Schifani sogna il secondo mandato, ma i segnali dicono altro: un presidente che sopravvive a stento, che non può contare sulla forza dei numeri, che si muove tra inchieste, beghe interne e faccendieri di corte.