C’è qualcuno ad Abbiategrasso o a Bagheria che ricordi ancora di Agrigento capitale italiana della cultura?

Si trova ancora a Düsseldorf o ad Acireale chi ha voglia di venire nella città dei templi a seguire il programma che le ha consentito di prevalere su altre competitrici e di ottenere quel ruolo?

C’è un solo critico, un appassionato d’arte che sia pronto a suggellare il valore delle iniziative, un industriale che abbia investito un solo euro sul brand di quell’evento? C’è un turista in più di quel milione che ogni anno visitano la Valle dei templi, questa volta attratto da una mostra, da uno spettacolo, da una performance musicale? Vi sarà ancora una realtà come l’Osservatorio che anche personalmente ho tentato di animare con scarsissimi risultati, che continui a tentare di rimettere in sesto un andamento del tutto inadeguato, carico di errori e di sprechi? C’è un giornale nazionale che negli ultimi mesi si occupi di Agrigento dopo aver dato a lungo ampio spazio alle vicende paradossali e ridicole che hanno segnato il varo dell’iniziativa?

Il silenzio è calato sulla città, a segnare una indifferenza pressoché totale, a prova che non si riesce ad andare al di là dei mezzi di informazione locale che ovviamente riportano, dedicandovi uno spazio sempre minore, ciò che capita. Eppure qualcosa accade. Accade che una commissione debba ancora riunirsi per scegliere i progetti delle associazioni locali da finanziare, quando mancano poco più di tre mesi alla chiusura dell’anno.

In questo modo si sarebbero dovute coinvolgere, naturalmente dall’inizio, le associazioni locali, dare spazio ai fermenti culturali esistenti, consentire loro di manifestarsi, metterli a confronto con le iniziative in cartellone, se si può dire, rapportare l’alto e il basso, rendere la città partecipe e protagonista di “capitale della cultura”.

E per questo si dovevano impiegare seicentomila euro. Ora sono diventati la metà, che è pur sempre una bella cifra, e principalmente ora, a chiusura della festa, tutto si trasformerà probabilmente in un’operazione clientelare, si distribuiranno a venti associazioni quindicimila euro ciascuna e per quanto validi i progetti e bravi i protagonisti, nei tre mesi che restano non si raggiungerà l’obiettivo di coinvolgere la città, se non per un periodo limitato, ammesso che accada, e molto limitata resterà la contaminazione tra i progetti locali e quelli di livello internazionale.

Ad Agrigento capita ancora che per l’assegnazione dello “Schiaccianoci d’oro”, una manifestazione dedicata a Carla Fracci, due gruppi di competitori siano venuti alle mani e ci sia stato bisogno dell’intervento delle forze dell’ordine. Succede che al teatro Pirandello, in quattro serate, ad assistere ad uno degli eventi in cartellone, Mirror/Specchio, che avrebbe dovuto essere tra quelli di maggiore spessore culturale e ovviamente di richiamo, la platea sia rimasta desolatamente vuota.

Insieme ed oltre questo, è giusto segnalare la mostra interessante su Maria Maddalena al Museo Diocesano di Arte sacra e il festival della musica jazz promosso al Palacongressi dall’Ente della Valle. Vi sono state anche delle manifestazioni apprezzabili in parte del tutto ignorate e tutto è rimasto dentro una realtà locale, senza riuscire ad attrarre spettatori esterni, anche per l’assenza o la fragilità di una comunicazione adeguata al valore dell’evento.

Non si parla più di Agrigento capitale della cultura. E il disinteresse è ancor peggio delle polemiche, sia pure le più severe. Tutto sembra si sia ridotto ad una festa di San Calò, ad un “Mandorlo in fiore” prolungati nel tempo e abbondantemente finanziati dai governi nazionale e regionale. Ed a proposito dei finanziamenti ci sarà da rispondere alla Corte dei Conti la cui sezione di controllo, in una preliminare relazione di pochi giorni fa, ha ritenuto che non ci sia stato nessun sistema di controllo interno per prevenire o accertare i “disallineamenti” tra le attività e gli obiettivi e nessuno strumento di verifica della congruità dei costi contrattuali e dei risultati.

Il fallimento dell’iniziativa è già da tempo palese ed è un segnale negativo che condanna la città a rimanere periferica, conferma i pregiudizi, mette in risalto le proprie incapacità, evidenzia una classe dirigente pietosamente inadeguata, non lascia nulla di durevole e di valido per gli anni a venire, sciupa un’occasione per tentare di svoltare da una marginalità che segna Agrigento in tutti i suoi aspetti, quello economico, delle infrastrutture, dei servizi, delle opportunità di lavoro.

Conferma la convinzione che la cultura non riesce a dare una spinta, a lasciare un segno, a creare apprezzabili novità. Il fallimento riguarda certamente Agrigento, ma coinvolge il governo regionale, che ha gestito “capitale della cultura” emarginando l’amministrazione comunale e l’apposita fondazione che non ha mai dato segni di vita.

Il fallimento conferma ed aggrava una diffusa inerzia, una rassegnazione, un’indifferenza che investono la politica e la società. Tutto questo nella fondata previsione che non vi sarà nessuna ripercussione sul rapporto tra la gente e la cosiddetta classe dirigente.

Chi amministra Agrigento sembra sia guardato con una, se posso dirlo, affettuosa, compassionevole convinzione, quella di non potere essere chiamati a rendere conto delle proprie scelte, dei propri errori, delle proprie inadempienze. Sopravviveranno, sindaco e amministratori, o meglio potranno essere solo estromessi da scelte dei partiti, da equilibri di potere.

Chi governa la Regione aggiungerà il fallimento di Agrigento ai tanti ormai da tempo inanellati. Anche in questo caso continueranno ad avere il consenso. Che peraltro nessuno insidia.