In Sicilia l’opposizione si divide, si disperde, talvolta si silenzia. E ogni tanto ruggisce: l’ultimo esempio lo ha dato Italia Viva, con il sit-in organizzato da Davide Faraone davanti alla sede dell’Azienda Siciliana dei Trasporti. Una manifestazione quasi solitaria per denunciare la nomina di Luigi Genovese alla presidenza dell’Ast. Il figlio di Francantonio, già sindaco di Messina e potentissimo ras delle preferenze, condannato nello scandalo dei “corsi d’oro”, è stato catapultato a guidare la società che gestisce il trasporto pubblico nell’Isola. Curriculum modesto, età giovane, scarsa esperienza (se non fosse per aver esordito all’Ars, il parlamento regionale, a soli 21 anni): ingredienti che non hanno fermato la politica, pronta a piazzare l’ennesimo nome utile all’incastro degli equilibri.

La scelta è servita a rinsaldare i rapporti tra Renato Schifani e Raffaele Lombardo, oggi leader del Mpa, il cui peso elettorale continua a condizionare la sopravvivenza del governo. Un’operazione che avrebbe potuto scatenare un terremoto, e invece è passata quasi sotto silenzio. Solo Faraone ha alzato la voce, raccogliendo intorno a sé poche decine di militanti. A dargli manforte, Ismaele La Vardera, l’ex Iena oggi deputato regionale di Controcorrente. Nel deserto della politica estiva, è riuscito a strappare un provvedimento all’assessore al Territorio e Ambiente, vietando tornelli e staccionate a Mondello. Non una rivoluzione, ma almeno un’iniziativa degna di nota, che rompe l’afonia generale. La Vardera sa bene che a volte serve una provocazione populista per riaccendere l’attenzione.

Oggi, però, a Palermo arriverà Carlo Calenda. Una conferenza stampa per il rilancio di Azione e per misurarsi con una domanda cruciale: chi sono e dove vanno le opposizioni siciliane? Dopo aver turbato i sonni di Schifani, provocandone la fuga dalla convention di Forza Italia Giovani, l’ex Ministro, in un’intervista a Repubblica, ha scelto la linea dura: «La Sicilia – ha detto – è prigioniera del suo parlamento che funziona con il voto segreto che non esiste da nessuna parte del mondo. Un sistema costruito per generare fiumi di denaro per intercettare il voto clientelare. L’ultima finanziaria da 80 milioni è stata stanziata a vantaggio di associazioni, sagre e compagnia. Abbiamo visto la nomina all’Ast di Genovese, senza nessuna esperienza, fatta solo perché Schifani doveva trovare un accordo con Lombardo e avere più tessere in Forza Italia, argomento per il quale immagino che i siciliani non dormano la notte».

Un affondo che ha il merito di squarciare la cortina di ipocrisie. Calenda – eletto senatore in Sicilia grazie alle storture della legge – è diventato improvvisamente la testa d’ariete di un’opposizione fumosa. Ma chi, tra gli oppositori storici, raccoglierà la sfida? Il Partito Democratico, da sempre attratto dal magico mondo delle mance, non ha speso una sillaba sull’affaire Ast. Ad eccezione di qualche assolo del segretario Barbagallo – inviso, non a caso, alla stragrande maggioranza del gruppo parlamentare – nessuna nota, nessuna conferenza, nessuna iniziativa è stata adottata in aula. Il Movimento 5 Stelle si è limitato a un post indignato sui social: la denuncia del nepotismo, scontata e già nota a tutti, non è bastata a trasformarsi in battaglia politica.

Eppure le occasioni non mancherebbero. L’Assemblea regionale si prepara a discutere l’ennesima “manovrina”, con fondi destinati a pioggia per attività sociali e culturali nei Comuni (circa 2,2 milioni senza un preciso criterio di spartizione). Una prassi consolidata, che trasforma le leggi di bilancio in carrelli della spesa pieni di contributi e prebende, distribuiti secondo logiche clientelari più che progettuali. È qui, dalle parti di Sala d’Ercole, che in passato sono nati i maxi-emendamenti, le vere abbuffate bipartisan in cui ciascun deputato ottiene qualcosa per il proprio collegio. Ma su questo terreno scivoloso le opposizioni scelgono di tacere: troppo comodo, troppo rischioso rinunciare a una fetta del banchetto.

Nel frattempo, la cronaca aggiunge dettagli gustosi. Lombardo ha difeso a spada tratta la scelta di Genovese, imbastendo un panegirico sul suo curriculum e sulla sua presunta capacità manageriale. Ma il punto non è la singola nomina, ma il sistema che la produce: un meccanismo di scambio e compensazioni che tiene in piedi la maggioranza, ma che trova nelle opposizioni un terreno di complicità silenziosa.

La domanda, allora, resta inevasa: perché Pd e 5 Stelle non spingono sulla “questione morale”? Perché non usano i fatti degli ultimi mesi – a partire dall’inchiesta della Procura di Palermo che ha travolto il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, e l’assessore al Turismo, Elvira Amata – come grimaldello per stanare la maggioranza? La risposta è amara: forse perché anche loro sono solleticati da questo modo di fare politica, attratti dalla possibilità di garantirsi una rendita di posizione, piuttosto che di costruire un’alternativa. Consapevoli – probabilmente – che quando toccherà a loro (non prestissimo, analizzando lo scenario) dovranno scegliere i manager delle Asp, i direttori degli enti parco e degli Iacp più o meno con gli stessi strumenti. Ormai fuori dal tempo, eppure così saldi nei principi della politica.

Così, in Sicilia, maggioranza e opposizione finiscono per specchiarsi l’una nell’altra. L’una governa distribuendo incarichi e risorse, l’altra osserva senza disturbare, limitandosi a qualche post indignato o a una comparsata sotto i riflettori. Se queste sono opposizioni, Schifani può dormire sonni tranquilli.