Da Roma a Taormina, dalle inchieste sul tax credit alle graduatorie della Sicilia Film Commission: il filo rosso è sempre lo stesso, il controllo pressoché totale che Fratelli d’Italia esercita sulla galassia del turismo, dello spettacolo e del cinema. Un portafogli milionario gestito senza soluzione di continuità da sette anni, che alimenta festival, rassegne, passerelle internazionali e manifestazioni locali con una generosità che non trova riscontro in altri settori della vita pubblica siciliana. È la proiezione locale di una gestione che a livello nazionale fa capo al ministero del Turismo, guidato fino a ieri da Daniela Santanché, e che ha visto negli enti collegati – dall’Enit alle partecipate – uno strumento privilegiato per costruire consenso e distribuire risorse.
Il simbolo più visibile resta il Taormina Film Festival, affidato nel febbraio scorso al ritorno di Tiziana Rocca, nominata Direttore artistico dal commissario di TaoArte, Sergio Bonomo dopo otto anni. Moglie di Giulio Base, regista e direttore del Torino Film Festival, la Rocca è stata lo “spirito guida” dell’ultima edizione che ha portato in Sicilia Martin Scorsese. Una vetrina patinata, celebrata sui media internazionali. Ma, al tempo stesso, una vicenda che si intreccia con le cronache giudiziarie: a Roma la Guardia di Finanza sta passando al setaccio la sua società, Agnus Dei Srl, e l’omonima associazione, per verificare l’uso dei contributi pubblici e del tax credit nel cinema. Eppure in Sicilia, mentre la magistratura indaga, la Regione continua ad aprire i rubinetti.
Per il 2025 la Fondazione Taormina Arte – che da qualche tempo è priva di rappresentanza al Comune (dopo l’uscita con sfuriata del sindaco De Luca) – ha incassato complessivamente 950 mila euro. Due i decreti regionali che hanno garantito la copertura. Con il Decreto n. 1600/S6 del 30 maggio sono stati stanziati 500 mila euro per sostenere i costi essenziali della rassegna: service, logistica, comunicazione. Altri 450 mila sono arrivati con un secondo provvedimento, il DDS n. 2863/S6 del 4 settembre (che ha dato seguito a un impegno assunto già a marzo), destinati al “potenziamento e alla valorizzazione” del Festival (la stessa somma è stata prevista per Taobuk). Tradotto: ospiti internazionali, eventi collaterali, promozione. In totale, quasi un milione di euro pubblici senza passare da alcun bando.
Il caso Rocca è il lato glamour del sistema. L’altro volto, meno appariscente ma altrettanto significativo, emerge scorrendo le carte della Sicilia Film Commission, diretta da Nicola Tarantino, già finito sotto i riflettori per le spese allegre di Cannes (archiviato in sede penale, ma ancora citato in un fascicolo della Corte dei Conti). Con il decreto del 2 settembre 2025, l’assessorato al Turismo ha distribuito 735 mila euro a festival e rassegne cinematografiche dell’Isola. L’ha raccontato l’altro ieri il quotidiano ‘La Sicilia’, in un pezzo dettagliato scritto da Mario Barresi.
A sollevare dubbi è stato lo sceneggiatore Andrea Traina, che ha messo in luce la vicenda del Marzamemi Cinefest. Nato nel 2022, si presenta nel 2025 come “sesta edizione” e ottiene 34.142 euro: un escamotage utile a scalare posizioni in graduatoria, perché la “storicità” dell’evento è requisito premiale. Una forzatura che fotografa bene lo spirito del bando: più che valorizzare i festival, sembra basti gonfiare il curriculum per ottenere il finanziamento. Altro esempio emblematico: il Messina Opera Film Festival, diretto da Ninni Panzera. Per decenni segretario generale di Taormina Arte, oggi presenta un festival che si definisce alla “nona edizione”, ma che in realtà riprende dopo 22 anni di interruzione un’iniziativa ferma al 2001. Anche qui la Regione concede 29.711 euro, invocando la “continuità culturale”.
Due episodi che spiegano meglio di mille elenchi come sembra funzionare la macchina: la Regione distribuisce tutto quello che c’è, senza troppe verifiche sulla reale consistenza degli eventi. Alla commissione – e dunque al dirigente Tarantino – resta la discrezionalità nel validare interpretazioni ardite dei regolamenti. Un altro episodio che aveva messo a dura prova l’attendibilità e l’affidabilità della Film Commission si era palesato a fine estate, con l’esclusione del film dedicato alla vita di Biagio Conte dal lotto dei premiati che avevano occupato le prime posizioni della graduatoria. Schifani aveva promesso di metterci una pezza, ma deve ancora farlo: probabilmente accadrà con la prossima manovrina in discussione all’Ars (per il momento ferma in commissione Bilancio).
Ma è così, in un solo colpo, che si illuminano i due estremi di una stessa politica culturale. Da un lato i grandi eventi come il Taormina Film Festival, che ingoiano milioni a colpi di decreti senza gara. Dall’altro i festival minori, che si spartiscono contributi più modesti ma ottenuti spesso con scorciatoie formali. In mezzo, un’unica certezza: il potere di gestione resta nelle mani di una corrente politica che ha fatto del turismo e dello spettacolo il proprio feudo. Fra grandi e piccoli eventi, il settore turistico-culturale siciliano brucia ogni anno decine di milioni di euro, senza alcuna valutazione di impatto e senza rendere conto dei reali ritorni per il territorio.
Nessuna condanna penale, per ora (anzi, riguardo al caso Cannes, è stata archiviata la posizione di tre dirigenti regionali fra cui Tarantino). Ma il quadro è quello di un sistema che non risponde a criteri di trasparenza, che moltiplica i canali di spesa e che consente di finanziare chiunque, purché entri nel perimetro giusto. Sicilia come laboratorio, Taormina come passerella, la Film Commission come ufficio di erogazione. Sempre con la stessa regia politica.


