Renato Schifani ha provato a blindarsi. Ha riportato in giunta Luca Sammartino, il golden boy leghista rientrato in sella dopo l’incidente giudiziario, e ha rinsaldato l’asse con Raffaele Lombardo, consegnando a Luigi Genovese la presidenza dell’Ast in cambio di una massiccia partecipazione al prossimo congresso di Forza Italia, con l’indicazione di confermare Marcello Caruso nel ruolo di segretario. Una rete di protezione che dovrebbe garantirgli tranquillità politica fino alle Regionali del 2027. Ma il fronte di destra, quello presidiato da Fratelli d’Italia, resta scoperto: i patrioti osservano, mugugnano, e quando serve alzano la mano per ricordare che nulla è scontato.
In Commissione Sanità, per esempio, hanno votato a favore della nuova rete ospedaliera, ma con un documento che suona come un avviso ai naviganti. «Alcune discrepanze si possono rilevare su tutto il territorio regionale», scrivono, sollecitando «un preventivo confronto con il Ministero della Salute (…) al fine di rivalutare nel numero complessivo i posti letto, tenuto conto della sostenibilità economica della rete rispetto al fondo sanitario». Parole pesanti, se si considera che la Sicilia è in Piano di rientro da 18 anni e che la riforma, una volta licenziata dalla giunta, passerà al vaglio del ministro Schillaci, che risponde alla Meloni e a FdI.
Il gruppo guidato da Giorgio Assenza, con i deputati Giuseppe Zitelli e Pino Galluzzo, ha chiesto inoltre di «indicare l’indice di realizzabilità dell’attivazione dei posti letto, alla luce dell’andamento delle procedure di selezione del personale in ciascuna Azienda, nonché alla luce della effettiva esistenza degli spazi destinati all’attivazione dei rispettivi reparti». Tradotto: non bastano le buone intenzioni, servono medici, infermieri e stanze. FdI ha depositato anche proposte puntuali: eliminare il taglio di 12 posti a Gela, prevedere il secondo monoblocco del “Giovanni Paolo II” di Ragusa, inserire il Polo di riabilitazione di Pergusa, riservare posti letto per l’Ismett II, rafforzare i punti nascita in deroga come quello di Corleone. E ancora: adeguare i posti letto di area medica agli accessi di pronto soccorso, soprattutto a Vittoria, Gela, Avola, Termini Imerese e Marsala.
Quello alla rete ospedaliera è un sì condizionato, quasi “con riserva”. Ed è in questo quadro che si inserisce l’indiscrezione raccolta da La Stampa: a Roma gli uomini di FdI avrebbero sondato la disponibilità di Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera, come carta per il futuro. Fantapolitica? Forse. Ma significativa. Mulè è uno dei pochi dissidenti acclarati di Forza Italia in Sicilia, contrario ai metodi verticistici di Schifani e al clima di scarso dialogo dentro il partito. Assieme a Marco Falcone, eurodeputato a Bruxelles, e Tommaso Calderone, ha avanzato delle proposte per migliorare la sanità siciliana e ha provato a smuovere le acque, prima che i parlamentari dell’Ars – gli stessi che attendono il voto segreto per sancire le proprie prerogative personali e territoriali – si allineassero al pensiero dominante.
Mulè, attuale vicepresidente della Camera per Forza Italia, già sondato da Berlusconi alla vigilia del voto nel 2022, è un profilo che, agli occhi dei patrioti, potrebbe incarnare la svolta: cattolico, moderato, radicato nell’Isola, e soprattutto libero da vincoli con l’attuale governatore. Un segnale che il 2027 è già cominciato, e che la partita non sarà solo tra alleati, ma dentro la stessa coalizione.
Sul terreno della manovra, intanto, i patrioti hanno dovuto ingoiare un altro rospo. Schifani ha imposto ai gruppi di stralciare i fondi indirizzati agli assessorati: la Dc ha rinunciato a 2,2 milioni per le feste di Natale, FdI ai 3 milioni per il Turismo. Un settore già travolto da sprechi e scandali. L’inchiesta giudiziaria su Gaetano Galvagno ed Elvira Amata, fin qui priva di conseguenze politiche, ha fatto drizzare le antenne alla “casta di governo”. Nelle prossime variazioni di bilancio, ancora bloccate in commissione, il presidente preferirebbe concentrare 35 milioni per opere infrastrutturali e altri 25 per oliare la macchina parlamentare (anche se di destinazione incerta). Ma la scelta, ancora una volta, riduce la forza contrattuale dei partiti e aumenta quella di Palazzo d’Orléans.
E mentre Matteo Salvini si è portato a casa l’accordo con Totò Cuffaro, rilanciando la sua Lega in salsa democristiana. Schifani, che si sente blindato, scopre invece che le serrature ballano: i patrioti diffidano, Roma corteggia Mulè, e il matrimonio di convenienza tra governatore e Fratelli d’Italia resta tutto da scrivere.
Il partito della Meloni, peraltro, rappresenta una variabile impazzita: nonostante le carezze di Ignazio La Russa – che aveva dichiarato il proprio apprezzamento per il lavoro dell’amico Renato – all’Etna Forum di Ragalna, è commissariato. La Meloni ha nominato Luca Sbardella per uscire dall’impasse del doppio coordinatore (per la Sicilia occidentale e orientale) e per archiviare lo scandalo dei contributi alle associazioni di amici e familiari (meglio noto come “caso Auteri”): segnalando, in questo modo, malumore e sfiducia verso le classi dirigenti locali. Contestualmente, l’ex vice capogruppo alla Camera e colonnello della ‘corrente turistica’ in Sicilia, Manlio Messina, si è dimesso dal partito, lasciando un vulnus difficilissimo da colmare. Prima di richiedere formalmente un sostegno per la prossima corsa da governatore, Schifani dovrà capire bene chi comanda in FdI, se il ricambio è in atto ed eventualmente quali interlocutori coinvolgere. Non sarà una passeggiata.