Fino al prossimo voto segreto – anche se l’obiettivo congiunto di Schifani e Fratelli d’Italia è abolirlo – il centrodestra può dormire sonni tranquilli. La crisi minacciata dai patrioti, che avrebbero preferito essere sbattuti fuori dalla giunta per giustificare lo strappo, è rientrata. Nel corso dell’incontro di ieri, infatti, i partiti della coalizione (rappresentati dai segretari e dai capigruppo), in un clima di “grande coesione e condivisione”, hanno provato a insabbiare una situazione esplosiva, che solo giovedì scorso si era tramutata in una Caporetto: FdI e Mpa sono rimasti in aula dopo aver impallinato – coì raccontano le cronache – gli articoli più cari al governatore. In altre parole, l’hanno massacrato. Ma togliere il disturbo a questo punto della legislatura, con due anni davanti, è parso sconveniente a tutti. Compreso Sbardella.
E così sono bastati tre giorni a ricompattare le fila e a far emergere, sui giornali “trombettisti”, una verità tanto scomoda quanto audace: Caporetto appartiene al passato. E’ questo il titolo del film che ha allietato il summit di ieri, a cui hanno partecipato sia Totò Cuffaro che Raffaele Lombardo, e il leghista Sammartino. Oltre, ovviamente, a Renato Schifani. Che dopo aver minacciato di ritirare la manovra e non essere riuscito a far ritirare i partiti sull’Aventino (ad eccezione di Lega e Dc) ha abbassato le orecchie e annunciato pentimenti. “Ritengo l’unità della coalizione imprescindibile per l’azione del governo – aveva dichiarato il presidente alle agenzie -. Una coalizione che mi sento di ringraziare perché con il suo leale e costante sostegno ha consentito il raggiungimento di importantissimi risultati in tema economico, occupazionale e sociale”.
Solo qualche fessacchiotto, o chi non mastica abbastanza di politica, potrebbe credere a un ritorno di fiamma tra i partiti. Che in realtà sono armati fino ai denti e non vedono l’ora di nuovi sgambetti. Schifani aveva detto di voler riproporre alcune norme considerate fondamentali: dal finanziamento del film dedicato alla vita di Biagio Conte alla legge sull’editoria, passando per il ddl di riordino dei Consorzi di Bonifica. Roba che l’aula ha fatto a pezzi. La promessa di modifiche dovrà però incastrarsi coi tempi dell’Assemblea: da qui alla fine dell’anno bisognerà approvare un’altra Finanziaria, stavolta con ricadute sul 2026, per la quale Schifani spera di poter utilizzare parte dei due miliardi di avanzo d’amministrazione. Da qui la grande proposta per uscire dall’impasse: “un tavolo politico permanente”. Wow.
E’ come se in poche ore, e in poche righe, gli attori di questa farsa abbiano voluto archiviare una crisi feroce, che avrà come unico effetto – certo – la mancata ricandidatura di Schifani. Da quanto trapela, infatti, nelle tre ore di summit si è parlato d’altro: la sicurezza a Palermo, i successi dei primi tre anni di governo, le lodi a Galvagno per aver fatto approvare le ultime due manovre senza ricorrere all’esercizio provvisorio. Questo significa che non c’è stato modo di analizzare i motivi che hanno condotto la coalizione nel baratro; di sciogliere i nodi; di capire come la Sicilia (non tanto il governo) trovino il modo di andare avanti senza fare danni. Ché di questo si parla. Tirare a campare non è una soluzione, eppure è l’unica strada intrapresa da chi non ne vuol sapere di mollare la poltrona.
Se la manovra quater – da 54 articoli e 240 milioni – ha provocato distruzione, figurarsi cosa accadrà con la Legge di Stabilità. Torneranno in voga tutti gli articoli stralciati dall’ultimo provvedimento, a cominciare dalle mance copiose per i territori, e ce ne saranno molti altri. Se la psicoterapia di gruppo non avrà generato una riflessione vera e accurata, il rischio è che i franchi tiratori possano addirittura aumentare (nell’ultima sessione a Sala d’Ercole se ne sono contati tra i 15 e i 17), che la sanità continuerà a vivere tempi cupi, che gli agricoltori non avranno più i laghetti aziendali contro la siccità, che gli editori (quelli perbene, che non raschiano fondi pubblici a furia di affidamenti diretti) non godranno del sostegno determinante delle istituzioni; che i giovani non potranno lavorare a distanza, pagando le proprie tasse nell’Isola.
Fingere che non sia accaduto nulla è il miglior viatico per ricascarci. Certo, ci sarà tempo per riparare ai torti perpetrati da Sammartino nei confronti dei patrioti, per appianare le divergenze sulle nomine (con altre nomine), per abbozzare un rimpastino che – forse – rimarrà soltanto sulla carta (annunciarlo per l’inizio del 2026 è di per sé rassicurante), per sproloquiare sull’abolizione del voto segreto (non si fa mica in due giorni). Ci sarà tempo per tutto questo, ma è un tempo sottratto alla Sicilia e ai siciliani, allo sviluppo, agli investimenti.
“Ci incontreremo per individuare, con quella responsabilità che non ci è mai mancata, gli eventuali motivi che hanno dato luogo a incomprensioni portatrici di voti segreti di dissenso su alcune proposte dell’esecutivo – aveva detto Schifani alla vigilia del vertice -. Sono più che certo che dal confronto leale e paritario di tutti noi avremo modo di chiarire e trovare ancora più slancio per il sostegno dell’azione del governo”. Il governo che non ha mai governato, che si è infranto sulle dinamiche d’aula, che ha generato una crisi istituzionale (basti vedere il rapporto con Galvagno), ma anche parlamentare e politica. Quel governo?


