Per Fratelli d’Italia una buona parola si trova sempre. Renato Schifani, per rimettere insieme i cocci di una maggioranza sconquassata, ed evitare strappi con il principale azionista di governo, ha (avrebbe) deciso di sacrificare Salvatore Iacolino. Nominato qualche settimana addietro alla Pianificazione strategica, ma ancora in attesa della firma sul contratto, sembra che la sua fuoriuscita da piazza Ottavio Ziino sia l’unica strategia – chiamala strategia… – di tenere in vita la legislatura ed evitare nuovi capitomboli come quelli di giovedì.
Il vertice di maggioranza non è servito a rinsaldare la coalizione (ne sono prova gli screzi fra Lombardo e Cuffaro), semmai l’asse fra il presidente della Regione e i patrioti, a cui Schifani deve la propria esistenza nonché la “coda” di una carriera politica che senza Ignazio La Russa non gli si sarebbe mai presentata. Però, fateci caso: per fare felici i patrioti (a costo zero, peraltro) ha scelto di sacrificare gli interessi legittimi proprio partito. Infatti non è previsto alcun rimpastino in tempi brevi e i due assessori “tecnici” – Faraoni alla Sanità e Dagnino al Bilancio – rimarranno regolarmente al proprio posto. Chi si auspicava un ingresso in giunta (vedi il nisseno Mancuso) o maggiore rappresentatività al governo, rimarrà deluso anche stavolta.
Le lancette, infatti, sono tornate indietro a qualche settimana fa, nei giorni in cui montava la polemica capeggiata dall’eurodeputato Marco Falcone, dal vicepresidente della Camera dei Deputati, Giorgio Mulè e dal parlamentare Tommaso Calderone. Schifani, però, di Forza Italia non si cura. Sa di poter calpestare i suoi diritti più elementari, e comunque di farla franca. A testimoniare questo gioco al massacro è il silenzio di Antonio Tajani: “Non una parola – scrive l’edizione palermitana di Repubblica – è stata pubblicamente spesa né fatta filtrare alla stampa, in difesa del suo governatore all’angolo”. Ma nemmeno contro. Il segretario azzurro non ha proferito verbo né di fronte alla crisi (accennata) dell’esecutivo né per le frequenti mancanze di rispetto verso i parlamentari di FI.
Che in più di un’occasione hanno ribadito la distanza rispetto ad Alessandro Dagnino: alcune delle norme proposte in passato dall’assessore all’Economia (come l’acquisto del palazzo di via Cordova dove ha sede la Corte dei Conti) sono state impallinate dal voto segreto. Ma il malumore più incalzante riguarda Daniela Faraoni, il cui figlio – oltre a essere sindaco di Serradifalco – è anche segretario della Lega in provincia di Caltanissetta. Assoldato da Luca Sammartino. Questa contraddizione spietata è al centro di un dibattito sempre più sterile e confinato a poche menti raffinate, che da Roma gridano allo scandalo. Mentre in Sicilia i ‘murati vivi’ continuano a trincerarsi dietro il voto segreto: alcuni di loro hanno bocciato alcune delle norme presentate a Sala d’Ercole dal governo, prima di abbandonare l’aula (bluffando).
L’unico vanto per la maggioranza del gruppo parlamentare (tranne un paio di deputati: La Rocca Ruvolo e Gallo Afflitto) era stata la conferma di Iacolino alla Pianificazione strategica. Ecco cosa dissero lo scorso 3 ottobre. Gennuso: “Scelta coerente per chi ha mostrato coraggio e competenza”. D’Agostino: “Ha ridato slancio ed organizzazione all’intero sistema sanitario, ed è stato anche un solido punto di riferimento concreto per tutti”. Persino Pellegrino: “La Pianificazione strategica, grazie al suo lavoro, è stata al centro del percorso di ricostruzione compiuto dal Governo Schifani”. Chi dirà a tutti questi che Iacolino verrà sacrificato sull’altare degli interessi di un (altro) partito?
Schifani, piuttosto che rinunciare alla Faraoni e dare un segnale di appartenenza, ha preferito sconfessare se stesso. Rimettendo la nomina di Iacolino sotto la lente d’ingrandimento di qualche giurista così da poter “giustificare” l’inversione a U. Lo ha fatto a costo zero, come anticipato. Perché nella discussione con Luca Sbardella, il cosiddetto pre-vertice, il governatore non ha mai provato ad alzare il tiro, ad esempio esigendo il ripristino della questione morale che FdI ha violato ripetutamente. Poteva proporre – così per dire – un azzeramento della delega al Turismo, dove continua a comandare l’allieva del Balilla, Elvira Amata, che è indagata dalla Procura di Palermo per corruzione.
Ma niente, al “diesel” Schifani è mancato il guizzo. Un’impennata d’orgoglio che lo portasse a mettere sulla bilancia, con la medesima accuratezza, gli interessi di Fratelli d’Italia e quelli di Forza Italia. I due partiti erano arrivati allo scontro anche nel corso dell’ultima seduta all’Ars. Intravaia (FI) chiese la verifica del numero legale, Galvagno provò a schernirlo assieme al capogruppo Assenza. I fratellini, addirittura, ritennero di rimanere in aula per essere fedeli alle proposte del governo, mentre avevano già contribuito a spazzarne via una ventina. Se ne sono accorti praticamente tutti, tranne Schifani che adesso li premia per “la responsabilità” dimostrata in questi anni. Ma è più responsabile chi l’ha condotto fino a palazzo d’Orleans o irresponsabile chi lega ineluttabilmente le sorti della Sicilia al proprio destino politico?