Mentre Schifani affida ai propri sovrastanti le comunicazioni più delicate – dall’abolizione del voto segreto alla difesa d’ufficio della sanità – contro di lui prende forma un’altra opposizione, Extraparlamentare, se vogliamo. Ma molto influente, specie nel Catanese. Fa capo ai musumeciani di ferro: da una parte Ruggero Razza, che è stato assessore della Salute durante il quinquennio del Pizzo magico; dall’altro Manlio Messina, fresco fuoriuscito da Fdi ma da un paio di giorni tornato prepotentemente in campo per contestare l’assenza di visione dell’attuale governo regionale. Di cui Fratelli d’Italia – qualora ci si fosse distratti, è utile ricordarlo – costituisce l’azionista di maggioranza.
E evidente che l’avvio di settimana di Manlio Messina, che fa il paio con la polemica innescata da Razza lo scorso weekend ad Aci Castello, non può essere casuale. Rafforza le critiche del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia, sfociate nel giovedì nero dell’Ars. Ma non le ricalca (nei modi e nei toni) e lascia intravedere qualcosa d’altro: cioè una guerriglia tra i patrioti catanesi che non accenna a esaurirsi. Lo stesso Musumeci, intervenendo all’iniziativa Patrioti in Comune, aveva invitato Salvo Pogliese, già coordinatore del partito per la Sicilia orientale, a tendere una mano a Messina per riportarlo dentro. La speranza che ci ripensi è sempre l’ultima a morire, anche se le iniziative social dell’ex assessore vanno in conflitto coi tentativi del commissario Sbardella di riaprire un dialogo con Palazzo d’Orleans.
Sbardella punta ad accantonare Iacolino, utilizzando dichiarazioni di facciata (sul voto segreto, sulla prossima Finanziaria, eccetera). Messina, che non ha nulla da perdere, invece ha preferito scagliarsi contro il governatore. Due volte. La prima, martedì pomeriggio, dopo aver letto l’entusiasmo di Schifani sui dati di UnionCamere che vedono la Sicilia moltiplicare il numero di imprese (sopra la media nazionale): “Schifani continua a beneficiare del lavoro fatto dal Governo Musumeci – ha graffiato l’ex vice capogruppo di Fdi alla Camera – Continua a vantarsi degli ottimi risultati della Sicilia, di cui siamo tutti felici, ma forse credendo che i siciliani abbiano l’anello al naso e non capiscano che questi dati economici non possono essere il frutto di qualche anno di “lavoro”. Ad oggi oltre ai 300 mila euro dati alla società Trapani calcio, che ha come consulente l’avvocato Schifani (suo figlio), non vedo nulla di strategico”.
L’indomani, cioè ieri, ha sferrato il secondo affondo. Stavolta a proposito dei fondi del Pnrr, che la Regione fatica a spendere (appena il 26% a pochi mesi dalla scadenza) e soprattutto a rendicontare. “I dati parlano chiaro: la Sicilia è ferma – ha detto Messina -. I progetti del Pnrr non avanzano, la spesa è bloccata e secondo le stime diffuse oggi rischiamo di perdere oltre 11 miliardi di euro. La responsabilità di questo fallimento ricade direttamente sul presidente Renato Schifani, impegnato in questi mesi più alle polemiche interne e alla propaganda sui giornali locali che ai problemi reali della Sicilia”. Poi la lettura sferzante: “Dispiace per questo metodo bizzarro di amministrare una regione, che oggi rischia di pagare un prezzo altissimo per l’immobilismo del suo vertice politico”. E infine la provocazione: “Chiederò al Governo nazionale, attraverso una interrogazione parlamentare al ministro competente Tommaso Foti, di attivare tutte le azioni di supporto, controllo e vigilanza necessarie, fino alla possibilità di commissariare la gestione dei progetti Pnrr”.
Se Messina vestisse ancora i galloni di Fratelli d’Italia sarebbe clamoroso. Ma dato che non lo fa, la sua posizione è quantomeno curiosa. Parla da lupo solitario o da musumeciano pronto a rientrare nei ranghi? Fra Schifani e Musumeci non corre buon sangue, questo è assodato. A testimoniarlo anche le parole di Ruggero Razza, durante l’appuntamento di sabato scorso ad Aci Castello. Parlando di fondi comunitari l’europarlamentare ha sfidato il presidente della Regione: “Il 75% di quelle risorse è stato utilizzato da un governo guidato da Fratelli d’Italia. Quando si devono fare scelte di politica economica – ha proseguito – spesso si preferisce la guerra interna ai progetti già pronti, cancellandoli per logiche di partito o in vista delle elezioni. È una discontinuità del buon senso”.
La tavola è apparecchiata per una sfida all’ultimo sangue. E il malessere dell’ala musumeciana di FdI è persino più profondo delle voci “parlamentari”. Sbardella aveva cercato una tregua durante l’ultimo vertice di maggioranza, ma non è stato ancora accontentato (via Iacolino dalla Pianificazione strategica, depotenziamento di Sammartino, Finanziaria da condividere). Razza & Co. invece, covano una delusione più profonda, che nemmeno le nomine ad hoc – come quella di Elena Pagana in avvio di legislatura – è riuscita a lenire. La loro schiettezza, che qualcuno confonde con prepotenza, rischia di mandare in confusione pure Ignazio La Russa: cioè l’unico, allo stato attuale, che si batte per proseguire l’azione di governo. “State lavorando bene”, ha detto ai patrioti collegandosi da remoto.
Poche settimane fa, a Ragalna, aveva detto le stesse cose a Schifani, auspicando la sua riconferma. Lo stesso Schifani che FdI ha massacrato in aula col voto segreto e fuori dall’aula con le dichiarazioni appena riportate. Anche di Messina, che fatichiamo a considerare fuori dai giochi. Non lo è. Insomma, pure nel partito della premier – ricordate l’invito di Musumeci a Pogliese riportato in apertura di questo pezzo? – qualche ingranaggio andrebbe registrato. La maggioranza è dell’indagato Galvagno, come ha scritto qualcuno dopo il giovedì nero all’Ars? O di Musumeci, che tenta la strada della restaurazione? Ha più influenza Razza, che prova ad accaparrarsi (in senso figurato) la poltrona di dirigente della Pianificazione strategica? O Messina, tornato audacemente sulla cresta dell’onda? A chi, fra questi, Schifani dovrà baciare la pantofola per ottenere il bis?
In questa lotta molto catanese, c’è una cosa che mette d’accordo le parti in causa: meglio non parlare degli scandali. Perché ne uscirebbero tutti (o quasi) con le ossa rotte.