Ma sì, aiutiamolo. Renato Schifani se ne sta asserragliato dentro Palazzo d’Orleans come un leone in gabbia. Lo affliggono mille tormenti. Dopo le incursioni dei franchi tiratori non ha il coraggio di ripresentarsi a Sala d’Ercole per l’approvazione della Finanziaria. Vuole evitare il nuovo bagno di sangue. Ma la pace con i nemici nascosti dietro il voto segreto è ancora lontana. E ogni passo, per dirla con Luis de Gongora, rischia di diventare un precipizio. Non riesce a sciogliere i nodi della sanità e nemmeno a suturare le ferite aperte dall’ultima Caporetto parlamentare, quando il voto segreto gli ha decapitato due leggi sulle quali lui, il governatore in persona, ci aveva messo la faccia: quella che doveva finanziare il film su Biagio Conte, il missionario laico di Palermo, e quella che avrebbe dovuto dare un minimo di sicurezza al disagiato mondo dell’informazione, afflitto da una crisi sempre più crudele e insostenibile.

Con una toppa forse peggiore del buco è riuscito a raggranellare cinque milioni di euro per sostenere il film su Fratel Biagio. Resta però da tamponare l’altra ferita, quella che riguarda i giornali, le televisioni, le agenzie di stampa e le radio che operano in Sicilia. Noi vogliano aiutarlo. Ed è per questo che ci permettiamo di dargli quei consigli – ovviamente non richiesti – che certamente potranno contribuire a rasserenare il clima e ad attutire le ostilità dei franchi tiratori.

Che cosa c’era che non andava nella legge per l’editoria? Perché è stata così spietatamente silurata dai franchi tiratori? Il presidente Schifani se lo è chiesto, col bianco candore di un sonnambulo, parlando, subito dopo il disastro di Sala d’Ercole, con un gruppo di giornalisti in festa a Galati Mamertino. Forse, per trovare una risposta, avrebbe fatto bene a meditare su ciò che lui stesso ha combinato a Ragalna il giorno in cui si è recato nella cittadina dell’Etna per omaggiare Ignazio La Russa, suo amico e sponsor politico. Lì, manco a dirlo, ha scelto come suo intervistatore non un giornalista credibile e autorevole, ma il super pagnottista al quale Palazzo d’Orleans ha scandalosamente assegnato affidamenti diretti per oltre mezzo milione di euro; mostrando così al mondo intero la sua idea distorta sulla libertà di stampa e il suo rapporto malato con gli organi di informazione. Chissà. Probabilmente qualcuno dei settanta deputati dell’Assemblea regionale ha pensato che con i contributi previsti per l’editoria il presidente volesse mettere a suo servizio altri giornali, reclutare nuovi trombettieri, foraggiare altri pagnottisti. Oppure – ipotesi ancora più probabile – che la legge inserita nella manovra quater fosse una faccenda privata tra lui e il suo pagnottista di fiducia: quel Maurizio Scaglione esibito, con tanta sfrontatezza, a Ragalna. Ed è partito, nel segreto dell’urna, il fuoco di fila contro la legge.

Eppure un sistema per non buttare l’acqua sporca con tutto il bambino ci sarebbe. Non ce ne vogliano gli onorevoli e zelanti colleghi della Stampa Parlamentare – espertissimi nel suggerire ai deputati di Sala d’Ercole norme utili per incrementare l’occupazione – se ci permettiamo di proporre un emendamento aggiuntivo, che per loro suonerà magari blasfemo. Ma lo proponiamo nel tentativo non facile, e forse pure disperato, di ripulire una legge – Dio solo sa quanto necessaria – dai cattivi odori che hanno finito per affossarla non una ma addirittura due volte.

L’emendamento aggiuntivo – al quale il governo della Regione e i colleghi della Stampa Parlamentare non hanno forse pensato – potrebbe essere il seguente: “Dai contributi previsti dalla presente legge sono esclusi quei finti organi di informazione e quelle agenzie di comunicazione che, con affidamenti diretti e altri mezzi poco commendevoli, ricevono già dalla Presidenza della Regione o da enti e aziende comunque sostenuti da denaro pubblico, cospicui e indecenti finanziamenti”.

Diciamolo: sarebbe un duro colpo per i pagnottisti della comunicazione. Soprattutto per quelli, come Maurizio Scaglione, che sgraffignano mezzo milione di euro dalle casse di Palazzo d’Orleans e che rastrellano contratti di collaborazione con l’Autorità portuale dell’Est e forse anche dell’Ovest, con il Consorzio delle Autostrade siciliane, con i cioccolattai di Modica e coi comuni del Ragusano controllati dal democristiano Abbate, con Taormina Arte e con il castello di Taormina, con le Asp di Catania e di Palermo, con l’assessorato della Sanità, con l’Orchestra Sinfonica e con altri enti smaniosi di far conoscere i propri successi o di coprire, con una comparsata su un giornaletto pubblicato da un faccendiere, le proprie insufficienze, le proprie spregiudicatezze o i propri insuccessi.

E’ un sottobosco, quello dei pagnottisti, che non ha nulla a che vedere con il giornalismo. E’ una mercanzia bacata che avvelena il dibattito politico e che finisce per inquinare il lavoro serio, e difficilissimo, dei tanti professionisti, sparsi nelle redazioni, che sanno separare le notizie dalla pubblicità, le interviste dalle marchette e l’informazione dalla comunicazione.

Sappiamo bene che non è agevole entrare nella testa, ovviamente incappucciata, dei franchi tiratori e capire le ragioni che li hanno spinto a bocciare una legge organica che avrebbe potuto salvare dalla crisi un intero settore: quello della stampa, appunto, finora tenuto in piedi solo da un impegno eroico e straordinario dell’Irfis. Ma se il presidente Schifani – tra i tanti pentimenti, veri o finti, di questi giorni – decidesse di allontanare i pagnottisti da sé e dal suo cerchio magico; di cancellare il brutto esempio di Ragalna e di restaurare con la stampa un rapporto onesto e cristallino, la legge sull’editoria probabilmente non incontrerebbe più le ostilità che si sono appalesate nel segreto dell’urna durante lo strazio dell’ultima manovra finanziaria.

Glielo dicano gli onorevoli e zelanti colleghi della Stampa Parlamentare, quelli che sanno suggerire i buoni emendamenti ai deputati di Sala d’Ercole. Glielo facciano capire. In pubblico e in privato. Un segnale di pulizia darebbe al governo della Regione quel respiro e quella lucentezza che dieci, cento o mille interviste salivose acquistate dai pagnottisti non riusciranno mai a dargli.