Mentre la sanità siciliana viene avvolta dalle fiamme di un’inchiesta che promette sconquassi, l’unico a pagare – per una impuntatura politica – è Salvatore Iacolino, che a giorni lascerà l’incarico di Direttore del Dipartimento alla Pianificazione strategica. Non perché non abbia titoli o meriti, ma perché Fratelli d’Italia lo pretende. La conferma del 3 ottobre, sancita da un comunicato di Palazzo d’Orleans, aveva fatto saltare sulla sedia Luca Sbardella, commissario del partito nell’Isola, e i parlamentari dell’Ars (artefici della Caporetto sulla manovra-quater), che volevano piazzare su una delle due poltrone più importanti dell’assessorato (l’altra è quella dell’assessore) un proprio uomo di fiducia.
Non accadrà. Mario La Rocca, nonostante un’articolata istruttoria per dimostrare la sua “compatibilità”, non può ricoprire quell’incarico (lo aveva fatto durante il Covid, con Razza e Musumeci). Così alla guida del dipartimento arriverà un fedelissimo di Faraoni, l’attuale capo di gabinetto dell’assessore: Giuseppe Sgroi. L’avvicendamento potrebbe arrivare persino in anticipo sull’ultima scadenza accordata a Iacolino con la proroga di due mesi. Ed è l’ennesima dimostrazione di come la politica, più che interessarsi al merito delle questioni, segua gli umori delle segreterie.
Dalla vicenda Iacolino emergono alcuni spunti impossibili da tacere: il primo è l’irrilevanza, ormai evidente, del partito del presidente della Regione. Forza Italia non conta più nulla. Nei mesi scorsi è accaduto che alcune nomine, tra cui quella della stessa Faraoni e quella di Alessandro Dagnino all’Economia, tradissero la volontà del gruppo parlamentare, finendo per umiliarlo. Eppure i “murati vivi”, a parte rari sussulti romani, hanno sempre preferito ingoiare le decisioni calate dall’alto, cioè da Schifani. La difesa di Iacolino, forse, era l’ultimo avamposto di dignità: il 3 ottobre molti parlamentari forzisti si erano affrettati a dichiarare soddisfazione per la conferma di un manager affidabile. Il deputato siracusano Gennuso, per citarne uno, parlava di “scelta coerente per chi ha mostrato coraggio e competenza”. Anche il capogruppo Pellegrino e l’acese D’Agostino si erano espressi a favore. Non è bastato.
Schifani ha messo sul piatto l’amore per il suo partito e l’obbedienza ai patrioti: non c’è stata storia. La cacciata di Iacolino era per Sbardella & Co. condizione imprescindibile per mandare avanti l’azione di governo. E così sarà: poco importa se il governo è paralizzato dagli scandali, e lo stesso vale per Fratelli d’Italia e per il suo commissario (la moglie è finita nell’inchiesta di Report sul Garante della privacy). Ciò che conta è gestire quei pochi equilibri che rimangono, già di per sé precari. L’attuale Direttore della Pianificazione strategica, se andrà bene, ha le valigie pronte in direzione Policlinico di Messina. Perché la sede più autorevole, l’Asp di Palermo, è stata appena assegnata ad Alberto Firenze, grazie al via libera della prima commissione dell’Ars. Anche in questo caso il governatore, lasciando tutti a bagnomaria per mesi, ha mostrato quanto poco valga la sua parola.
L’addio di Iacolino premia FdI (parzialmente, perché il sostituto non è “figlio” di Sbardella) ma anche il Mpa di Lombardo, che da tempo chiede un ricambio nella sanità. Due partiti che non hanno impressionato per cautela amministrativa o etica pubblica: Galvagno e Amata sono indagati per le note vicende (corruzione, peculato, falso e truffa), e anche gli Autonomisti hanno avuto le loro grane, dall’arresto di Castiglione all’inchiesta sugli appalti truccati che investe Di Mauro. Ma il regalo più grosso è per un altro inquisito eccellente: Luca Sammartino. Il vero trionfatore in mezzo alle macerie. L’assessore Faraoni è farina del suo sacco – il figlio è segretario della Lega a Caltanissetta – e Sgroi non è, obiettivamente, un vero contraltare. L’ex Direttore generale dell’Asp di Palermo, nei mesi turbolenti di piazza Ziino, non ha mai dato l’impressione di essere padrona del ruolo: la sua gestione ha lasciato molto a desiderare (dalla vicenda dell’Asp di Trapani in giù) e anche i convenzionati, di recente, l’hanno definita “inadeguata”.
Ma nella sanità della Regione, coperta da schizzi di fango e attraversata dai comitati d’affari, non c’è più spazio per la salute dei siciliani. La governa ormai un sinedrio che non ha più nemmeno pudore nell’amministrare clientele e lottizzazioni, cadute e resurrezioni. Un sinedrio gidatato da un presidente che ha perso il controllo delle operazioni, anche se farà di tutto per dimostrare il contrario. A seguito dell’inchiesta che ha trascinato nella polvere Cuffaro, il primo nome sulla black list è quello di un Direttore generale: Alessandro Caltagirone. Guida l’Asp di Siracusa e, come accadde con Colletti dopo la morte sospetta di un 78enne a Villa Sofia, il destino sembra segnato. Per entrambi si tratta, beninteso, di nomine lottizzate dalle segreterie di partito, cui tutti – compresi l’assessore e il presidente – si sono affidati per scegliere i “migliori”. Ora, però, i “migliori” non servono più: diventano i capri espiatori con cui provare a cancellare i fallimenti. È così che vanno le cose in Sicilia e nessuna inchiesta potrà farle cambiare.


