Compagni, abbiamo vinto a New York. Pare che Elly Schlein stia davvero pensando di andarci, a Manhattan. Forse a gennaio, quando Zohran Mamdani, il neo-sindaco trentaquattrenne socialista e sciita, si insedierà nel suo nuovo ufficio tra Broadway e Park Row. La segretaria del Pd lo ha detto ieri ad alcuni amici – anzi, lo ha esclamato – in un accesso d’entusiasmo, quasi ridendo ma non troppo, mentre nel suo partito già scorrevano i post di giubilo e le dichiarazioni ufficiali: “Splen-dida vittoria di Zohran Mamdani! Con un messaggio chiaro contro il caro vita…”.
Una scarica elettrica attraversa il Nazareno, riaccende le speranze e le illusioni e si amplifica nel suono delle rotte aeree per l’Atlantico. “Modello Mamdani”. “Ripartiamo da Mamdani”. Parole che tuttavia fanno riaffiorare il ricordo delle maschere di Alberto Sordi, del “noio” di Totò e Peppino a Milano, del sottoprodotto amatriciano dell’esterofilia: quel pasticcio e prodigio maccheronico-goliardico che diverte e immalinconisce.
Sappiamo infatti che i politici italiani, da sempre, cercano la legittimazione esotica. Avvertono il bisogno urgente, viscerale, di salpare al di là degli oceani, di volare oltre le Alpi, per afferrare all’estero i fili della propria vaga identità. E il Pd, in particolare, ha sempre avuto bisogno di un altrove in cui riconoscersi. È la sua forma di superstizione politica, verrebbe da dire: ogni segretario, arrivato alla guida del partito, ha cercato un modello straniero come altri cercano un talismano.
Il primo fu Walter Veltroni, che nel 2008 volle rifondare la sinistra all’americana. Copiò lo slogan di Obama – “Yes we can”, tradotto con “Si può fare” – e sognò un partito postideologico, sorridente, multietnico, kennediano e senza sezioni. L’America di Veltroni era un film di Frank Capra, in cui il candidato abbracciava i bambini e la politica guariva le persone. Durò lo spazio di una campagna elettorale.
Poi venne Pier Luigi Bersani, che non guardava all’America ma alla Germania. A quel socialismo tedesco di governo, laborioso, contrattuale, da fabbrica. Il suo modello era l’Europa del compromesso e delle mani sporche di grasso. L’unico problema era che nel frattempo l’Italia si sporcava d’altro.


