Pare che Totò Cuffaro avesse confidato ad alcuni fedelissimi il desiderio più recondito: tornare a fare il presidente della Regione. Ma oggi, con l’inchiesta della Procura di Palermo che monta e con una richiesta d’arresto ancora in sospeso, che fine farà la nuova Democrazia Cristiana? Avrà la forza di resistere alle saette scagliate dai pm contro il suo leader e alle intercettazioni in cui si annida un malcostume ancora dilagante? La sensazione è che “no”, non potrà resistere. Perché questa Dc non esiste a prescindere da Cuffaro, ma è il luogo in cui Cuffaro – con epicentro a San Michele di Ganzaria – ha saputo riunire una comunità di adepti cui dare agibilità politica. Non è durata granché.
Nel maggio ’22, quando erano più gli scettici dei fedelissimi, l’ex governatore presentò al Politeama di Palermo la squadra per le Amministrative, che da lì a breve – con il ritorno in Consiglio comunale – gli avrebbe riaperto le strade della politica. Sono passati tre anni e mezzo, e quella scuola di ispirazione centrista e sturziana rischia il naufragio, la dissoluzione. Anche perché, diciamocelo con franchezza, non è mai stato l’eldorado di una classe dirigente colta, impegnata ed efficiente. Né di volti nuovi che siano stati in grado di dare un nuovo imprinting all’azione di governo.
L’ultimo innesto, risalente a qualche mese fa, risulta davvero incomprensibile: Carlo Auteri, infatti, portava con sé l’onta di un processo mediatico per aver fatto recapitare oltre 700 mila euro di contributi regionali a una serie di associazioni rette da familiari. Il bubbone, fatto esplodere da Ismaele La Vardera, ha interessato anche via della Scrofa, quartier generale del partito della Meloni, e ha comportato una serie di reazioni a catena: il commissariamento di Fratelli d’Italia nell’Isola, con l’arrivo di Sbardella; la fuoriuscita di Manlio Messina; e la trasformazione delle regole del gioco, che oggi impediscono all’Assemblea regionale di stanziare fondi pubblici direttamente alle associazioni (ci si arriva per altre vie). Auteri, che avrebbe anche minacciato La Vardera nella buvette di Palazzo dei Normanni, prima si era iscritto al Misto, poi ha ottenuto asilo in questa Dc alla disperata ricerca di consenso (pare che nel Siracusano tiri ancora parecchio).
È stato accolto senza essere additato, ha prestato giuramento sul Codice etico (“che rappresenta per tutti — nessuno escluso — un punto di riferimento vincolante”, disse Cuffaro nel corso delle presentazioni) e oggi siede comodamente tra i banchi democristiani. In questi mesi ha provato a togliersi di dosso la fama dell’appestato, ma con questi chiari di luna – probabilmente – starà già pensando al prossimo lido. Sarebbe potuta diventare sua compagna di partito anche Luisa Lantieri, una vita da girovaga: in passato fece parte dello staff di Cuffaro, è stata anche assessore con Crocetta, poi si legò al Pd e infine scelse di transitare in Forza Italia. Il suo passaggio alla Dc, ventilato da giorni, è stato osteggiato da Schifani (col quale non s’è mai presa). Oggi sarà più dolce restare…
Di Carmelo Pace, capogruppo all’Ars, si legge di tutto e di più. È stato il vero ispiratore della Festa dell’Amicizia di Ribera, ripristinata dopo trent’anni e gran motivo di vanto per i cuffariani. È il coordinatore della scuola di formazione politica che da oltre un anno, sempre a Ribera, ospita l’universo-mondo del pensiero libero (da cui sono passati anche Micciché, Galvagno e Cateno De Luca): ma secondo i magistrati è proprio lui, Pace, il “membro di spicco del sodalizio” che faceva riferimento al segretario nazionale della Dc, “in quanto incaricato del compito di operare anche, ma non solo, nei contesti istituzionali solo a lui accessibili in virtù della carica ricoperta”. Indagato dalla Procura, ha deciso di sospendersi dalla Commissione Antimafia dell’Ars. Un vero galantuomo.
Tutte le peggiori incombenze toccheranno a Ignazio Abbate, ex sindaco di Modica e attuale presidente della Commissione Affari istituzionali, al quale Cuffaro non ha mai concesso di diventare assessore. Abbate, che per la propria comunicazione istituzionale si affida ai soliti pagnottisti del bar della domenica, e che ha un vero culto per la restaurazione delle chiese della sua città (Piazza Pulita, su La7, ha svelato l’enorme quantità di denari destinati all’uopo), non si è mai misurato da leader. Ma si è dimostrato grande collettore di voti. Proviene però da una provincia che da sola non potrà garantirgli la rielezione, specie con un partito azzoppato alle spalle. Le cronache lo descrivono come “frastornato” perché sono troppi i dossier sul tavolo. Probabilmente gli toccherà reinventarsi.
Mentre per i “vecchi” del gruppo, come Andrea Messina e Nuccia Albano, il crollo sarà meno traumatico. I due assessori, che hanno avuto il vento in poppa per tre anni – chi gliel’avrebbe mai detto senza Totò? – sono parlamentari come il catanese Salvo Giuffrida (eletto con De Luca, ma caparbio trasformista) e Serafina Marchetta. Pensate: l’on. Marchetta, eletta nel listino di Schifani per il tramite del marito Decio Terrana (segretario regionale dell’Udc), è anche deputato segretario. Fa parte del Consiglio di presidenza – una benedizione per le tasche – pur avendo ottenuto 25 preferenze (dicasi 25, non c’è errore) nelle urne.
Il resto del partito era già poco riconoscibile. Dal segretario regionale Cirillo, che Cuffaro si era portato in Burundi durante l’opera da missionario; all’avvocato Abbadessa, la moglie del magistrato Massimo Russo, oggi indicata come “copertura” per allontanare da sé l’ombra dei sospetti dei giudici; passando per Francesca Donato, ex europarlamentare. Che fine faranno questi personaggi in cerca d’autore, cui Cuffaro aveva garantito visibilità senza visione?
Ad essere già scappati, invece, sono i leghisti: la partecipazione del sottosegretario Durigon all’ultima Festa dell’Amicizia sembrava aver sancito il patto elettorale col Carroccio. Un’intesa che avrebbe potuto spingere almeno due democristiani (si vociferava del cognato di Cuffaro, l’ex sindaco di Agrigento e assessore musumeciano, Marco Zambuto) verso un posto al sole: Montecitorio o Palazzo Madama. Ma pare che in via Bellerio, dopo lo scandalo di questi giorni, abbiano già rinnegato quell’accordo. “Nessuno l’ha mai fatto”, sostengono. L’ex commissario regionale Stefano Candiani, intercettato da Repubblica, ha messo le mani avanti: “Io sono lombardo”. Salvini se l’è data a gambe. La Dc è di nuovo ai margini, ma senza Cuffaro è soprattutto un guscio vuoto. Senz’anima, privo di consistenza, senza un briciolo di rilevanza. Al centro si è aperta l’ennesima prateria.


