Il presidente Schifani è lì che caracolla: dall’addio di Cuffaro non sa bene di chi fidarsi. L’unico corazziere che gli è rimasto al fianco è Luca Sammartino, dagli altri deve guardarsi con attenzione. Eppure, in questi momenti concitati che per poco non gli hanno tolto il sonno, al governatore arrivano due stampelle: la prima dalla nuova Democrazia Cristiana, che ha garantito lealtà e sostegno nonostante l’esclusione dei due assessori dalla giunta; l’altro dalle opposizioni (non tutte per la verità) che dopo due giorni di ritiro all’abbazia di San Martino delle Scale, hanno partorito la più banale delle proposte: una mozione di sfiducia.

Diseredato il presidente della Regione, ovviamente, verrebbe meno anche il parlamento. Per questo la mozione non avrà mai i voti che servono. Mancano poco meno di due anni al termine della legislatura, e nessuno dei deputati rinuncerebbe a cuor leggero alle indennità restanti e al potere di cui dispone – ad esempio – in tempo di spartizione delle mance. La proposta di Pd, Cinque Stelle e Controcorrente – che comunque verrà presentata con 23 firme e discussa all’Ars – non solo verrà bocciata, ma avrà anche un effetto collaterale (previsto): rafforzare una maggioranza sfilacciata che oggi, nonostante i numeri bulgari, non riesce a mandare in porto neppure una riforma. La mozione sarà il cemento di questa alleanza quasi distrutta e renderà Schifani un obiettivo difficile da scalfire (almeno fino alla scadenza naturale del mandato).

I tre gruppi si sono rivolti a tutti gli altri parlamentari regionali: “Mandiamo un messaggio chiaro: è il momento di mandare a casa il governo Schifani, che ha riportato in vita il cuffarismo come metodo di governo in tutta la macchina regionale, a partire dalla sanità. Siamo a un punto di svolta cruciale: chi sostiene la mozione sceglie di liberare questa terra; chi non la sosterrà, evidentemente, sceglierà di non farlo”.

All’appuntamento benedettino non hanno partecipato quelli di Italia Viva (assenti pure in parlamento): Davide Faraone è un politico navigato e sa bene quali sono le controindicazioni di una mossa del genere. Il renziano sta continuando a spulciare le criticità degli ospedali, portando a galla le difficoltà di una sanità di provincia che continua ad arrancare. L’ultima visita a Taormina. Rimane in disparte anche Cateno De Luca, che qualche giorno fa -in modo più criptico- ha indicato l’ipotesi di voto anticipato come la (sua) preferita. L’assenza dal vertice di San Martino delle Scale, però, si spiega in un altro modo: Scateno ha già scelto di competere insieme al centrodestra e, se proprio dovesse andar male, si ripresenterà da battitore libero. Ha comunque annunciato di votare la mozione “a scanso di equivoci”, pur ritendola “inutile”.

Al ritiro del “campo largo”, tuttavia, non mancavano le contraddizioni: era rappresentato il Pd di Catanzaro (inteso come capogruppo del partito all’Ars), non quello del segretario Barbagallo (che qualche giorno fa era sceso in piazza per “decuffarizzare” la Sicilia). I democratici, nemmeno di fronte a una crisi di governo che investe la sfera giudiziaria, riescono a ricomporsi. Mostrano una totale assenza di visione che certamente finirà per condizionare le prossime alleanze. Poi c’è il Movimento 5 Stelle, che giusto qualche giorno fa ha dato ampia dimostrazione – con la partecipazione del coordinatore regionale Di Paola al bar dei pagnottisti – di non avere chiari i confini tra informazione di lotta e di governo, tra giornalisti e faccendieri, finendo per avallare le peggiori pratiche clientelari che rendono impossibile piegare il “cuffarismo”. Proprio come avviene in Assemblea quando c’è da spartirsi la torta dei contributi…

Come ha spiegato Claudio Fava su Repubblica, “quali titoli morali ha in Sicilia questo centrosinistra per chiedere le dimissioni del governo Schifani? Ha partecipato al banchetto dell’ultima finanziaria spartendosi (con poche, lodevolissime eccezioni) cento milioni di euro per regalie ad amici & devoti (…) ha frequentato per anni assiduamente i cenacoli del consociativismo, ha partecipato alla distribuzione dei posti di sottogoverno senza mai la decenza di indicare, per nome e cognome, i direttori e i dirigenti imposti da certa politica”.

Difficile, adesso, recuperare quella credibilità che non si è mai dimostrato di possedere. Impossibile schierare ai nastri di partenza uomini e donne in grado di favorire e accompagnare il clima di ricambio culturale richiesto (anche se, dicono, “è il momento della responsabilità e della costruzione di un futuro diverso per la nostra regione”). Anche La Vardera, motivato e il più esposto mediaticamente, non casca benissimo. Partire da una mozione che di fatto rafforza la compagine di Schifani e Cuffaro, non è ‘sta gran mossa.

Anche perché Cuffaro è e resta – pur dimettendosi da segretario nazionale – il riferimento certo della Democrazia Cristiana. Un partito dal quale il governatore, in queste ore, ha ricevuto rassicurazioni al buio. Non importa che siano stati licenziati due assessori senza macchia giudiziaria; che siano stati rimossi tre dirigente infedeli appartenenti alla stessa area politica; che altri membri del sottogoverno potrebbero fare la stessa fine. Non importa neppure che i democristiani (oggi orfani anche di Carmelo Pace, indagato dalla procura di Palermo) siano stati esclusi dal prossimo vertice di lunedì mattina sulla Finanziaria. Il partito è al fianco di Schifani, e gliel’ha ribadito di recente durante un incontro dai toni mielosi: sei voti fanno sempre comodo. E allora via, verso nuovi orizzonti.