A tenere in piedi la corrente turistica di Fratelli d’Italia, rimasta acefala con la fuoriuscita dal partito di Manlio Messina, è oggi il presidente Schifani. Un paradosso per chi, fino a poche settimane fa, è stato umiliato dalla scelta dei patrioti di fare a pezzi la manovra-quater vestendo i panni dei “franchi tiratori”; gli stessi che, di fronte agli ordini di scuderia (l’invito a uscire dall’aula dello stesso Schifani), sono rimasti a Sala d’Ercole per dimostrare – con Galvagno al timone – la presenza di una maggioranza alternativa. Sembra passata un’epoca. Anche perché domenica scorsa il presidente della Regione si è presentato al Molo Trapezoidale di Palermo per rendere omaggio ai primi tre anni del governo Meloni e a un’alleanza intramontabile, tanto da fargli dire che “qui mi sento a casa”.

Ma la forma di umiliazione più profonda è arrivata dopo, cioè nel giorno della richiesta di rinvio a giudizio per l’assessora Elvira Amata. Vale a dire la reggente del Turismo in epoca post-Balilla. Elvira può restare, perché l’accusa che la tormenta – corruzione – è diversa, secondo Schifani, da quella che ha pervaso il “partito sistema” di Totò Cuffaro. In fondo la Amata avrebbe chiesto solo un posticino per il nipote in cambio di un contributo da 30 mila euro alla Fondazione Bellisario, di cui era referente Marcella Cannariato (questa è la tesi dei magistrati). Niente che non possa trovare perdono nel cuore gentile di Re Renato. Che, quindi, ha scelto di non scaricarla. Almeno finché le indagini non prenderanno una piega diversa (non è detto che basti il rinvio a giudizio).

La beffa, però, sta nelle ultime dichiarazioni del Balilla. Inventore e maestro di tutti gli assessori al Turismo dopo di lui (a cominciare da Francesco Scarpinato). Da quando Messina si ritiene un battitore libero ha la facoltà di dire ciò che gli pare senza pagare pegno (non pagò pegno nemmeno con gli insulti a Schifani dopo la revoca in autotutela dell’affidamento da 3,7 milioni ad Absolute Blue, figurarsi adesso…). Dopo aver criticato le affermazioni di giubilo per la crescita economica della Sicilia, dopo avergli spiattellato in faccia l’incapacità di spesa dei fondi del Pnrr, e dopo avergli promesso battaglia qualora decidesse di ricandidarsi a Orleans, l’ultimo attacco di Messina è sulla sanità. E in modo particolare sulle modalità di selezione dei manager annunciate dal governatore.

“Con il nuovo metodo annunciato da Schifani per la nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie – ha tuonato Messina – il Presidente prova ancora una volta a mettere una toppa nel tentativo di apparire come moralizzatore. Ma la toppa è peggiore del buco: l’unico vero sistema imparziale – sia per la selezione dei professionisti da inserire nelle liste, sia per le nomine finali – sarebbe l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per la definizione dei requisiti, combinato con il sorteggio. Tutto il resto è un contentino, utile solo a prendere in giro gli elettori”. Bum. Un’altra stoccata micidiale mentre Schifani subodorava le richieste della Procura nei confronti della sua “allieva” e gli sputacchi che sarebbero piovuti dalle opposizioni per la disparità di trattamento coi due assessori di Cuffaro.

E ciò nonostante, non ha battuto ciglio. Ha graziato la Amata, confermando la completa sudditanza nei confronti di un partito che – al netto del commissario Sbardella, sempre speranzoso di “cacciare” Iacolino dalla Pianificazione strategica – lo martella al minimo inciampo. Anche Razza e Musumeci hanno avuto da ridire sulla selezione dei manager, facendo presente che il decreto Lorenzin, già in vigore a livello nazionale, stabilisce che l’accesso agli incarichi avvenga tramite l’iscrizione in un albo, dal quale una commissione seleziona i nomi da proporre al governo. In occasione dell’ultimo round di nomine, però, il procedimento era stato modificato, eliminando la suddivisione dei candidati nelle quattro fasce di merito. “Tornare a una selezione ristretta per ogni postazione è un fatto positivo. Speriamo che stavolta, a differenza della precedente, ci siano anche dei bocciati nella selezione”, ha ironizzato Razza.

Musumeci era stato persino più velenoso sulla “questione morale”: sempre al Molo Trapezoidale, aveva spiegato che la Regione è fondata “sul sistema clientelare e sul consociativismo parlamentare”, e che se qualcuno prova a mettersi di traverso – come è capitato a lui: questa è la tesi – viene isolato. Ai meloniani presenti in platea, aveva suggerito inoltre di stare in guardia da “quelli che stanno accanto a noi”.

FdI continua a tirare la corda nella consapevolezza che Schifani, politicamente disperato, gli concederà ogni cosa. Un atteggiamento quasi rinunciatario, che da un lato vuole ammorbidire le tensioni con Giorgia Meloni (sconcertata dagli ultimi accadimenti siciliani); dall’altro tende a coltivare l’amicizia (molto prolifica) con il presidente del Senato Ignazio La Russa, che non ha ancora cestinato del tutto l’ipotesi di un bis. Dall’uscita di scena di Totò Cuffaro, Schifani diffida della lealtà dei suoi compagni di viaggio. Revocare le deleghe all’assessore Amata finirebbe per mettergli contro un partito intero. Per questo ha scelto di mandare giù anche le umiliazioni più dissacranti, come quella del Balilla. Meglio un insulto oggi, che un passo indietro domani.