La sanità siciliana è sull’orlo del precipizio, e lo sciopero delle strutture accreditate previsto per mercoledì 26 novembre rischia di trasformarsi nel simbolo di un sistema che non riesce più a governare nemmeno la routine. L’incontro convocato venerdì dall’assessora Daniela Faraoni non ha cambiato nulla. Alla riunione si sono presentate solo una decina di sigle, mentre la maggioranza delle organizzazioni di odontoiatri, fisioterapisti, radiologi e laboratori d’analisi ha scelto di non sedersi al tavolo. «Dopo sei Pec di richiesta ci ha convocato all’ultimo momento», dice Salvatore Calvaruso, presidente regionale di Cimest. «Non ci sono i margini per far rientrare la protesta».

Mercoledì, mentre gli studi rimarranno chiusi, partirà una manifestazione in piazza Indipendenza. Due gazebo resteranno fissi davanti a Palazzo d’Orléans e all’assessorato alla Salute finché non arriveranno risposte concrete. Nella comunicazione ufficiale dello sciopero le sigle parlano già di possibili “chiusure ad oltranza” degli ambulatori specialistici. La nota che accompagna la protesta è una condanna totale: “La sanità siciliana non è ostaggio di Roma: è ostaggio dell’incapacità regionale”. Un’accusa che centra il cuore della questione: tariffe ferme da vent’anni, contratti firmati a esercizio scaduto, budget mai definiti nei tempi di legge.

Un corto circuito che assume toni paradossali se si guarda ai numeri: «Avremmo dovuto avere il budget entro il 28 febbraio, invece siamo ancora alle cifre provvisorie», spiega Salvatore Gibiino, segretario nazionale Sbv. «Alla fine avremo lavorato più di quanto la Regione ci rimborserà». E aggiunge il confronto più impietoso: «Un elettrocardiogramma da noi viene pagato 11 euro, nel pubblico 39, che diventano più di 100 euro per smaltire le liste d’attesa. È un sistema che premia chi accumula ritardi». Faraoni parla di “incontro utile”, salvo poi mettere in discussione la rappresentatività delle sigle che non si sono presentate. Il rapporto tra assessorato e strutture accreditate è ormai logoro, e l’impressione è che la Regione non abbia né strumenti né tempistiche per rimettere ordine.

Sul fondo di questa crisi c’è un paesaggio politico e amministrativo che si fa ogni giorno più cupo. L’unica operazione ribattezzata “rivoluzione” da Renato Schifani riguarda il sistema delle nomine dei Direttori generali di Aspe e ospedali: una nuova commissione che propone una terna alla giunta, con uno dei tre membri scelto dallo stesso presidente. Nulla che attenui davvero il peso dei partiti nelle scelte, giacché sarà comunque il governo a esprimere l’ultima parola. Una rivoluzione di facciata, che non modifica la logica della cooptazione e non blocca la tentazione di garantire il manager “amico” incaricato di presidiare concorsi e appalti.

Quella di Schifani vorrebbe essere una contromossa rispetto alla spartizione dei nomi nei retrobottega, che il “cuffarismo” ha appena riportato alla luce (in vita già lo era). Totò Cuffaro ha ammesso davanti ai carabinieri del Ros: «Ho fatto una minchiata», riguardo all’incontro con una candidata al concorso di Villa Sofia, intercettato mentre le consegnava un foglio con gli “argomenti” della prova. «Quattro fesserie sono… però te li devi studiare tutti», spiegava. È un frammento che racconta un metodo ancora diffuso: raccomandazioni, segnalazioni, rapporti confidenziali con i manager. Un sistema che l’inchiesta della Procura di Palermo ha appena scoperchiato, restituendo l’immagine di una sanità come terreno privilegiato della politica clientelare.

E c’è poi l’indagine che lambisce gli uffici del “Di Cristina”, dove il deputato di Forza Italia Gaspare Vitrano e l’ex direttore sanitario Gaetano Buccheri avrebbero fatto pressioni sulla direttrice medica dell’ospedale dei Bambini per convincerla a mettersi in malattia e “salvare la faccia” della politica, e di Schifani, dopo le polemiche su un reparto. «Stai salvando il presidente, non me», le avrebbe detto Buccheri, secondo la ricostruzione della Procura. Un episodio che condensa in modo brutale la distanza tra i problemi reali della sanità e le dinamiche di potere che la attraversano.

Non va meglio sul fronte operativo. L’elisoccorso rischia di fermarsi dal primo gennaio dopo che l’Anac ha demolito le procedure della Regione: violazioni del codice degli appalti, carenza di competenze, consulenze illegittime, proroghe infinite a un singolo operatore. L’assessora Faraoni, che aveva già chiesto chiarimenti alla Pianificazione strategica, adesso invoca verifiche e indagini interne, ma la soluzione sarà quella suggerita dall’Autorità: affidarsi alle centrali uniche di altre Regioni, certificando l’incapacità della Sicilia di gestire autonomamente un servizio vitale.

In questo scenario, la serrata dei convenzionati appare soltanto l’ultimo capitolo di una crisi molto più ampia: nomine congelate (come quella di Alberto Firenze all’ASP di Palermo, per cui ancora manca il decreto di nomina; e di Giuseppe Sgroi, al posto di Iacolino, alla Pianificazione strategica), scandali, pressioni indebite, riforme annunciate e mai attuate (che fine ha fatto la nuova Rete ospedaliera – su cui FdI aveva espresso il proprio malcontento – che doveva passare al vaglio del Ministero?). E un assessore che non sembra reggere il peso delle responsabilità. Un sistema, insomma, che si avvita su se stesso e che sul piano politico continua a scaricare responsabilità senza assumersene alcuna.