In Sicilia le emergenze non arrivano mai da sole: viaggiano in coppia, si alimentano a vicenda e finiscono per mostrare lo stesso, identico vizio d’origine. Oggi acqua e sanità, due crisi solo in apparenza distanti, si sovrappongono: servizi essenziali allo stremo, territori lasciati soli, categorie costrette a scendere in piazza e un governo regionale che arriva sempre dopo, quando il guasto è irreparabile.
La prima crepa è visibile a occhio nudo: la diga Garcia ridotta a una pozza, i comuni del Trapanese in ginocchio, i turni dell’acqua che saltano, le famiglie servite ogni quattro giorni. E soprattutto ritorna un sospetto che circola da settimane: a settembre una parte dell’acqua della diga sarebbe stata dirottata verso gli agrumeti del riberese, in piena stagione irrigua, mentre i sindaci chiedevano di preservare le scorte per uso potabile. Quell’erogazione straordinaria fu autorizzata sulla base di “dati errati” trasmessi dal Consorzio di bonifica della Sicilia occidentale: numeri forniti da Gigi Tomasino, oggi coinvolto nell’inchiesta che tocca Totò Cuffaro, Carmelo Pace e Saverio Romano.
Il punto non è solo lo scandalo giudiziario, ma l’effetto collaterale: una scelta discutibile che oggi lascia i comuni del Trapanese letteralmente all’asciutto. Schifani ha assicurato che «le soluzioni arriveranno, nelle prossime ore e nelle prossime settimane». Ieri è stato il turno di Sammartino: «La Regione ha fatto tutto ciò che era in suo potere per tamponare e risolvere nel più breve tempo possibile la crisi. Stiamo completando le misure d’emergenza ma, allo stesso tempo, siamo impegnati a portare avanti progetti importanti di medio e lungo periodo, per realizzare soluzioni più strutturali sulle reti e sulla distribuzione. Come il collegamento tra la diga Arancio e la diga Garcia, che permetterà di trasferire velocemente risorse idriche tra i due invasi e sarà pronto già nei prossimi 30 giorni». Ma la sensazione è che rincorra l’ennesima emergenza già esplosa. I sindaci denunciano di aver lanciato l’allarme da settembre, quando chiedevano di non sacrificare l’acqua potabile per sostenere l’agricoltura. Nessuno ha ascoltato.
E mentre il Trapanese affronta la sete da razionamento, l’Agrigentino vive una crisi parallela e diversa: qui l’acqua c’è, ma rischia di non arrivare ai rubinetti. Aica, la società pubblica che gestisce il servizio idrico, ha accumulato oltre 20 milioni di euro di debiti con Siciliacque, che aveva già annunciato riduzioni delle forniture. Le condotte sono un colabrodo, le utenze “fantasma” – secondo gli accertamenti – sarebbero 55 mila. Una bomba sociale pronta a esplodere. Per disinnescarla Schifani ha annunciato un emendamento alla finanziaria con un fondo di rotazione da 10 milioni l’anno per due anni, vincolato al pagamento del debito: «I cittadini non pagheranno gli errori degli amministratori», ha promesso il governatore. Ma anche qui si arriva sempre sull’orlo del precipizio.
Se la crisi idrica è devastante, quella della sanità convenzionata (con riflessi sulla sanità pubblica) non è da meno. Ieri, davanti a Palazzo d’Orléans, fischi e tamburi hanno accompagnato un sit-in che ha mostrato tutta la fragilità del sistema “misto” siciliano. Le 1.200 strutture private convenzionate – che assorbono gran parte delle prestazioni che il pubblico non riesce a garantire – denunciano che siamo a fine anno e la Regione non ha ancora definito i budget. Le tariffe riconosciute sono ferme al 2006, congelate da un piano di rientro infinito.
In testa alla protesta c’era Fabrizio Mantia: «Ogni anno eroghiamo tra i 35 e i 40 milioni di euro di prestazioni che non ci vengono riconosciute». Una giungla di decreti e contro-decreti ha paralizzato gli uffici dell’assessorato, e il risultato è sempre lo stesso: le strutture continuano a lavorare ma temono di non essere pagate, come già accaduto in passato. Accanto a loro, 14 sigle sindacali: laboratori, cardiologi, fisioterapisti, odontoiatri. Tutti ostaggio di un sistema che, a metà mese, li costringe a interrompere le prestazioni o a far pagare tutto ai pazienti. A rincarare la dose Davide Faraone (Italia Viva): «È l’ennesimo paradosso di una sanità allo sbando. Chi ha soldi si cura, chi non ne ha resta indietro. Temiamo l’ennesimo bidone: prestazioni erogate e mai liquidate».
Una delegazione della protesta è stata ricevuta, ma non da Schifani né dall’assessora Faraoni (nel frattempo in missione ad Arezzo, sede del Forum Risk Management), bensì dai capi di gabinetto Sammartano e Sgroi (quest’ultimo ambisce alla sostituzione di Iacolino a capo della Pianificazione strategica). L’assessorato promette la definizione del budget 2025 entro dieci giorni, e quello del 2026 entro febbraio. E ancora: tavolo tecnico sui fabbisogni, 15 milioni per l’adeguamento delle tariffe nonostante il provvedimento, inserito nella manovra-bis, sia stato già impugnato dal Consiglio dei Ministri. Ma gli operatori ricordano che in Sicilia gli impegni non sempre diventano fatti. Per uscire dalla crisi servirà molto di più.
Il filo che unisce le due vicende, espressione del martedì nero del governo della Regione, è fin troppo evidente: un governo regionale che galleggia sulle emergenze, non le previene, spesso non le capisce, quasi mai le governa. Nel caso dell’acqua, Schifani scarica su Tomasino (il bersaglio più facile, considerato il coinvolgimento nell’inchiesta della Procura di Palermo e il provvedimento sospensivo a suo carico); in quello della sanità, l’assessora Faraoni si ritrova con uffici paralizzati, norme contraddittorie e una platea di operatori allo stremo. Ma la verità è che la Regione interviene sempre tardi, sempre quando la frittata è fatta, sempre quando il costo sociale esplode.
E così la Sicilia si ritrova con due province quasi a secco e un sistema sanitario in remissione controllata, che di questo passo non potrà mai uscire dal piano di rientro che da 18 anni paralizza la spesa. Due settori diversissimi che però mostrano lo stesso volto: mancanza di programmazione, incapacità amministrativa, catene di comando opache, territori che pagano l’incapacità del centro. E mentre Schifani corre dietro ai problemi, i problemi corrono più veloci di lui.


