Di altrettanto duro e determinato come il recente intervento dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, c’è l’indifferenza dei suoi interlocutori.

C’è l’assordante silenzio di chi guida la città di Palermo e la Regione, l’atonia, l’indifferenza, l’assenza perfino di un formale riscontro. Nessuno di loro – in passato succedeva magari con qualche tratto di ipocrisia – ha dato segno di aver sentito le parole del presule, che dopo dieci anni di permanenza alla guida dell’Arcidiocesi ha richiamato con forza, perfino con veemenza, sicuramente in modo sapienziale “i lupi rapaci” che governano in un clima nel quale “proliferano le connivenze che continuano a distruggere la nostra Isola”.

Nell’ultimo suo libro, Nel segno della speranza, Lorefice ha raccolto l’esperienza maturata a Palermo e in modo profetico, con una forza analoga a quella che fu di Pappalardo, ha denunciato i guasti maggiori di questa terra.

Ha detto che non è più tollerabile “la politica che si distacca dalla gente, dalla vita”, che “si concentra nel potere, che ammazza e allontanandosi dalla realtà diventa antipolitica, preda la città, la disperde”.

Fa riflettere e mette tristezza la noncuranza, forse l’alzata di spalle con cui chi avrebbe dovuto sentirsi chiamato in causa lascia cadere quelle parole, nella convinzione che malgrado l’autorevolezza di colui dal quale provengono, può ignorarle continuando a predare la città e la Regione, chiuso dentro il bozzolo del potere.

Il sindaco e il presidente della Regione – lo dico forse in modo paradossale – conoscono più dell’arcivescovo la realtà nella quale vivono. Sono pertanto consapevoli che il loro potere è inattaccabile, che rimane lontano dalla necessità di conformarsi anche parzialmente al concetto di servizio.

Probabilmente non sanno che la politica, aveva detto un Papa, è la più alta forma di carità. Non hanno tempo per “banalità” di questa natura, impegnati e impigliati nella difficile composizione delle richieste dei partiti che li sostengono, finendo per essere delle monadi inattaccabili e lontane dal resto del mondo.

Lorefice si è rivolto a tutta la realtà palermitana e siciliana, non solo ai cattolici. Ai giovani in particolare, con la volontà di cercarli, incontrarli, ascoltarli e indicando loro di riprendersi il futuro. “Tornate a votare, così aiuteremo la politica a restare politica, ad amministrare la cosa pubblica senza alcun interesse personale e connivenze con la malavita e la mafia”.

Indica un obiettivo alto, il presule. Ma chi è in grado di cogliere le sue parole, di dar senso concreto al suo messaggio? I giovani e non solo loro, in Sicilia e altrove, manifestano sempre più la consapevolezza che la politica è affar loro, di lorsignori, che il voto è un’arma spuntata. E lorsignori sono consapevoli di guidare istituzioni, la Regione in particolare, divenute enormi strutture di sedizione di massa. Assegnano stipendi, contributi, mance. Tengono legati con le risorse pubbliche alcune centinaia di migliaia di siciliani, in larga parte di quel ceto medio che dovrebbe avere la sensibilità e l’attitudine necessarie a ribellarsi a questo stato di cose, non accettando la condizione di sussidiati per aspirare a diventare protagonisti della vita pubblica.

E tuttavia, partecipando ad un grande banchetto, del quale magari raccogliere le briciole, la loro indignazione si spegne sul nascere, diventano partecipi di una condizione che vede del tutto scissa l’etica dalla politica, anestetizzati perfino di fronte alle diffuse, ricorrenti manifestazioni di illegalità.

Al di là di considerazioni morali, troppo spesso ridotte scientemente ad inutile moralismo, perché si dovrebbe evitare di parlare di argomenti di questa natura, quasi appartenessero a tempi tramontati, risultassero, come si dice sprezzantemente, politically correct, astratti e quasi prova della incapacità di capire come va il mondo, guidato oggi più che mai dalla forza e dalla prepotenza, che non lasciano spazio alcuno a valori e principi?

Le indicazioni, la vera e propria invettiva dell’arcivescovo di Palermo, potrebbero rappresentare la spinta, il presupposto di un disegno politico rivolto in particolare al mondo cattolico, a quanti comunque non si riconoscono nella destra di Meloni e di Salvini e non trovano dall’altra parte uno spazio a loro congeniale.

Se Schifani e Lagalla non hanno né tempo né attitudine per ascoltare le parole di Lorefice, meno che mai per leggere i suoi scritti, un qualche interesse dovrebbe venire da coloro che fanno o fingono di fare opposizione e che forse sono ancora più colpevoli dei primi, non avendo le loro giustificazioni, per quanto improprie, non dovendo difendere ruoli di potere, non potendosi sentire sicuri e inattaccabili.

Un Partito democratico, uscendo, se ne è capace, dalla propria modesta dimensione autoreferenziale, dovrebbe cogliere l’invito di Lorefice, assumerlo come precondizione per riattivare un dialogo con i cosiddetti moderati e con i cattolici, che se pure non hanno la forza e la consistenza di un tempo in una realtà laicizzata, tuttavia mantengono il riferimento ai temi della giustizia e della solidarietà e potrebbero essere disponibili ad assumere l’indicazione del “lavoro, vera sfida del Sud, la sanità, la cultura”.

Il Partito democratico dovrebbe tentare di trovare le parole opportune per dialogare con gli esclusi, con quelli che nessuna speranza nutrono, che rimangono oggetto e non soggetto della storia, che popolano le periferie delle nostre città e della nostra terra.

Ci sarebbe da fare una correzione di rotta, aggiungendo alla proclamazione dei diritti, che impronta utilmente la narrazione di Schlein, il richiamo a quel cattolicesimo sociale che fu uno dei presupposti degli aspetti migliori dell’esperienza che per cinquant’anni vide i cattolici protagonisti.

Ma quale Partito democratico è oggi in grado di ascoltare e recepire la sfida dell’arcivescovo di Palermo? È difficile immaginare che esso possa uscire dal letargo, da quella vera e propria guerra del secchio che lo divide in due, rendendolo del tutto ininfluente e marginale nella vita politica isolana.

C’è davvero una prateria al di là della desertificazione e lì bisognerebbe inoltrarsi per risvegliare l’interesse verso l’impegno politico, per dire parole di speranza a chi non nutre più speranza.

Quando mai vi sarà qualcuno che, partendo dalle cose dette da Lorefice, sarà capace di raccogliere e federare i tanti che potrebbero essere interessati ad una proposta credibile, nuova, capace di suscitare interesse e perfino entusiasmo? Un ruolo questo, che non può venire dal mondo dei “lupi rapaci” che ci governano né dalle “anime morte” che fingono di volere essere l’alternativa.

Non è facile che ciò avvenga, ma il vescovo ci dice di non rassegnarci e giusto con la speranza titola la sua pubblicazione.