Alcuni numeri sulla mozione di oggi: 23 sono i parlamentari che l’hanno presentata, 26 quelli che promettono di votarla, 36 i voti che occorrerebbero per mandare a casa Schifani e, un secondo dopo, sciogliere il parlamento. Potremmo fermarci qua per capire che la sfiducia non passerà. E che questo atto poco lungimirante da parte delle opposizioni, pensato nel rifugio dell’Abbazia di San Martino delle Scale, avrà l’esito opposto di quello dichiarato: rafforzerà Schifani, facendo passare il suo sacrificio – fare il presidente della Regione è “una vita tutta in salita” – come un atto di generosità suprema nei confronti di una terra irredimibile, rimasta impigliata negli scandali e nelle perdite di tempo (come quella odierna).
Schifani farà un discorso alto, che in parte ha già anticipato ai cronisti: per esaltare il lavoro di squadra e l’unità del centrodestra, per ribadire che i bilanci sono in ordine, che le agenzie di rating ci adorano, che la Sicilia vive un momento magico, che l’emergenza idrica nel Trapanese si è già risolta, che la questione morale è prevalente (ma non sempre). E per sottintendere che la Democrazia Cristiana, uscita dal portone, è già rientrata dalla finestra: servirà solo mettere a punto una piccola operazione di maquillage per la riammissione dei due assessori in giunta, e il gioco è fatto. “Io a volte mi arrabbio ma non porto rancore, come tutti ho pregi e difetti – ha detto nelle sue anticipazioni – Mi arrabbio quando vedo che qualcosa non funziona ma poi torno a lavorare con i miei collaboratori perché la vita quotidiana del presidente della Regione non è semplice, non è una vita facile, non è una vita in discesa. Su questo mi soffermerò martedì quando parlerò in aula”.
L’ultimo a concedersi all’aula per un dibattito su se stesso e il proprio cammino politico, fu il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno. Ne uscì rinfrancato e addirittura più forte, giacché qualcuno – un deputato autonomista – lo invitò a non fare un passo indietro di fronte alle accuse di corruzione e peculato, bensì due avanti. E in effetti Galvagno, riconquistata la fiducia della “casta”, non si è mai più chiesto se fosse il caso o meno di togliere il disturbo (non è ancora stato rinviato a giudizio).
Un pensiero che non tormenta neppure Schifani, giacché il presidente ha già deciso: non lascia e proverà a raddoppiare. Ma in aula bisognerà dare prova di equilibrismo, essere inclusivo. Si è già è portato avanti parlamentarizzando la crisi. Dopo le dichiarazioni d’intenti nel giorno dell’insediamento, il governatore non ha mai dato prova di tenere in debita riconoscenza le istanze dell’Ars: ad esempio, non si è mai reso disponibile per un confronto sugli sprechi del Turismo, richiesto a gran voce dai Cinque Stelle (sai che imbarazzo con la Amata, indagata, e con tutta la corrente turistica di FdI…); né sui disastri della sanità, come ha testimoniato il caso dell’Asp di Trapani e i ritardi nella refertazione dei campioni istologici.
Eppure, sulla mozione di sfiducia, ha chiesto subito di trovare spazio in un calendario affollato. E’ pronto a incassare. Recitare la parte della vittima. Giusto per qualche ora. Perché sa come andrà. Anche se l’avvicinamento al D-Day è stato comunque segnato da un evento: la riappacificazione con la Democrazia Cristiana di Cuffaro, con l’ingresso di tre pedine fondamentali nel sottogoverno. Una scelta che gli consentirà di dormire sonni tranquilli sia oggi che, probabilmente, in occasione della Finanziaria (sempre che non si palesino altri franchi tiratori).
La mozione tornerà buona a Pd e Cinque Stelle per uscire dall’anonimato, accantonare gli inciuci e dire di averci provato. Dai banchi dell’opposizione partiranno tanti attacchi, per lo più tutti uguali, che finiranno col provocare un buco nell’acqua. Figuratevi se i deputati aspirino davvero a cacciare il governatore e tornare alle proprie dimore con due anni d’anticipo sulla scadenza della legislatura. Per ri-perdere (dato che il “campo largo” in Sicilia non ingrana). Poi c’è Cateno De Luca, che ha già annunciato un “massacro”: parlerà per 45 minuti a nome del suo gruppo. Quarantacinque minuti per spiegare come dall’opposizione è arrivato a un lento e spudorato gradimento per Schifani, e finanche un passo dall’ingresso in giunta; e come dalle porte del paradiso, sia di nuovo precipitato negli abissi. A prestargli i minuti (gliene toccherebbero 25) sarà un generoso Stefano Pellegrino, capogruppo di Forza Italia, a cui non servirà esercitare neppure il solito copione dell’avvocato difensore: per questa messinscena non serve. Così come non servirebbe ascoltare i patrioti di Fratelli d’Italia: dopo aver fatto a pezzi la manovra-quater con l’artifizio del voto segreto, giurarono di non saperne nulla. E passarono all’incasso: via Iacolino.
De Luca, per tornare alle minoranze, ha tentato di creare suspance: “Questa mozione non arriverà oltre i 26 voti – ha pronosticato Scateno -: i 23 dell’opposizione del cosiddetto “conciliabolo di San Martino” più i tre di Sud Chiama Nord. Ma non è il voto in sé l’elemento centrale. Il punto vero è il contenuto degli interventi, perché è da lì che dipenderanno il futuro, la prosecuzione e le modalità di prosecuzione di questa legislatura. Fondamentale sarà anche la replica del Presidente della Regione. Da quello che dirà – e da come lo dirà – si capirà quale sarà la traiettoria politica dei prossimi mesi». E conclude: “Il dibattito di oggi non è solo un passaggio formale: è un bivio politico”.
Le parole di Schifani, forse, serviranno a Sud chiama Nord, che nel frattempo ha ridotto il proprio plotone da 8 a 3 parlamentari, per capire da che parte stare. Ma non serviranno alla Sicilia per risolvere i problemi atavici con cui combatte da decenni. Né basterà questa discussione per esaurire l’urgenza più impellente: mandare in porto la Legge di Stabilità prima che scatti l’esercizio provvisorio. Con Cuffaro, con la Dc, coi patrioti. Con questo squadrone che litiga per ogni cosa e utilizza l’arma del ricatto per tenere in piedi il giochino. E che anche stavolta, nonostante le frizioni a tutte le latitudini, voterà compatto: Schifani o morte? Meglio Schifani.


