Il diavolo, come si sa, è nei dettagli e dunque è presto per un bilancio complessivo. Ma nella notte di Bruxelles, Giorgia Meloni ha incassato un doppio successo: niente uso degli asset russi per sostenere l’Ucraina nella guerra contro la Russia, ma un prestito da 90 miliardi ricorrendo al debito comune. E niente firma dell’accordo con il Mercosur: se ne riparlerà a gennaio, dopo che sarà stata strappata qualche garanzia per gli agricoltori italiani (e francesi).

Il bottino della premier, che con la sua azione spinge l’Europa su posizioni più vicine a Donald Trump, (anche lui vuole mettere le mani su quegli asset) e non acuisce lo scontro già fortissimo con Vladimir Putin, è sorprendente in quanto del tutto inatteso alla vigilia. Della serie: “Nessuno l’ha vista arrivare”.

Da giorni Meloni predicava “prudenza” (assieme a Belgio, Francia, Malta e Bulgaria) sull’uso dei beni russi confiscati e suggeriva (non senza imbarazzi) il ricorso al debito comune con l’emissione di eurobond. E da giorni, la premier italiana andava a sbattere contro i “no” del cancelliere tedesco, Friedrich Merz, e della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, oltre a quello di qualche Paese “frugale”, contrarissimi a fare debito comune anche per non portare voti all’ultradestra. Ma alla fine Giorgia ce l’ha fatta, complice il muro alzato contro l’uso degli asset dal putiniano Viktor Orbán e dal premier belga Bart De Wever. “È prevalso il buonsenso, è stata adottata una soluzione sostenibile dal punto di vista giuridico e finanziario”, ha celebrato Meloni poco prima dell’alba.

Per Giorgia si tratta di un successo, è innegabile, figlio di ambiguità, equilibrismo, capacità di accontentare tutti in cui era maestro Giulio Andreotti. E poi dicono che l’underdog della Garbatella non è democristiana. È andreottissima, almeno in politica estera. E questa attitudine, in Europa, comincia a funzionare come dimostra la notte di Bruxelles.

Meloni aveva affrontato la sera nell’Europa Building scura in volto. La trattativa era tutta incentrata sulle garanzie da dare al Belgio, che ospita la banca Euroclear dove è custodita gran parte dei forzieri moscoviti. A un certo punto Merz e von der Leyen hanno parlato addirittura di “garanzie illimitate”. Troppo, per un Paese ad alto debito come il nostro. Roba da far saltare la finanziaria elettorale per il 2027 che Meloni ha già in tasca. “Sono arrabbiata? No, sto bene. Questa è la mia faccia”, rispondeva irritata Meloni a chi le chiedeva conto dell’umore. E nel frattempo sibilava: “Merz vuole puntare sugli asset perché non vuole fare debito comune. Qui si dicono tutti europeisti, ma poi…”.

Ma poi in soccorso di Meloni è arrivato proprio chi europeista non è. Putin aveva minacciato sfracelli, un’escalation militare e finanziaria, se gli avessero scippato i beni custoditi in Europa? Trump ha messo gli occhi sugli asset moscoviti per arricchirsi quando scatterà la ricostruzione di Kiev? Ebbene, gli alleati più fidati e disciplinati dello Zar e dell’energumeno di Washington sono scesi in campo: Orbán, il premier slovacco Robert Fico e quello della Repubblica ceca Andrej Babis hanno spianato la strada agli eurobond per l’Ucraina. Hanno offerto sponda a Meloni e al francese Emmanuel Macron. E pensare che poche ore prima Orbán aveva scandito un “no” granitico all’emissione di debito comune.

È finita, come si sa, con l’astensione. E con l’esenzione di Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia a partecipare al prestito a favore del “nemico” Volodymyr Zelensky. Il più classico dei compromessi in salsa democristiana. Dove Meloni, tra l’altro, scongiura il pericolo del niet in Parlamento di Matteo Salvini alle garanzie sugli asset e incassa il “salvataggio” delle banche e delle aziende italiane che Putin già minacciava di confiscare per rispondere al “furto di proprietà”. E dove la stabilità e la credibilità dell’euro esce rafforzata. Da annotare che la svolta notturna a Bruxelles va in direzione opposta alla strategia di Trump che punta alla disgregazione dell’Unione. Ed è innegabile che se l’Ue non avesse sganciato la promessa di 90 miliardi a Zelensky, l’Ucraina sarebbe capitolata a giorni: “Senza fondi non potremo difenderci, l’Europa non crolli adesso”, era stato il drammatico appello di Volodymyr.

Insomma Meloni, anche su suggerimento di Sergio Mattarella, almeno per il momento non si è fatta arruolare tra i sabotatori e demolitori dell’Unione, come vorrebbe The Donald. Anzi, di fatto la premier italiana ha avuto un soprassalto di europeismo: di eurobond parla da sempre Mario Draghi, il testimonial di un up-grading politico e istituzionale dell’Ue. Stranezze della storia. Putin festeggia, Trump si frega le mani pensando ai forzieri russi, i sovranisti anti-europei vanno a risultato. L’Europa, a dispetto delle fosche previsioni, non si sbriciola. E Meloni, l’andreottissima, stappa champagne anzitempo.

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