“C’è chi fa i fatti e chi fa solo chiacchiere”. L’esordio di Gaetano Galvagno, sui social, è promettente. Ma poi il massimo inquilino dell’Ars – reduce dal messaggio di fuoco nei confronti dei colleghi, rei di alimentare un “clima d’odio” – improvvisamente tramuta il suo stato d’animo: “Per il terzo anno consecutivo il Parlamento ha approvato la Legge di Stabilità senza ricorrere all’esercizio provvisorio. Si tratta di un risultato storico”. Insomma, aver trascorso cinque giorni all’addiaccio per votare una Legge di Stabilità stravolta – con un taglio netto del 50% delle norme – diventa un successo acclarato. Di tutti, soprattutto il suo. Anche se due notti prima, nel lungo messaggio consegnato ai capigruppo, spiegava di essere stato tagliato fuori: “Questa finanziaria mi è arrivata con 134 articoli (…) Non condivisi minimamente con me”.

In politica ci vuole poco a cambiare idea, mutare registro, inventarsi acrobazie, ma questo di Galvagno è un piccolo record. Al pari della Finanziaria, la terza di fila, approvata nei tempi. Ma il presidente dell’Assemblea è solo uno dei tanti che, all’indomani della rocambolesca gestazione della Legge, se ne sta a fischiettare in giardino. L’altro è Schifani, che per agevolare la votazione dell’Aula, ha dovuto assentarsi nel momento più critico, quello in cui si discutevano le riserve ai comuni e le tabelle. Ebbene sì, anche per il presidente della Regione, la Finanziaria è un esempio di eroismo. Anzi, “un risultato di grande rilievo che conferma la solidità dell’azione di governo e il senso di responsabilità del Parlamento regionale”.

Evviva Schifani, evviva il parlamento. Ma – reiteriamo la domanda – quale Legge di Stabilità ha approvato l’Ars? Dai 134 articoli di partenza, ne sono stati cassati 78. Senza nemmeno discuterli. E umiliando, al contrario, il lavoro della commissione Bilancio e del suo presidente, il patriota Dario Daidone, che i massimi rappresentanti della politica siciliana, nelle ore immediatamente successive, hanno voluto onorare almeno di una citazione. Ma sì, è stata la Finanziaria della coesione, della visione, della concordia. Se non fosse per l’irritazione di Galvagno che a un certo punto s’è scagliato contro l’assessore all’Economia, Alessandro Dagnino, accusandolo di non aver tenuto conto della riscrittura di un articolo precedentemente concordata: “Mi guardi negli occhi assessore… Ho avuto fin troppa pazienza”.

Per “cancellare” il resoconto dei giornalisti e degli stenografi, i due sono corsi ai ripari. Ovviamente col selfie e con la spiegazione di Dagnino, che arriva il 19 dicembre di prima mattina: “Questa foto, scattata alle 23 di ieri nella stanza del presidente dell’Ars, dimostra che il nostro rapporto è solidissimo e non smetterò mai di ringraziare chi, come lui, ha la grande capacità di gestire in modo equilibrato ed efficace una così importante istituzione. E i risultati si vedono”. Quali risultati? La creazione di una maggioranza a trazione Galvagno, di cui fanno parte Mpa, Pd e Movimento 5 Stelle? Perché è questa la contestazione più aspra giunta da Forza Italia: il tentativo di dettare regole e tempi grazie al sostegno delle opposizioni (in cambio di robuste concessioni: sia sulle leggi da stralciare che su quelle da approvare). Solo questo strumento – l’inciucio parlamentare – ha consentito di superare la paralisi.

Ma per i nostri eroi non è successo nulla di che. Non è accaduto nemmeno che all’approvazione finale, con appena 29 voti favorevoli, marcassero visita i quattro deputati autonomisti; o che alcune delle leggi cassate portassero in calce l’etichetta (scomoda) di Luca Sammartino, vicepresidente leghista e assessore all’Agricoltura. Inviso a Fratelli d’Italia, che al termine della manovra-quater dello scorso ottobre (fatta a pezzi anche quella) ne aveva chiesto il “depotenziamento”. Niente. Le ricostruzioni dei giornali sono tutte palesemente false, artefatte. L’esigenza di un rimpasto – che Schifani ha fatto trapelare subito dopo la richiesta giunta da Totò Cardinale – sono anch’esse campate in aria. Ma non è tutto.

È una manovra che non contiene alcuna mancetta o maxiemendamento tali da far immaginare chissà quale inciucio” ha ribadito Galvagno. Nonostante nel messaggino notturno, via Whatsapp, avesse specificato che “qui c’è gente che ha incassato e gente che è rimasta a bocca asciutta e non funziona”. Di mance e norme ordinamentali si tornerà a parlare a gennaio, quando verranno incardinati due, se non tre disegni di legge contenenti le misure che al momento sono state accantonate per evitare l’irruzione dei franchi tiratori. Piccola parentesi: che in due votazioni il conteggio dei voti contrari è lievitato dai 23 dell’opposizione ai 45, risultando il governo schiaffeggiato da una maggioranza bulgara, beh di quello non parla nessuno. Non è utile alla narrazione.

Al termine della legge Finanziaria più convulsa degli ultimi anni, in cui l’unica vision del parlamento era la conservazione della poltrona, ci saranno dei calcoli da fare. O meglio, da rifare: Forza Italia vorrebbe riappropriarsi delle deleghe assessoriali “scippate” dai tecnici; la Dc, in cambio della lealtà dimostrata a piene mani, vorrebbe rientrare in giunta; il Mpa reclama spazio o, tutt’al più un azzeramento dell’esecutivo; Fratelli d’Italia non ha mandato giù le promesse da marinaio del governatore sulla sanità; la Lega attende di riformare i Consorzi di Bonifica.

Eh niente, la Legge di Stabilità è passata come una tempesta: lasciando dietro di sé rami spezzati, equilibri provvisori e una classe dirigente che si autoassolve a colpi di comunicati e selfie. Per loro, però, continua a splendere il sole. Come dimostrano le parole di Schifani: “L’anno prossimo, dopo la parifica dei rendiconti da parte della Corte dei Conti, potremo utilizzare anche i due miliardi di avanzo con cui abbiamo chiuso l’esercizio precedente per investire ulteriormente per fare crescere la nostra regione. Non ci dormo la notte…”.