E allora CasaPound? L’obiezione è così banale che l’hanno fatta e persino scritta in fin troppi, non c’è bisogno di fare i nomi. Non serve a nulla, nella sua ovvietà, se non a questo: è la foglia di fico ideologica per evitare di ammettere che lo sgombero di Askatasuna è sacrosanto. Ma questo è basico, poi c’è un’altra scappatoia dell’ovvietà: è quella di coloro, gente molto ben pensante of course, che non riescono a condannare la cosa in sé, c’è sempre una complessità, una diversità da tutelare che va oltre il semplice e piatto principio di legalità. Molte firme sulla Stampa, voce di Torino – una città “refrattaria ai riflessi d’ordine”, si legge, qualsiasi cosa possa significare – e allo stesso tempo vittima. L’immancabile don Ciotti: “Il tema è delicato, ho scritto appunti per non sbagliare”. Tiene il concetto del famoso “patto” per trasformare Askatasuna in “bene comune”. Ne parla al presente, “è un progetto coraggioso da portare avanti: dobbiamo tutelare le positività condannando la violenza”, noncurante che lo stesso sindaco Stefano Lo Russo ha certificato la revoca e “l’impossibilità di proseguire il patto e la conseguente decadenza”. Parla di “ragazzi arrabbiati” di cui occuparsi “creando progetti insieme”, li definisce “ossigeno per tante persone”. Le violenze al corteo? “Un peccato”, ma nulla più: “Askatasuna era diventato un luogo di aggregazione, dove si svolgevano attività per bambini, progetti di cultura e di

un po’ meno sgangherate di quelle di don Ciotti. Parla delle violenze scatenate “da e attorno ad Askatasuna”: No: non c’è nessuna violenza scatenata “attorno”. C’è stato un legittimo sgombero da parte di chi detiene il legittimo uso della forza: lo stato. Difficile distinguere? Saraceno invece mette come prima vittima la “popolazione del quartiere, in particolare coloro che avevano visto in Askatasuna e nel patto firmato con la città e garantito da un comitato la possibilità di avere uno spazio di incontro e confronto, un luogo gratuito e autogestito in cui svolgere attività di vario tipo”. A parte la banale annotazione che nessun luogo è gratis, c’è semplicemente da ripetere che il “patto col comune”, firmato non si sa con quale lungimiranza dal sindaco nonostante la pg Lucia Musti l’anno giudiziario 2025 avesse definito Torino “capitale dell’eversione” a causa del monopolio da parte del movimento antagonista denominato Askatasuna”, è saltato dopo l’assalto alla Stampa. Ma Saraceno come nulla fosse accaduto vi insiste, “a difesa del diritto degli abitanti del quartiere a usare quel luogo secondo i propri bisogni”. Quello che è strabiliante – o meglio, vorremmo che fosse strabiliante, invece è solo il solito riflesso pavloviano (e mettiamoci anche il Cacciari elogiato da Saraceno) – è l’incapacità di chiamare le cose col loro nome. Continua su ilfoglio.it