Le parole di Renato Schifani – nel corso della conferenza stampa di fine anno coi giornalisti – segnano un passaggio politico netto. Su Cateno De Luca il governatore non lascia spazio ad ambiguità: «È stato un mio avversario e tale rimane», ricordando il voto sulla mozione di sfiducia e l’assenza sulla manovra di stabilità. «Rimarrà un avversario del mio governo come giusto che sia».
Il chiarimento è formale, ma il messaggio politico è sostanziale: Sud chiama Nord resta fuori da ogni ipotesi di dialogo strutturale. O addirittura dall’ipotesi di un ingresso in giunta, come ventilato qualche settimana fa. E De Luca incassa, rilanciando: «Siamo e rimaniamo avversari politici», rivendicando il lavoro svolto dall’opposizione e lasciando intendere che «il meglio deve ancora venire».
Il punto di rottura – stavolta definitivo? – arriva sulla Democrazia Cristiana. «Non ho estromesso due assessori ma un partito», dice Schifani, motivando l’esclusione con «modelli di gestione non consoni» alla sua idea di trasparenza. Tradotto: la Dc è fuori dal perimetro, salvo improbabili rientri tecnici sotto altri simboli. Addio Cuffaro, quindi. Nel parlare di rimpasto, Schifani rivendica l’urgenza: «Devo riempire due caselle… è un atto dovuto». Ma nel farlo certifica un dato politico: la maggioranza si restringe.
I sette deputati della DC, che avevano vincolato la loro lealtà a un segnale d’apertura da parte del governatore, potrebbero finire in un contenitore “a tempo”: da un lato c’è la prospettiva di un’alleanza parlamentare (un intergruppo con vista sul “governo di liberazione”) proposta dallo stesso De Luca; dall’altra – come ventilato dal quotidiano ‘La Sicilia’ – la prospettiva di ripartire sotto il nuovo (sic!) simbolo dell’Udc, che non sarebbe nuovo a queste soluzioni. Zero voti, ma pur sempre con un piede e mezzo nei palazzi del potere.


