Il day after del mini rimpasto alla Regione ci consegna la Lega ai Beni culturali e, almeno nel centrodestra, una apparente serenità. Impossibile fare meglio. Per un attimo si pensava che a far saltare il banco potesse essere il Carroccio, con la sua feroce insistenza nel pretendere la delega all’Agricoltura; un attimo dopo Forza Italia, che, per dargliela, avrebbe voluto azzerare tutto. Ma alla fine ha prevalso il buonsenso e l’ambizione di finire la legislatura (manca metà del percorso) senza lasciarsi dietro troppe scorie.

Eppure, in politica, non tutto è come appare. Il commissario regionale di Forza Italia, Gianfranco Micciché, sostiene da sempre che il suo gruppo, all’Ars, è il più coeso che ci sia. Ma dall’inizio della legislatura, hanno lasciato Forza Italia parecchi elementi: da Marianna Caronia, con che un doppio carpiato è transitata alla Lega, dopo un lungo soggiorno al gruppo Misto; a Rossana Cannata, che dopo le Europee, ha “tradito” gli azzurri con Fratelli d’Italia. Poi c’è anche Totò Lentini, subentrato all’europarlamentare Milazzo, che è rimasto folgorato sulla via della Meloni; per non parlare di Orazio Ragusa che, eletto nelle liste di Forza Italia, è sceso dall’autobus alla fermata di Pontida. Persino Stefano Pellegrino, presidente della Prima commissione, minaccia “conseguenze” qualora perdesse l’incarico (per accontentare il Carroccio). L’unico ad aver fatto il percorso inverso è Mario Caputo, fratello del più celebre Salvino, che qualche mese fa è subentrato a Tony Rizzotto (eletto con la Lega), e ha subito scelto di aderire alla corte di Berlusconi. Dove Miccichè non avrebbe più voluto, da almeno un paio d’anni, Gaetano Armao. Che, però, è un’isola nell’Isola: resta fin quando gli pare, dato che il Cav. è ancora dalla sua parte (e da quella della sua compagna deputata: Giusi Bartolozzi).

Fuori dall’Ars, però, lo sgretolamento del partito più forte e numeroso della coalizione di governo, è notevole: hanno lasciato – in rotta di collisione con Micciché – i catanesi Salvo Pogliese e Basilio Catanoso, ma anche il deputato nazionale Nino Minardo, nuovo enfant prodige della Lega, e Francesco Scoma, che ha appena sposato il progetto renziano e s’è iscritto al gruppo di Italia Viva alla Camera. Ha fatto la stessa fine Nino Germanà, nel Messinese, mentre i malpancisti Renato Schifani e Stefania Prestigiacomo (con cui Micciché ha dichiarato di non sentirsi nemmeno per gli auguri di Natale) intrattengono con rapporti con Roma e assai meno con Palermo. E che dire di Saverio Romano: lui con Miccichè non s’è mai preso. E la sua presenza in lista – da fuoriquota – alle Europee, era solo un favore (ricambiato) a Silvio Berlusconi, che però non è riuscito a trainarlo fino a Strasburgo. Con la base siciliana sono più le saette che i convenevoli.

Anche la Lega, importata in Sicilia dal senatore Candiani, fortemente voluta al governo da Musumeci e dal suo luogotenente, Ruggero Razza, ha i suoi problemi interni. Che la nomina di Alberto Samonà alla guida dei Beni culturali dovrebbe, per il momento, riuscire a mascherare. Dentro il gruppo all’Ars non mancano tuttavia le tensioni, e per un team così giovane non si riduce tutto a “dialettica interna”. Orazio Ragusa, ex di Udc e Forza Italia, sperava di fare l’assessore all’Agricoltura (ma gli resta comunque la presidenza della terza commissione); Antonio Catalfamo dovrà accontentarsi dell’incarico di capogruppo. Marianna Caronia, che ha già cambiato tre volte casacca in questa legislatura, è data in uscita e sempre più vicina agli autonomisti.

Il difficile concepimento del progetto leghista nell’Isola, ha già portato a un addio eccellente: quello di Giovanni Bulla. E, in passato, a screzi che per un motivo o per l’altro sono naufragati nell’irrilevanza: basti ricordare la controversa candidatura alle Europee di Angelo Attaguile, appoggiato dalla famiglia Genovese. Arrivò penultimo nella lista e tanto bastò a Candiani, che guida il partito con rigore, a dimenticare in fretta quel sostegno scomodo. Ma c’è ancora troppo astio, e troppa invidia, all’interno della nuova creatura di Salvini. E non mancano i conflitti fra la nuova e la vecchia guardia, intese soprattutto come generazioni a confronto.  L’indicazione di Matteo Francilia, prima, e Fabio Cantarella, poi, come papabili assessori, avev riaperto ferite profonde che nel giro di qualche ora il ricorso a Samonà ha reso taglietti superficiali.

Mantiene un aspetto cangiante il gruppo dell’Udc. Il ritorno di Bulla non è riuscito a mascherare le divisioni interne. La capogruppo Lo Curto ha votato contro la legge sul rinvio delle elezioni Amministrative, provocando la reazione dei colleghi Danilo Lo Giudice e Margherita La Rocca Ruvolo, entrambi sindaci. Ma l’ala di Lo Giudice, primo cittadino di Santa Teresa di Riva, è direttamente riconducibile a Cateno De Luca, sindaco di Messina, che non avrebbe mai mollato il seggio, nel 2018, se qualcuno non l’avesse dichiarato incompatibile. Scateno, che ha seguito i lavori della Finanziaria da settantunesimo deputato in carica, è più legato a se stesso che non all’Udc. Sulla falsariga di Vincenzo Figuccia, altro politico molto “indipendente”. Non nuovo a prese di distanza importanti. Si è detto schifato per l’atteggiamento tenuto dai gruppi della coalizione di governo – compreso il proprio – nei giorni del rimpasto.

Poi ci sono i Popolari e Autonomisti. Che un gruppo non lo è mai stato. All’interno ce ne sono almeno tre. Il più compatto – guarda un po’ la sorte – è quello che fa capo all’ex Mpa di Raffaele Lombardo, che non a caso esibisce un assessore (Scavone), un capogruppo (Pullara) e un vicepresidente dell’Ars (Di Mauro). Fuori dai palazzi non si sa cosa accade, quanto sia vero e recente il desiderio d’autonomismo. O se la nemesi proposta da Pullara in un’intervista a Live Sicilia – il regionalismo – sia un orizzonte meno sfocato dalla presenza di Don Raffaè. Si vede di più, ma sulla carta sembra conti meno, Saverio Romano. L’ex ministro all’Agricoltura del governo Berlusconi – con il Cav. c’è ancora dell’affetto sincero – è il rappresentante del Cantiere Popolare, ma sta perdendo progressivamente contatto (sono le cronache recenti) da Toto Cordaro, unico esponente in giunta che però si sarebbe convertito a Musumeci. La terza area dei centristi è quella di Roberto Lagalla, assessore e deputato per conto di Idea Sicilia.

Il movimento del governatore non sappiamo che consenso abbia. Diventerà Bellissima non ha partecipato alle ultime elezioni Europee, ma al suo interno esiste più di un’anima: quando, nell’inverno scorso, Razza prospettò l’ipotesi di una federazione con la Lega, in molti si opposero. Qualcuno cerco sponda in Fratelli d’Italia, ma il treno era già passato; qualcun altro chiese di mantenere le distanze, o di riappropriarsi della vecchia amicizia coi berluscones. Nessuna federazione è sorta, e difficilmente sorgerà. C’è però un gruppetto di amici, almeno all’Ars, che vive nell’ombra del colonnello Nello: sono quelli di Ora Sicilia, capeggiati dal figlio di Francantonio Genovese. Quelli – si sussurra nei palazzi della politica – non tradiranno mai (eppure Lantieri e Gennuso, ora sostituito da Daniela Ternullo, votarono contro al primo articolo della Finanziaria. Tutto dimenticato?).

Nell’altra parte dell’emiciclo, per una volta (viva Iddio), si registra l’unità del Partito Democratico. Che è talmente unito da poter rinunciare al congresso. Il nuovo segretario è l’ex assessore al Turismo, Anthony Barbagallo, l’unico rimasto in corsa. Il partito, depurato dalle varie anime renziane (da Faraone in giù), sembra remare dalla stessa parte. L’erosione da destra – per ora – è terminata con gli addii di Luca Sammartino e Giovanni Cafeo. “Il trasferimento del ceto politico da destra a sinistra non è stata un’operazione brillante” ha detto Barbagallo in una recente intervista. Il suo “campo largo” guarda in direzione opposta. Se una qualche alleanza dovrà svilupparsi, coinvolge senz’altro il Movimento 5 Stelle.

Il nodo più grosso riguarda proprio il destino dei grillini “responsabili”. Quelli che hanno scelto, pur fregiandosi del titolo di 5 Stelle, di intraprendere un’opposizione meno intransigente e più aperta al dialogo con tutti, centrodestra compreso. Uno, Sergio Tancredi, è stato espulso dai probiviri per le mancate restituzioni e ha aderito al Misto dopo aver subito alcune imboscate da “colleghi” durante la discussione della Finanziaria; gli altri quattro, dalla vicepresidente dell’Ars Angela Foti alla giovane deputata ennese, Elena Pagana, passando per Palmeri e Mangiacavallo, hanno preso le distanze (ufficialmente) solo domenica: “Inutile nascondersi dietro un dito, sono giorni difficili quelli che sta attraversando il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle in Sicilia. Giorni difficili che hanno portato i nodi al pettine di un gruppo che non è più tale. Quando vengono meno i principi del dialogo, della solidarietà tra colleghi e del rispetto, valori che ci hanno guidato nel corso di otto lunghi anni, viene meno non solo lo spirito di un gruppo, ma anche il desiderio di farne parte, la voglia e i progetti per i quali si sta insieme”. Probabilmente saranno espulsi anche loro. Il capogruppo del Pd, Giuseppe Lupo, li ha invitati a non diventare la stampella del governo.

La presa d’atto del Movimento – crisi d’identità o rinsavimento tardivo, non sta a noi giudicarlo – apre interessanti scenari per l’ultima porzione di legislatura. L’atteggiamento di responsabilità, continuamente sottolineato dai Nello’s boys, potrebbe donare a Musumeci una boccata d’ossigeno e qualche cartuccia in più nella corsa alle prossime Regionali. Una sponda inattesa che altri, Fratelli d’Italia e Forza Italia in primis, non hanno alcuna intenzione di garantirgli a priori.