Proroga dei manager delle aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche siciliane fino al 31 gennaio 2024. Lo ha deciso il governo Schifani, su proposta dell’assessore alla Salute, Giovanna Volo, per garantire la continuità gestionale e funzionale degli enti sino al completamento della procedura di selezione dei nuovi direttori sanitari e amministrativi. La proroga – si legge nella nota di Palazzo d’Orleans – potrà avere una durata inferiore nel caso in cui le procedure di nomina vengano completate prima della scadenza. La proposta è stata sottoposta alla giunta anche a seguito di un parere dell’Avvocatura distrettuale di Palermo, in risposta a una richiesta di chiarimento da parte dell’assessorato, in merito alla possibilità di incarichi da direttore ai soggetti in quiescenza.

La decisione è presa, anche se a Schifani rimane un problema: come dirlo? Il presidente della Regione dovrà giustificare un clamoroso passo indietro – rispetto alle dichiarazioni d’intenti dell’11 ottobre scorso – o semplicemente ammettere che le nomine dei manager della sanità erano nient’altro che una farsa. Non è bastato discuterne nel “retrobottega di Cuffaro”, come ha temuto a un certo punto un pezzo di Forza Italia, né tentare di trascinare la discussione su tavoli meno ristretti, ad esempio un vertice di coalizione (che non è neppure cominciato a causa delle reciproche diffidenze). La politica siciliana, ancora una volta, annulla se stessa. Annienta la propria capacità di farsi portavoce del cambiamento, di accelerare le pratiche per consentire al sistema sanità – ormai deteriorato – di uscirne migliore.

I nuovi direttori generali non verranno nominati prima del 31 gennaio, ma l’orientamento era chiaro già da qualche giorno: in attesa di un accordo sui nomi – su cui non si è neppure arrivati alla prima fase dei negoziati – si è preferito adottare la scusa più attendibile, suggerita a mezzo stampa dal presidente dell’Assemblea regionale, Gaetano Galvagno: quella secondo cui era meglio attendere l’aggiornamento degli elenchi dei direttori sanitari e amministrativi (si attendono ancora i colloqui dei candidati) per poi consentire ai nuovi Dg di completare la governance delle singole aziende, attraverso scelte mirate e puntuali. Non sarebbero mancate le exit strategy: ad esempio nominare nuovi commissari, che in un secondo tempo sarebbero stati promossi direttori. Ma il governo ha detto no: mancava l’accordo sulla spartizione.

L’ultimo partito a esprimersi per un rinvio è stato Fratelli d’Italia, che non più tardi di qualche settimana fa premeva per chiudere la partita. Anche per il governatore, però, sarà difficile auto-scagionarsi a seguito della schizofrenia che di fatto conferma lo stato di paralisi in cui versa la Sicilia. Nella nota rilasciata da Palazzo d’Orleans lo scorso 11 ottobre, infatti, l’epilogo sembrava alle porte: “Il governo procederà alla nomina dei manager delle aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche siciliane entro la scadenza degli attuali mandati – si leggeva -. La precedente proroga degli incarichi si era resa necessaria perché la Commissione regionale per la selezione dei candidati idonei alla nomina a manager non aveva ancora concluso la procedura valutativa. Questo lavoro è stato portato a termine e il governo regionale rispetterà i tempi per procedere alle nomine dei direttori generali”.

In effetti non si tratta della prima proroga, ma della seconda. Anche la precedente ha avuto come effetto uno slittamento di quattro mesi, che adesso diventano otto. La sanità è commissariata, anche se l’unico tema scottante riguarda i nomi, il riposizionamento politico, la guerra sotterranea fra partiti, il mero calcolo elettorale. Definire la geografia di Asp e aziende ospedaliere, in questo caso, è l’avamposto delle prossime competizioni elettorali, Europee in primis. Significa dover garantire a Lega ed Mpa una rappresentanza pari al valore della neo federazione (il 13,5%), significa non tirare troppo la corda con Cuffaro, ma anche assecondare le prerogative dei patrioti, che vogliono sette caselle e non si accontentano più di sei (perché FI ha avuto troppe concessioni in assessorato). In questa fase, peraltro, si dovrà operare senza contrappesi: il voto nelle province è slittato sine die, non c’è abbastanza merce di scambio per allestire una trattativa su più tavoli. Quindi ogni decisione va assunta in maniera ponderata.

Servirà una condivisione di fondo anche sul metodo, ossia sugli ‘eleggibili’ al ruolo di direttore generale. Schifani, dopo aver ignorato il decreto del 4 agosto che presentava due rose di nomi, gli “idonei” e i “maggiormente idonei”, aveva scelto di restringere il campo a questi ultimi. Ma solo dopo aver illuso Raffaele Lombardo e gli Autonomisti, con un preciso decreto, che di elenco ne esisteva soltanto uno. Composto da 87 profili, e non soltanto da 49. Il presidente della Regione ha cambiato idea mille volte, trascinando nel pantano tutti gli altri. Paralizzando il parlamento, che si ritrova interdetto di fronte a un’azione di governo così sterile (“What’s riforme?”); e persino gli assessori, che non riescono a suggerire una sola iniziativa senza andare a sbattere sul muro (come è successo a Scarpinato con l’aumento dei ticket d’ingresso a parchi e musei).

Tutti ad aspettare le nomine cadute dal cielo. Che non ci saranno. Persino al Comune di Palermo, nonostante i deliri della Rap, il rischio di soffocare nella monnezza e l’esigenza di dare nuovo fosforo all’azione del sindaco Lagalla (dopo l’approvazione dei documenti contabili), tutto si è bloccato in nome e per conto di alcune decisioni politiche che non tornano. Ispirate dal solito Schifani – presidente che vai stallo che trovi – il quale vorrebbe piazzare in giunta un’altra pedina della sua scuderia: cioè il fidatissimo Pietro Alongi (già bocciato alle Regionali). Da qui la rottura con il primo cittadino, fino alla minaccia di salire sull’Aventino e garantire a stento l’appoggio esterno; e con Fratelli d’Italia, che invece punta a confermare il quadro attuale.

Ecco, di fronte a questa scena disarmante, Schifani dovrà spiegare l’ennesimo passo indietro. Come? Non è previsto che il governatore metta in discussione la tenuta della sua maggioranza – falcidiata da rancori e tensioni (vedere i rapporti fra Cuffaro e Lombardo) – ma a questo punto non gli rimane nemmeno l’alibi di “certa stampa”, che nei giorni scorsi ha raccontato con dovizia di dettagli il patetico teatrino delle nomine. A quanto pare, senza inventarsi nulla. Il presidente dovrà trovare parole nuove e giustificazioni credibili per poter dire che questa sanità, in fondo, non è meritevole di alcuna governance perché funziona a vele spiegate; perché i pronto soccorso non s’intasano; perché le liste d’attesa sono state smaltite correttamente; perché i medici vengono reclutati con la pala e non vedono l’ora di prendere servizio negli ospedali di periferia (dove si è arrivati a credere che di certi reparti si possa fare addirittura a meno). Macché problema c’è a rinviare di qualche mese… Tanto il prossimo tormentone c’è già: la Finanziaria.