Proprio Quaresima, questa Quaresima da rintanati tutti in casa.

Il Papa esce e si fa piedi la strada tra due chiese. Ma di Quaresima non ne parla nessuno, perfino il Vaticano  – a momenti – non ne fa menzione. Ma è tutto un precetto. L’isolamento vale quanto l’astinenza e la catastrofe sociale corrisponde al digiuno.

Con le avvisaglie dell’epidemia che si conclamano con le Ceneri, il 26 febbraio scorso, c’è da sperare che nei 40 giorni di penitenza, il 9 aprile, si concluda. E però, nel dibattito pubblico – e financo nella chiacchiera di tutti – la viva carne cristiana d’Italia è afona, e orba di parola. E tutto ciò turba quando giammai la chiesa del silenzio, come al tempo della persecuzione sovietica, ebbe a ridursi a così prona obbedienza, come oggi, verso l’andazzo.

Una Quaresima, quaranta giorni, nell’apnea di una clessidra raggelante.

Se c’è un’assenza nella sfera sociale – quando forte è l’urgenza – questa è quella del Sacro, espunto dalla sfera sociale.

Tanto bravi in politica, i preti, quanto tiepidi nel dovere loro se l’atto di affidamento officiato martedì 10 marzo da don Andrea Vena – caricare la Madonna sul cassone di un moto Ape e portarla per le vie, supplicandone la protezione – nella percezione generalizzata suoni come una stravaganza.

Bibione si trova in Veneto, nel profondo Nord, l’azione di “disturbo” del sacerdote sembra arrivare, e non è un’offesa, dal Sud tarantolato di Ernesto De Martino, l’autore de La Terra del Rimorso. Il luogo dell’incantamento sacrissimo dove ci sono i Filippo, gli Antonio, i Padre Pio e le Vergini Martiri: tutto un affollarsi di santità chiamato a proteggere i devoti dalle pestilenze, dalle carestie e da ogni flagello.

Don Andrea stesso, fermato dai Carabinieri, all’altolà della forza pubblica risponde con fermezza: “Sto solo facendo il mio dovere”. Un ribelle, nientemeno, don Andrea. Un servitore di Dio in rivolta contro lo spirito del tempo per il quale altro contenuto di verità non c’è che la rinuncia del Cielo, l’annichilirsi dell’umano nella somministrazione dei regolamenti civici o, peggio, nei moniti etici.

Anche il parroco di Brescello, nella Bassa emiliana, espone fuori dalla chiesa il Crocefisso. È quello usato nelle riprese cinematografiche del Don Camillo di Fernandel e Gino Cervi, fatto benedire e poi donato dalla produzione alla parrocchia di Santa Maria Nascente.

Il sacerdote di Brescello, in cerca di Grazia e non di pedagogia – nel segno del meraviglioso prete creato da Giovannino Guareschi – così invoca: “Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza, faccia cessare l’epidemia su Brescello, l’Italia e il mondo intero!”.

Un’altra eccentricità – una pittoresca eccezione, questa di Brescello – agli occhi dei “cattolici adulti” ma quel che permane, anche a dispetto della congrega clericale, è il segreto rumore del cuore, nell’approssimarsi della Settimana Santa di Passione.

Lo sa bene il nostro Fabrizio D’Esposito che, da par suo, qui sul Fatto Quotidiano racconta l’epica delle confraternite nel Sud dei Santi. È il tempo di quando si sveglia negli uomini il ricordo del Dio trafitto, squarciato e inghiottito dai suoi stessi fedeli. Un grumo di luce appallottolato nel sangue – giusto un lacerto, un boccone – affinché diventi nutrimento eucaristico.

Ogni rimando remoto – nel tempo, con Dioniso, e nella distanza che porta a Kerbala, con il sacrificio di Husseyn – conferma la comunanza sacrissima nel patire, in ogni modo ovunque e per sempre “unto”, il pathos, dappertutto consacrato nell’accettazione di sé, disobbediente sempre verso l’andazzo.