E’ il risultato di anni e anni di lavoro il Premio Internazionale Gramsci per il Teatro in carcere, giunto alla sua sesta edizione, e assegnato a Claudio Collovà, attore e regista palermitano, artigiano che insegna imparando. Istituito nel 2016 dalla Rivista europea Catarsi, Teatri delle diversità, fondata all’Università di Urbino nel 1996 da Vito Minoia ed Emilio Pozzi, il riconoscimento ha voluto premiare una “rara, preziosa figura di artista, di intellettuale, – cita la motivazione – regista di vasta cultura e dalla raffinata, originale poetica sempre contemporanea”.

Ma facciamo qualche passo indietro. L’avvicinamento di Collovà a mondi inediti è iniziato un po’ per caso. Era il 1997, e l’autore era impegnato nella preparazione di Miraggi Corsari, uno spettacolo dedicato a Pier Paolo Pasolini, ispirato ai suoi film Edipo Re e Il Vangelo Secondo Matteo, e dove, si sa, non tutti i volti erano quelli di professionisti.

“Nel mio progetto – spiega – desideravo coinvolgere qualcuno proveniente dai quartieri ai margini della città, e il sindaco di allora, Leoluca Orlando, mi suggerì l’idea di lavorare con i ragazzi del carcere, favorendomi anche nell’incontro con il Direttore del penitenziario. È stata proprio una ricerca artistica e, prima di loro, non avevo mai pensato a una cosa simile”.

Così 10 giovani detenuti approdarono ai Cantieri culturali della Zisa di Palermo, dove per mesi lavorarono con 10 attori professionisti. Lo spettacolo fu un successo, e negli anni la voglia di replicare l’esperienza si è fatta più intensa, e concretamente presente in altri lavori di Collovà, ospitati in rassegne dell’Ente Teatrale Italiano e anche riconosciuti dal Ministero di Giustizia (come Eredi, La caduta degli angeli, Eroi, Quel che resta del mio regno).

“In Italia in quasi ogni istituto penale minorile c’è un regista che lavora con i reclusi. Loro ti riconoscono, come avviene nella vita, e alla fine ti stupisci del rigore e della loro grande presenza scenica. Ho sempre cercato di portarli fuori dal carcere, perché è nei luoghi dove si fa il teatro che si crea una comunità di lavoro dove tutti insieme si lotta per lo stesso obiettivo”, spiega l’autore, classe 1957, che nel tempo colleziona sempre più consensi nel suo percorso di regista e prende parte a vari convegni incentrati su Teatro e Carcere, alla presenza di numerosi artisti. Ne segue la formazione di una rete importante, che comincia anche a pubblicare riviste e a divulgare questi lavori.

Non ultimo l’acclamato Il Piccolo Amleto, un’indagine dedicata all’amore, all’abbandono, al tradimento, molto apprezzato dalla critica. Qui Collovà rielabora l’opera di William Shakespeare, rispettando il suggerimento dei ragazzi che non avrebbero obbedito volentieri agli ordini di un padre (morto), e non avrebbero accettato di cambiare vita su consiglio di un adulto. “Uno spunto interessante, se si pensa che spesso i minori finiscono nei guai proprio a causa degli adulti – sottolinea –. Loro difficilmente recitano, in scena sono esattamente quello che sono, e le parole dette sono veramente parole che gli appartengono”.

Se è vero che in prigione si crede a ciò che si spera, su un palco si crede a ciò che si dice, in connessione con la propria esistenza, ed è di fronte a queste difficili esistenze che Claudio si pone con totale apertura, come un pittore di fronte a una tela bianca che impara a vedere colore dopo colore.

Il Premio Gramsci, non a caso intitolato al celebre pensatore, è organizzato in collaborazione con l’Associazione Casa Natale Gramsci di Ales, l’Associazione Nazionale Critici di Teatro, e l’International Network Theatre in Prison – organismo partner dell’International Theatre Institute dell’Unesco. Si tratta di un riconoscimento che per Claudio Collovà, tanto figlio della sua terra quanto del mondo, non arriva dal nulla e fa da eco al progetto Palermo Oltre le Mura, la scena del riscatto, una casa/bottega dove apprendere tutti i mestieri legati alla produzione di uno spettacolo teatrale, un punto di riferimento per la città di Palermo, ma anche per realtà analoghe che operano nel resto d’Italia e d’Europa; un luogo dove si impara facendo, dove promuovere un lavoro artigianale che vada di pari passo con un percorso di rieducazione.

“Il progetto – conclude il regista – ha visto lo stanziamento di fondi, il coinvolgimento della magistratura, l’appoggio del Direttore dei Servizi Minorili in Italia, ma manca la passione, la serietà. Ad oggi nulla è andato in porto e tutto è rimasto sulla carta, in attesa di tempi più concreti”.

Il Teatro in carcere non gode di una solida visibilità, e nonostante vari incontri, l’interesse di studiosi e un promettente entusiasmo, anche Palermo oltre le mura sembra destinato a restare avvolto nella nebbia. Si dice che il peccato è cercare la cosa giusta nel posto sbagliato, eppure questa città sarebbe il luogo ideale per un progetto così ambizioso, il giusto seme per un meritato riscatto.