Dal deficit al surplus. Renato Schifani si presenta davanti ai cronisti e snocciola cifre mai viste: «La Regione Siciliana ha azzerato il disavanzo e registra per la prima volta un avanzo di amministrazione di 2,15 miliardi». Una svolta epocale, garantisce il presidente. «Voglio essere chiaro: sono risorse che destineremo prioritariamente a investimenti», ha ribadito. Sembra una “Svizzera” a due passi dal Mediterraneo. Peccato che, fuori da Palazzo d’Orléans, la Sicilia resti sempre la stessa.

E’ stato Davide Faraone a ribadire che quello del governatoro è un canto del cigno e che “il cosiddetto avanzo non è denaro fresco in cassa ma un saldo contabile costruito su fondi vincolati (Pnrr, Fsc, sanità, infrastrutture) e accantonamenti liberati. Risorse già destinate, che non si possono spendere liberamente per strade, scuole o ospedali. È il paradosso siciliano: i conti migliorano perché la Regione non riesce a spendere i fondi europei, e così il saldo appare più sano mentre i cittadini restano senza servizi”. A stretto giro la replica dell’assessore all’Economia Dagnino: “Con l’approvazione del Rendiconto 2024 e l’accertamento dell’avanzo da 2,15 miliardi abbiamo eliminato il disavanzo non solo nella forma, ma anche nella sostanza. La cassa della Regione vale quasi 11 miliardi e l’amministrazione negli ultimi due anni ha incassato maggiori entrate tributarie effettive di oltre 4 miliardi di euro, grazie alla crescita del Pil sostenuta dalle politiche del governo Schifani. Sono fatti incontrastabili”.

È la sindrome dell’annuncite: titoli a effetto, conferenze stampa, comunicati trionfalistici. Eppure la realtà, quella dei cittadini, non coincide con i numeri dei comunicati. Lo ricordano con una certa veemenza le opposizioni, che in queste ore sono tornate alla ribalta per denunciare lo sconquasso della rete ospedaliera ma non solo. La deputata del M5S Stefania Campo ha puntato il dito sul cosiddetto “reddito di povertà”: trenta milioni stanziati, centomila domande, solo undicimila accolte, per un contributo medio di 227 euro al mese. «Una cifra che equivale a meno della metà del costo di una notte trascorsa in albergo dal presidente», ha ironizzato la parlamentare, ricordando le spese “da nababbo” a carico delle casse pubbliche: televisori da settemila euro, biglietti da visita da 2.300 euro, cinquantamila euro per le divise del personale. «E mentre il cerimoniale di Palazzo d’Orléans passa in un anno da 28 a 124 unità – ha aggiunto – i siciliani si arrangiano scegliendo se pagare le bollette o curarsi».

Lo stesso vale per la legge sugli aiuti ai pignorati della prima casa, sbandierata nel 2022 e rimasta lettera morta: il regolamento non è mai arrivato, i fondi sono tornati al mittente. «Un’altra promessa tradita – ha detto Campo – che dimostra come questo governo sia abile solo a occupare poltrone e a lottizzare il lottizzabile». Schifani ha provato a metterci una pezza annunciando un rifinanziamento da dieci milioni del “contributo di solidarietà” per le famiglie in difficoltà, con un emendamento firmato in prima persona. Le risorse si vanno ad aggiungere ai 30 milioni di euro già previsti dal governo con la legge 28 del 2024 e a un altro milione aggiunto successivamente. Il nuovo finanziamento dovrebbe consentire di fare scorrere la graduatoria per oltre tremila domande. Ma resta la sensazione di un provvedimento una tantum, destinato a non incidere davvero.

Dal canto suo il capogruppo del Pd Michele Catanzaro ha stroncato il Documento di economia e finanza regionale: «Leggendo le note introduttive sembra di vivere in Svizzera. Poi guardi i dati reali e capisci che siamo in Sicilia». Pil e occupazione crescono, sì, ma per effetto di misure nazionali ed europee – Pnrr, Superbonus – non certo grazie a politiche regionali. L’agricoltura è in crisi, l’occupazione giovanile in calo, le esportazioni pure. «E soprattutto – ha aggiunto Catanzaro – un milione e 790 mila siciliani non hanno le risorse per una vita dignitosa».

C’è poi il capitolo sanità: nonostante i salti di gioia per l’approvazione in commissione Salute della nuova rete ospedaliera (attesa al vaglio di Roma), emerge il giudizio impietoso di Agenas. Secondo cui la Sicilia è quintultima per le Case della Comunità (9 attive su 161 programmate), in fondo alla classifica per gli Ospedali di Comunità (4 su 48), fragile sull’assistenza domiciliare e disastrosa sulle cure palliative domiciliari, ferme al 27% dei distretti. Nel frattempo, i pronto soccorso restano intasati: 1,6 milioni di accessi nel 2024, un terzo dei quali inappropriati. Sempre in tema di promesse mai rispettate, ci sono i 15 milioni inseriti nel collegato alla Finanziaria per i laboratori analisi allo scopo di compensare le perdite provocate dal nuovo Nomenclatore (prima della recente impugnativa del Tar): ebbene sì, la norma è stata impugnata dal governo nazionale e finirà davanti alla Corte costituzionale. Anche qui, annunci e zero risultati.

Nemmeno l’agricoltura lascia intravedere spiragli. Il neo-assessore Luca Sammartino, appena rientrato in giunta, rilancia la riforma dei Consorzi di bonifica, già affondata in Aula al primo colpo di voto segreto. Un déjà-vu. Da Bruxelles, intanto, l’eurodeputato Raffaele Stancanelli mette in guardia sulla nuova Pac: niente più pagamenti diretti, meno incentivi ai giovani, rischio concreto di desertificazione produttiva. «Saremo costretti a importare dall’estero», ha detto.

E mentre il governo celebra i “conti in ordine”, il sistema continua a collassare nei settori più sensibili. Lo dimostra l’episodio grottesco della formazione: due click day consecutivi andati in fumo, con la piattaforma di Sicilia Digitale in tilt e oltre trecento enti paralizzati. Doveva essere “la volta buona” per l’Avviso 7, invece si è trasformata nell’ennesimo crash, tra rinvii, istanze azzerate, proteste di associazioni e sindacati, rischio concreto di perdere i fondi europei.

Sul fronte sociale, poi, la realtà è ben lontana dalla retorica. Schifani e Meloni rivendicano la fine del Reddito di cittadinanza, ma i numeri dicono altro. In Sicilia l’80% di chi lo percepiva continua a ricevere un sussidio: l’Assegno di inclusione per i non occupabili o il Supporto per la formazione e il lavoro per chi è considerato occupabile. L’Adi ha già raggiunto 464 mila persone, quasi la stessa platea del vecchio Reddito, con importi persino più alti. Il Supporto per la Formazione e il Lavoro, invece, funziona a macchia di leopardo: pochi corsi, poche mensilità erogate, nessuna traccia di veri contratti di lavoro. Insomma, l’assistenzialismo che il centrodestra prometteva di superare continua a vivere sotto altre sigle.

E allora il cerchio si chiude. Da una parte i numeri da vetrina: disavanzo azzerato, avanzo miliardario, conti in ordine. Dall’altra la Sicilia reale: povera, malata, senza prospettive. Schifani può intestarsi un “risultato storico”, può parlare di rigore e concretezza, può firmare emendamenti last minute per qualche milione in più. Ma i cittadini continuano a non vedere cambiamenti. Solo fumo negli occhi.