Da “struttura intermedia del dipartimento regionale al Bilancio e del tesoro”, “con una dotazione personale di soli undici dipendenti”, dalla “ridotta operatività” e “maggiori costi di approvvigionamento rispetto a quelli di altre Regioni”, la Centrale Unica di committenza della Regione siciliana (CUCRS) ha ottenuto, a metà dicembre, un upgrade: è stata promossa, infatti, a “ufficio speciale”. Equiparato a un vero e proprio dipartimento. Lo ha deciso una delibera dell’assessorato all’Economia. Che cancella, con un colpo di spugna, tutte le criticità della Cuc, che avevano convinto la Regione, d’accordo coi due assessorati (Economia e Salute) a formulare un atto d’indirizzo che prevedeva, per gli ospedali e le aziende ospedaliere interessati, la possibilità di sottoscrivere delle convenzioni con altre Cuc regionali – si citò il caso della Lombardia – per la gestione degli appalti riguardanti la fornitura di beni e servizi.

La Centrale unica di committenza siciliana sembrava “cotta”, a un passo dal flop, non in grado di garantire prestazioni efficaci ed efficienti. E soprattutto incapace di contenere la spesa. Ma oggi la prospettiva, come per magia, è diventata rosea. E lo si legge nelle premesse della delibera n.456, in cui il ragioniere generale fa sapere che il “Ministero dell’Economia e delle Finanze, a titolo premiale per le attività svolte, ha destinato alla Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana, CUCRS, parte dei fondi destinati ai soggetti aggregatori per gli anni 2016/2017, per un ammontare complessivo rispettivamente di euro 523.810,00 e 393.115,16, e collocato la Regione Siciliana al terzo posto nell’ambito della classifica dei soggetti aggregatori per maggior numero di gare espletate”. Non solo non andava male, ma è stata persino premiata. Un passaggio che, evidentemente, smentisce i detrattori e la stessa politica.

La Cuc, nel giro di pochi mesi, da struttura inutile è diventata un ente virtuoso. Una giravolta che l’assessore Gaetano Armao non ha spiegato, ma ha particolarmente apprezzato. Tanto da sposare in toto le motivazioni del ragioniere Giovanni Bologna, il quale, “rilevata la necessità di dare impulso e celerità al completamento delle procedure di gara”, ha chiesto “l’istituzione dell’Ufficio speciale per la centralizzazione degli acquisti (forniture di beni e servizi) per la durata di anni tre”. Continuerà a dipendere dall’assessorato all’Economia. Non sarà più un semplice “servizio”, bensì un dipartimento a tutti gli effetti.

Tra i compiti della nuova Cuc, “nelle more dell’istituzione di un apposito Dipartimento regionale da destinare alle attività della CUCRS o della trasformazione della stessa Centrale in società in house a partecipazione regionale”, rientrano: l’istituzione di una “cabina di regia”, con il coordinamento dell’assessorato alla Salute, per definire e recepire le procedure per l’affidamento della fornitura di farmaci e vaccini; il monitoraggio dell’acquisto di beni e servizi della Regione siciliana (seguendo il principio del contenimento della spesa pubblica); e la stipula di apposite convenzioni con le aziende sanitarie/ospedaliere per la fruizione di personale specializzato in grado di redigere atti di gara, ma anche con enti pubblici “esterni”, allo scopo di “supportare gli stessi nella gestione delle attività propedeutiche e definitorie” delle procedure. Tutte mansioni che prima la Cuc non riusciva a portare avanti.

Era stato Armao, quando venne sollevato il polverone degli appalti della Sanità “ceduti” alla Lombardia, ad annunciare una riorganizzazione delle Centrale Unica di committenza grazie a un accordo con la Consip (che in questa delibera non è mai citata). La soluzione prospettata a settembre 2019, che prevedeva la possibilità di cedere la paternità degli appalti a regioni amiche, si calava in un momento storico e politico particolare, in cui il governo siciliano era fortemente attratto della Lega di Matteo Salvini e dei suoi amici governatori. Tra cui il lombardo Attilio Fontana, che con Musumeci aveva firmato un’altra intesa per la creazione di Areus, l’azienda regionale per l’emergenza e l’urgenza della Sicilia. Un modello – ça va sans dire – lombardo.

L’assessore Armao, oggi, può assumersi la paternità di una creazione – l’ufficio speciale della Cuc – che adesso avrà l’onere e l’onore di condurre a un corretto funzionamento, stante la validità e la lungimiranza del suo operato. Ma d’altronde è evidente come Armao, da un paio d’anni a questa parte, si sia appropriato delle leve di potere della Regione, sfilandole a Musumeci, e utilizzandole a proprio piacimento. Qualche giorno fa, ha proposto una delibera (approvata dalla giunta) che ha ottenuto di riesumare una vecchia norma (mai attuata) dalla Legge di Bilancio del 2017, firmata da Crocetta e dall’ex assessore all’Economia, Alessandro Baccei, che prevedeva la cessione del 35% di Fiprs (il fondo immobiliare della Regione) al Fondo Pensioni, che gestisce gli assegni di quiescenza di oltre mille dipendenti regionali. Non si sa bene come, né perché, ma il Fondo Pensioni, sulla base di quanto stabilito dal vecchio governo, si ritroverà sul groppone un investimento da oltre 22 milioni destinato a crescere. Si tratta, infatti, di un semplice acconto rispetto alla cifra che sarà pattuita da una commissione “terza” (sulla base di una valutazione degli immobili regionali) composta – però – da due membri (su tre) diretta emanazione dell’assessorato al Bilancio. Potrebbero scegliere, paradossalmente, che il 35% del Fiprs valga un miliardo, e il Fondo Pensioni dovrebbe accollarselo. I sindacati hanno chiesto di bloccare tutto.

L’investimento di Armao su se stesso è un rischioso “lascia o raddoppia” che in questa fase storica gli ha permesso di avere ragione, diventando l’ombelico della Regione. Sempre al centro della scena. Ma non è detto che sia un bene. L’assessore ha condotto in prima persona la trattativa per il ripiano del disavanzo, mandando all’aria il piano A (c’era un accordo col sottosegretario del M5s, Alessio Villarosa) per inserire il salva-Sicilia nel decreto Milleproroghe; e dovendosi accontentare di un accordo al ribasso in cui Roma, da un lato, ha concesso una spalmatura decennale, ma dall’altro ha “commissariato” la Regione, pretendendo “cure da cavallo” (per usare una citazione dello stesso Armao) che il vice-presidente della Regione mal sopporta.

E sempre Armao, nel corso del 2019, è stato al centro di numerose vicende controverse (è anche l’opinione di molti suoi alleati): dalla vertenza sulle ex province, su cui la Sicilia non ha ottenuto sconti; passando per le numerose impugnative del Consiglio dei Ministri alle norme contenute nella Legge di Stabilità e nei suoi “collegati”. Ma è stato anche il bersaglio prediletto della Corte dei Conti, che in sede di parifica ha appurato le responsabilità di “questa” (e non solo di altre) amministrazioni regionali nella presentazione dei documenti contabili e nella predisposizione della manovra, giudicata “approssimativa”.

L’assessore all’Economia, inoltre, è fra i componenti della giunta Musumeci ad aver rivestito incarichi anche nei governi precedenti (con Lombardo, di cui è “figlioccio” politico). Ad aver contribuito, come e più degli altri, a una situazione di profonda depressione economica che ha danneggiato, urbi et orbi, la macchina regionale. Non è al riparo da responsabilità, presenti e passate. Eppure continua a imperare, determinare, indirizzare umori e numeri. Avere pieni poteri, e non saperlo.