Alberto Arbasino, morto ieri all’età di 90 anni, aveva un fitto rapporto con Palermo e la Sicilia. Lo scrittore, che è stato una delle prime firme di “Repubblica”, ed è nato a Voghera nel 1930, ha incrociato il suo destino con quello dell’Isola nel 1963, anno della pubblicazione di “Fratelli d’Italia”, il suo capolavoro. Arbasino, infatti, è uno dei fondatori (assieme ad altri, fra cui Umberto Eco) del Gruppo 63, il movimento letterario che nacque a Palermo 57 anni fa. Fu in quella stagione che si presentò alla Zagarella, nell’hotel di Santa Flavia. “Il Gruppo che voleva essere sperimentale – ricorda oggi su Repubblica Piero Violante – si fece subito catturare dall’ancien regime palermitano (…) Arbasino ha sedimentato quell’esperienza, più volte rinnovata a Palermo, in un suo assoluto capolavoro “Specchio delle mie brame”, pubblicato da Einaudi nel ’74 e che non sempre viene citato dai cultori delle patrie letterarie perché è il più divertente antidoto al sicilianismo immemore e immemoriale”. “Per un globetrotter – si legge ancora – la Sicilia rimane luogo di fascino tenebroso”. Laureato in diritto internazionale all’università di Milano, Arbasino è sempre vissuto a Roma da quando si era trasferito nel 1957, l’anno in cui aveva esordito come scrittore con alcuni racconti, incoraggiato da Italo Calvino. Legato alla neoavanguardia, assieme al Gruppo 63 contestava, anche con impazienza e ironia, tutta una certa cultura di allora e i maestri che aveva creato. Nella sua critica alla cultura italiana, sempre elaborata con un sorriso sotto i baffi, Arbasino ha messo in risalto il provincialismo.