Parlare di Armao come del punto d’equilibrio del centrodestra siciliano forse è un po’ troppo, e non rende onore alla verità. Parlarne come il punto di rottura, invece, è assai più credibile. Se per lunghi tratti della legislatura l’azione del vice-governatore ha fatto vacillare spaventosamente i rapporti fra Nello Musumeci e Gianfranco Micciché, che ne chiedeva la sostituzione in quanto depositario del simbolo di Forza Italia, oggi la questione è ben più intricata e più ampia. Ma ancora una volta è l’azione di Armao, definita “opaca” dal Partito Democratico, a rappresentare il fulcro del ragionamento. E a determinare le sconfitte di una maggioranza che non era mai stata così solida, almeno numericamente, grazie all’adesione silenziosa dei cinque ex grillini. Eppure, sull’articolo 8 della Legge di Stabilità, sono venute a galla le enormi contraddizioni di una coalizione di governo che Musumeci non è mai riuscito a tenere in pugno. Complici i comportamenti rivedibili dell’assessore all’Economia. A cui, nell’episodio in questione, non è bastata la difesa d’ufficio del presidente, per portare avanti uno degli articoli più controversi della Finanziaria rabberciata.

Armao, nell’articolo in questione, chiedeva l’attivazione di finanziamenti a tasso zero per le imprese siciliane non coperte da credito bancario. Finanziamenti (non ristori) su cui la Regione non poteva mettere il becco: avrebbe solo fatto da tramite, grazie a una convenzione con la Banca Europea degli Investimenti (“Mica zio Pippo”, per citare Armao) dal valore di 500 mila euro l’anno fino al 2023. La Regione avrebbe versato i soldi e la BEI si sarebbe occupata del resto, mettendo a disposizione delle imprese i 25 milioni del cosiddetto Fondo Jeremie. Per un paio di giorni, parlamentari di maggioranza e opposizione hanno chiesto ad Armao un’operazione trasparenza. Di spiegare, cioè, a cosa servisse il milione e mezzo intascato da BEI per attivare la convenzione, e incaricando l’assessore di riscrivere la norma. C’era dietro il timore che questi soldi, a valere sul bilancio regionale, potessero foraggiare un fiume di consulenze per gli amici degli amici: ipotesi smentita categoricamente da Armao e dello stesso Musumeci, la cui proposta di rendicontare ogni sei mesi all’Assemblea regionale è stata scartata dai suoi stessi compagni di ventura.

Ad esempio Totò Lentini, la cui furia è risuonata fino a Palazzo d’Orleans, dall’altra parte di piazza Indipendenza: “La riscrittura del governo è inutile. Non possiamo farci fottere 500 mila euro l’anno, è una vergogna”, ha spiegato il deputato ex ‘Ora Sicilia’, passato agli Autonomisti. Anche dai banchi dell’opposizione si è alzato un coro di no. Ad esempio, quello di Nello Dipasquale: “La colpa è di noi deputati che abbiamo concesso ad Armao, dopo un primo tentativo andato male, di riscrivere l’articolo 8. Quello che va accantonato non è la norma, ma l’assessore. E’ stanco e deve riposare… Non possiamo farci imporre da lui il percorso”. Gli ha fatto eco Nuccio Di Paola, del Movimento 5 Stelle: “Il presidente Musumeci sa benissimo che all’assessorato all’Economia c’è un problema che si trascina da tempo. Infatti un anno e mezzo fa aveva già commissariato Armao affidando una consulenza esterna al dottor Giaconia e alla società Kibernetes”, che avrebbero dovuto occuparsi di eliminare le diseconomie dal Bilancio e provvedere a un riaccertamento straordinario dei conti. Ma laddove ha fallito Armao, hanno fallito anche loro: tanto che da una prima analisi del rendiconto 2019 da parte della magistratura contabile, è emerso un buco da 319 milioni relativo alla mancata cancellazione di residui attivi “storicizzati”.

Ciò che resta di questa prima settimana di Finanziaria è il numero di norme approvate (imbarazzante) e il capitombolo della maggioranza sul soppressivo all’articolo 8 proposto dal Pd. Con la complicità di alcuni franchi tiratori del centrodestra. Sui quali, però, Armao non si sofferma: “Un emendamento farisaico del PD, che ha richiesto il voto segreto, sostenuto dai Cinque Stelle – è la lettura del vice di Musumeci – determina l’impossibilità di procedere alla stipula dell’accordo di finanziamento con la Bei, perché viene meno la copertura delle spese eventuali, la cui previsione è stata ritenuta imprescindibile dall’Istituzione europea”. Se la norma è naufragata, secondo l’assessore, è colpa del centrosinistra. Non dei franchi tiratori che, in perfetto anonimato gli hanno giocato un altro brutto scherzo. “Se ne faccia una ragione l’assessore all’Economia, vero fariseo di questo governo! Dopo ore di dibattito in aula – ha attaccato Anthony Barbagallo, segretario e parlamentare del Pd – non è stato in grado di fornire spiegazioni chiare sui fondi previsti dall’articolo 8 della Finanziaria. Così poco convincente, tanto opaco nei suoi ragionamenti da finanza creativa, che non gli ha creduto neanche la maggioranza di centrodestra che, col voto segreto da noi proposto, ha affondato il suo progetto. Noi siamo per il sostegno alle imprese – sempre e comunque – ma non alle prebende agli amici degli amici a carico dei contribuenti”.

Il concetto di “finanza creativa”, durante l’esame di questa manovra, aleggia da più parti. A tirarlo fuori per primo è stato Danilo Lo Giudice, ex parlamentare dell’Udc (oggi al Misto), sostenitore del sindaco di Messina Cateno De Luca, ma pur sempre dell’area di centrodestra. Alla vigilia del verdetto sull’articolo 8, aveva profetizzato gli esiti: “L’azione portata avanti dal governo – aveva spiegato Lo Giudice, intervenendo in aula – non mi sembra che si ispiri al principio basilare della finanza e della contabilità pubblica, che è quello della prudenza” ma “piuttosto a quella che definiamo “finanza creativa”, di fronte a spese e a valori negativi che non vengono contabilizzati come dovrebbero”.

Poi l’attacco sferrato contro l’assessore, che durante il suo intervento agitava i pollici sul cellulare: “Non c’è un bilancio, non c’è un consuntivo, non c’è un giudizio di parificazione, c’è un esercizio provvisorio accompagnato da una impugnativa del bilancio 2020 che però l’assessore bolla come mera formalità. Insomma siamo allo sfascio più totale e nessuno lo vuole ammettere. Si agisce con una gravissima superficialità, aggravata dal comportamento dello stesso assessore che non fornisce a noi deputati alcuna informazione. Ci apprestiamo a discutere una finanziaria dove si continua a discutere di milioni e milioni da assegnare, senza però chiarire quale sia la copertura finanziaria. Mi chiedo e chiedo al governo se sia possibile avere un quadro attendibile delle risorse di bilancio, della situazione economica e finanziaria, dei fondi extra regionali. Qui non siamo al mercato, siamo al Parlamento e i parlamentari meritano rispetto a partire dall’assessore”. Rispetto che non c’è stato, tanto che i capigruppo di minoranza, Di Caro (M5s), Lupo (Pd) e Fava (Misto), hanno scelto di disertare la riunione indetta ieri da Miccichè per i “comportamenti offensivi delle prerogative parlamentari dei gruppi di opposizione da parte di diversi rappresentanti della giunta e in particolare del vice presidente della Regione Gaetano Armao. Riteniamo – hanno ribadito – non ci sia spazio per alcun confronto con il governo al di fuori dell’aula parlamentare”.

Al netto degli errori contabili (ripetuti), delle difficoltà di cassa, dei problemi con le opposizioni e con lo Stato (persino la Gelmini, del suo stesso partito, si è messa di traverso sulle variazioni di bilancio), la cocciutaggine dell’assessore sta portando anche il centrodestra verso un processo irreversibile di sgretolamento. E la Finanziaria, che rappresenta il momento clou dell’azione legislativa di un anno, è stato il classico appiglio per rovesciare sul tavolo tutti i problemi. I tagli alla spesa imposti dall’accordo con Roma, hanno costretto Armao a soprassedere sui ristori – sono esigui e incerti, essendo vincolati ai fondi Poc – e a sforbiciare le aspettative dei deputati. Anche per le marchette sono tempi magri… L’unico a resistere, in questa catastrofe economica che investe la Sicilia, finita da venti giorni in gestione provvisoria, è l’assessore al Bilancio. Il cui compito sarebbe quello di far quadrare i conti, ma il cui operato ha prodotto l’esatto contrario. Con l’avallo di Musumeci.

Roma ritira l’impugnativa sulle variazioni di bilancio

“Il Consiglio dei ministri non ha impugnato la legge regionale n. 1 del 2021 relativa all’esercizio provvisorio. È il risultato di un’intesa raggiunta con il governo Musumeci che consente di concludere anche i contenziosi costituzionali insorti sulle leggi regionali del 2020 (n. 33 e 36) relative alle variazioni di bilancio e a disposizioni in materia di personale e proroga di titoli edilizi. Lo dichiara l’assessore regionale all’Economia e vicepresidente della Regione , Gaetano Armao. “L’accordo con il governo centrale, raggiunto a seguito del nostro confronto con i rappresentanti dei ministeri guidati da Maria Stella Gelmini (Affari regionali) e Daniele Franco (Economia e finanze) – continua l’assessore – prevede non solo la mancata impugnativa della norma del 2021, ma anche la rinuncia ai ricorsi proposti in Corte costituzionale dallo Stato contro le due leggi del 2020”. Si tratta di questioni di ordine preminentemente formale e inerenti il principio di annualità del bilancio, determinante dalla mancata approvazione, da parte del governo Conte, delle norme di attuazione entro il 31 dicembre.

L’impugnativa della legge sulle variazioni del Bilancio, in caso di pronuncia sfavorevole della Corte Costituzionale, secondo gli uffici dell’Ars sarebbe costata alla Regione un buco da 35 milioni a valere sulla Finanziaria 2021. Il pericolo sembra scampato. “Nel disegno di legge di stabilità – prosegue Armao – sarà effettuata l’abrogazione delle norme controverse nelle leggi impugnate. Si concretizzano così le rassicurazioni che il governo regionale aveva già dato nei giorni scorsi circa l’avanzato stato di definizione degli accordi con lo Stato. Un elemento – conclude Armao – che può, adesso, consentire di accelerare nella definitiva approvazione dei documenti finanziari per il 2021”.