Giuseppe Sottile

Buttafuoco: solo Zaia
può salvare la Sicilia

La sua, va da sé, è stata una soave provocazione, ma ai piani alti di Fratelli d’Italia le parole di Pietrangelo Buttafuoco contano, eccome. Il presidente della Biennale di Venezia è, oltre che un uomo libero, un punto di riferimento culturale per la destra meloniana. Ieri, nel corso di un’intervista al Corriere delle Sera, Buttafuoco ha espresso il proprio disgusto per la deriva dell’autonomia regionale e ha lanciato la proposta di candidare, nel 2027 in Sicilia, l’efficientissimo presidente uscente del Veneto, Luca Zaia. Il suo è stato, di fatto, un appello indiretto alla Meloni. Basta con Manlio Messina, con Gaetano Galvagno ed Elvira Amata. Basta con gli sprechi, gli intrallazzi e gli affari della corrente turistica. E basta anche con Renato Schifani, che da Palazzo d’Orleans ha dato e continua..

I tornelli e l’estate
delle nostre amenità

Ora che abbiamo vinto l’intrepida guerra dei tornelli; ora che abbiamo restituito ai bagnanti di Mondello la spiaggia che fu dei loro padri e abbiamo pure abbattuto i tiranni del mare; ora che abbiamo liberato le capanne e ci prepariamo a celebrare, dopo tante tribolazioni, un Ferragosto di gloria e di vittoria; ora possiamo finalmente sperare che i nostri eroi si occupino dei problemi reali della Sicilia? Il nostro appello è rivolto ai due condottieri – Ismaele La Vardera per l’opposizione e Giusi Savarino per il governo – che dai palazzi della Regione hanno combattuto per la libertà della sabbia che dall’Addaura si estende fino a Capo Gallo. Basta, per favore. Gaetano Galvagno ed Elvira Amata, Sabrina De Capitani e Marcella Cannariato, col teatro delle loro spregiudicatezze, hanno allietato abbondantemente..

Dietro quella difesa
c’è la paura del crollo

Nello Musumeci si può capire: per tre anni ha coperto gli azzardi di Manlio Messina: dalla truffa di Cannes, con milioni di euro finiti nelle tasche di un avventuriero lussemburghese, allo scempio di SeeSicily che, con una seconda catasta di piccioli, ha lucidato i bilanci di Mediaset e altri allegri convitati. Sabato a Catania, dunque, la difesa dell’ex governatore nei confronti del Balilla e della corrente turistica di Fratelli d’Italia era scontata. Ma Renato Schifani perché si impanca in una difesa estrema di Gaetano Galvagno ed Elvira Amata, sputtanati da un’inchiesta per corruzione? Che nessuno si dimetta, dice il presidente. E lo dice per evitare che con la caduta di una sola tessera possa stramazzare al suolo l’intero mosaico delle sue alleanze, in primis quella con Ignazio La Russa e..

Quelli che salveranno
il mondo dei giornali

Al punto in cui siamo ci importa poco della legge sull’editoria. Ci basta sapere che l’informazione ha finalmente una nuova leadership: fresca, gagliarda e soprattutto attenta alle istanze della società civile. Il nostro sol dell’avvenire non è più Assostampa, l’ammuffito sindacato unico dei giornalisti, ma la Stampa parlamentare, l’associazione di colleghi che segue i lavori dell’Assemblea regionale e che ormai – diciamolo – detta legge a chi fa le leggi. Dopo il siluro col quale i franchi tiratori hanno incenerito la proposta di Schifani, i nostri eroi – Alfredo Pecoraro e Elvira Terranova – hanno diramato una nota che ci tranquillizza: a settembre saranno riproposti, oltre ai contributi, anche gli emendamenti a favore dell’occupazione. Dei pagnottisti e della questione morale non si parla. Ma ogni rivoluzione, si sa, ha i..

Lo sputtanato Galvagno
ride, ride e ancora ride

Nel giorno di Paolo Borsellino si mostra ridanciano e divertito alla festa colossal di Totò Cuffaro in quel di San Michele di Ganzaria. E due settimane dopo rieccolo, ancora più ridanciano e strafottente, mentre s’abbraccia con Renato Schifani, il presidente della Regione impallinato dai franchi tiratori. Gaetano Galvagno, sputtanato dalla testa ai piedi da un’inchiesta per corruzione e peculato, non rinuncia alla sua immagine di scavezzacollo, di zuzerellone, di golden boy impunito e impenitente. Beato lui. Delle due l’una: o non capisce di essere politicamente sull’orlo di un precipizio o pretende, con questi ammiccamenti, di confondere le acque e imbrogliare soprattutto i siciliani: quelli che lo hanno eletto e quelli che si sono fidati della Meloni e di Fratelli d’Italia. Non basta un falso sorriso per cancellare due anni di..

Scandali, dalla Meloni
una lezione a Schifani

Giorgia Meloni ha fatto con Manlio Messina ciò che Renato Schifani non ha saputo fare né con Elvira Amata, indagata per corruzione, né con i superburocrati, come Nicola Tarantino o Lucia Di Fatta, che hanno avallato e sottoscritto, negli ultimi cinque anni, gli scempi dell’assessorato regionale al Turismo. Meloni ha emarginato il “Balilla di Cannes” e ha inviato in Sicilia un commissario col mandato ben preciso di stringere all’angolo il clan che, dopo avere bruciato montagne di denaro pubblico, pretendeva pure di dettare legge dentro Fratelli d’Italia; mentre il presidente della Regione non è riuscito a pronunciare una sola parola di biasimo né sugli azzardi della Amata né sull’allegra compagnia degli scandali. Giorgia e Renato: due modi diversi di concepire la politica. La premier trova il coraggio di cacciare i..

L’ultima avventatezza
dell’indagato Galvagno

Sembrava che l’inchiesta per corruzione e peculato lo avesse riportato alla ragione. E che le rivelazioni sulle sue scempiaggini lo avessero spinto a un comportamento meno sbracato. Invece no. Gaetano Galvagno, presidente dell’Ars, continua a sfuggire a ogni regola imposta dalla decenza. E’ un uomo politico a dir poco imprevedibile, avventato, fuori controllo. Non si spiegherebbe altrimenti la tracotanza con la quale – nel pieno di una crisi di immagine e di credibilità – ha imbottito la Fondazione Federico II di sette assunzioni. Tutte clientelari e tutte arbitrarie. Assunzioni decise da lui e da Sabrina De Capitani, l’ape regina che dopo averlo trascinato nel fango ha pure preteso e ottenuto di licenziare, con un colpo di mano, Patrizia Monterosso e di spadroneggiare sui tre milioni di budget assegnati dall’Ars alla..

Il Balilla nei guai
Il partito lo molla

Devono esserci cose molto brutte nell’aria se Manlio Messina, ­capo della corrente turistica di Fratelli d’Italia, ha deciso di abbandonare il gruppo parlamentare del partito. Gli scandali che ha orchestrato da assessore regionale – la truffa di Cannes e gli scempi di SeeSicily – lo hanno travolto. Le nuvole nere che si addensano sulla sua testa sono fitte e minacciose. Nel settembre del 2022, quando Giorgia Meloni gli dava ancora retta, ha cercato riparo nell’immunità: si è candidato alla Camera ed è stato tra i primi eletti a Montecitorio. E’ diventato pure vice capogruppo. Ma la storiaccia di Cannes e le intercettazioni sul telefono di Sabrina De Capitani, la “key-account” che aveva combinato l’affare, l’hanno fregato. Il partito gli ha fatto capire di non essere più disposto a dargli coperture...

I giochi di Galvagno
attorno all’inchiesta

Gaetano Galvagno, spinto nel tritacarne da una pesantissima inchiesta per corruzione e peculato, ha tutto il diritto di invocare la presunzione d’innocenza. Ed è anche libero, liberissimo di preferire la festa di Totò Cuffaro alla commemorazione di Paolo Borsellino, il giudice ucciso dalla mafia. Ma nessuno lo autorizza a imbrogliare le carte nel maldestro tentativo di confondere le idee ai magistrati, ai giornalisti e soprattutto ai siciliani. Per attutire il contraccolpo dell’avviso di chiusura indagine il presidente dell’Ars ha dichiarato che erano cadute “tutte le utilità personali” che gli erano state attribuite. Ha detto una bugia. Perché, a parte i biglietti a scrocco, un noleggio d’auto e il regalo di un vestito, tutti i traccheggi, le indecenze e gli scempi di denaro pubblico orchestrati da lui e dalla sua ape..

Gerenza

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